Uccidimi (Carabba, pp. 88, € 12) di Massimo Del Pizzo è una raccolta di sei racconti pubblicata nella primavera dell’anno scorso. Il titolo è tratto dal primo e più lungo racconto, che si ispira ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1992 negli Stati Uniti, in una scuola del quartiere degradato di Brooklin, «fra la giovanissima insegnante Barbara Mendez, ventitré anni all’epoca, e uno dei suoi studenti, Lamar Goodwine, all’epoca diciassettenne e al quale Barbara, scoperta la propria malattia incurabile, chiede di ucciderla, senza preavviso, dandogli cento dollari per comprare una pistola».
Lo scrittore abruzzese, già docente di letteratura francese presso la facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Bari, ha al suo attivo la pubblicazione di diversi racconti di genere fantastico, tra cui citiamo: Per mari disperati (2006), Doppio delitto (2007), L’onironauta (2012), Soldato di ventura (2017), Gesù, il figlio (2019), nonché la traduzione e la postfazione, nel 2007, di alcuni racconti di Pierre Drieu La Rochelle pubblicati nei pregevoli quadernetti delle edizioni di Via del vento (Vietato uscire e Niente da fare).
Con questo racconto, che si legge tutto d’un fiato, e in verità anche con l’altro precedente Gesù, il figlio, Del Pizzo sembra allontanarsi dai consueti canoni del fantastico, cui ci aveva abituato nei suoi racconti, per abbracciare un certo realismo. Un fantastico, ricordiamolo ai lettori, in cui l’onirico fa irruzione nel quotidiano in situazioni nelle quali si manifesta un sentimento che la psicanalisi definisce magnificamente con l’aggettivo sostantivato “il perturbante”. Una sensazione cioè nel contempo di familiarità e di estraneità.
Il racconto si sussegue in brevi paragrafi dai titoli significativi. Del Pizzo segue la vicenda generalmente dal punto di vista della giovane insegnante, che sembra consegnare i suoi più intimi segreti e la sua angoscia alle pagine di un diario, ma non manca nemmeno, in un paragrafo intitolato Una banana, due uova, pancetta affumicata, il punto di vista del ragazzo, prima refrattario poi sempre più coinvolto dalle attenzioni e dall’offerta della sua insegnante.
Lo scrittore indugia sulla descrizione fisica e psicologica dello studente e del suo ambiente degradato, ne mette in rilievo l’indolenza, ma anche la generosità e la passione per la pallacanestro (che lo stesso Del Pizzo ha attivamente praticato), così come illustra magistralmente e con una punta di involontario umorismo il rapporto meramente formale che si instaura tra l’insegnante e il preside, che non vede o forse finge di non vedere il degrado fisico e morale della sua scuola, quel che veramente accade nelle classi dietro una facciata di finta tranquillità.
Allo scrittore non interessano le conseguenze del gesto e l’esito del gesto, che comunque sarà compiuto, ma la varia umanità dei personaggi e la narrazione stessa, che muove da un fatto reale interpretato e descritto magistralmente da una complice fantasia. Non quel che è accaduto, insomma, ma quel che potrebbe accadere.
In un paragrafo del racconto intitolato Soldato nella notte ritorna una definizione che può ritrovarsi in qualche modo anche negli altri racconti, tra cui Soldato di ventura, già apparso in veste singola nel 2017. In questo racconto, ad esempio, il protagonista, che parla in prima persona, per l’appunto un soldato di ventura, è in effetti un sicario, un assassino prezzolato, ma è un assassino delicato, non abbrutito dal mestiere, che trova il tempo di osservare ed osservarsi. A suo modo frugale, disprezza i propri committenti, cerca una giustificazione ai suoi atti e a volte sa e sente di fare le veci del fato, ben sapendo di esservi come tutti assoggettato.
Siamo – pare dirci lo scrittore – tutti alla mercé di un fato imperscrutabile, appunto soldati nella notte, in quella notte che scioglie «i nodi che con fatica e imperizia, ma con testarda e perdente tenacia, intrecciamo durante il giorno», e che ci lascia intatti il tormento, l’ansia, la paura, la «disallegria», con cui dobbiamo comunque e sempre fare i conti.