Palermo – lo dice il nome greco Panormos – “tutto porto”, è la mia porta d’accesso alla Sicilia. Non sono mai stato, prima d’ora, nell’isola, la più grande del Mediterraneo, ma il mio è comunque un ritorno, alla terra dei miei avi. La mia prima tappa, a Palermo, me l’ero giurata da quando mi era sorta l’ispirazione per questo viaggio: avrei reso omaggio allo Stupor Mundi, nel suo sepolcro in Cattedrale.
Federico II di Svevia, Sacro Romano Imperatore e Re di Sicilia e di Gerusalemme, giace in un sarcofago di porfido purpureo, come si addice alla dignità imperiale, sorretto da leoni di pietra. Una targa ne ricorda la morte, a Castelfiorentino in Puglia alle idi di dicembre del 1250; tre rose (due rosse, una bianca) già lo onorano. Narra Stenio Solinas, nel suo Atlante Ideologico-Sentimentale, che «negli anni Trenta, a ogni anniversario della morte, un gruppo di sconosciuti andava a deporre sulla tomba una corona di foglie di quercia con un nastro su cui era scritto: «A Federico II la Germania segreta». Una di quelle corone, l’ultima, la depose il colonnello Claus von Stauffenberg, l’autore del fallito attentato a Hitler.»
La Palermo arabo-normanna, che allevò Federico, è quella dei Monumenti celebri, dei Patrimoni dell’Umanità: dal Ponte dell’Ammiraglio sul fiume Oreto al Castello della Zisa, passando per le chiese di San Cataldo e di San Giovanni agli Eremiti, con le loro cupole rosse orientali, tonde come seni d’odalisca, e la Chiesa della Martorana; ma i più celebri e grandiosi sono tre. Il primo è il Palazzo dei Normanni, già Palazzo degli Emiri, costruito sulle rovine di fortificazioni anteriori via via fino all’epoca punica, e poi Palazzo Reale, e sede sia di re e viceré che del Parlamento siciliano, dai tempi di Ruggero il Grande fino ad oggi. Cuore pulsante della politica siciliana per oltre un millennio, e scrigno prezioso che cela una perla: la Cappella Palatina, voluta da Re Ruggero, chiesa latina tutta decorata di mosaici greci e decorazioni arabe, dove il Cristo Pantocratore e i santi vegliano sul trono reale.
Il secondo non è proprio a Palermo, bensì sulle pendici del Monte Caputo, 4 miglia a sud-ovest del Palazzo, in una cittadina chiamata molto opportunamente Monreale, da quando a Re Guglielmo il Buono apparve in sogno la Madonna, che gli svelò un tesoro con il quale erigerle un tempio. Il Duomo di Monreale, con il suo chiostro, le sue torri e il suo palazzo arcivescovile, diventò sede dell’Arcidiocesi più importante di Sicilia, alla pari con la rivale Palermo, e attorno al complesso religioso sorse una nuova città. Come nel Duomo di Cefalù e nella Cappella Palatina, l’interno è rivestito di mosaici sfolgoranti d’oro, e il Cristo Pantocratore, dall’abside, domina severo le navate.
In quegli stessi anni, fu ricostruita e consacrata, dopo la conversione in moschea d’epoca araba, la Cattedrale di Palermo, il terzo di questi monumenti. Racconta la leggenda di una sfida tra Re Guglielmo e l’Arcivescovo Gualterio, suo tutore, per costruire la cattedrale più sfarzosa, cominciando però il primo dall’interno e il secondo dall’esterno. Questo spiegherebbe perché la Sede palermitana, al contrario di quella monregalese, appaia da fuori molto più grandiosa rispetto agli interni, del tutto rimaneggiati tra ‘700 e ‘800. Si narra, al riguardo, che il sovrano, guardandone la facciata e presagendo un interno altrettanto magnifico, sarebbe morto di crepacuore. E, in effetti, anche all’osservatore casuale non può che mozzarsi il fiato, di fronte a tanta bellezza.