Così recitano le targhe in granito e bronzo poste a Ginevra il 19 giugno 1977, per iniziativa della Fondazione Europea Iosif Constantin Drăgan* di Roma, alla presenza dell’Arciduca Otto d’Asburgo (1912-2011) – figlio primogenito dell’Imperatore e Beato Carlo I, erede al trono imperiale, capo della Casa d’Asburgo dal 1922 al 2007, membro del Parlamento Europeo per la CSU bavarese, Presidente dell’Unione Paneuropea – ai piedi del monumento in bronzo: ‘À la memoire de Aurel Constantin Popovici premier fédéraliste européen du xxe siècle’, 1863 Lugoj (Roumanie) – Genève 1917′. ‘Découvert le 19.6.1977 par S.A.R.I. Otto de Habsbourg Président de l’Union Paneuropéenne. Érige par la Fondation Européenne Dragan Rome’.
Non si sa molto della vita di Aurel Popovici, forse perché appartenente ad un Paese minore, di credo nazional-conservatore, sostenitore della Monarchia asburgica poi sconfitta, seguace del detestato Francesco Ferdinando, assassinato a Sarajevo nel 1914, a sua volta deceduto a Ginevra appena cinquantatreenne durante la Grande Guerra. (https://en.wikipedia.org/wiki/Aurel_Popovici; Crișan Vasile, Aurel C. Popovici, 1863–1917, Alba Iulia, 2008).
Aurel Constantin Popovici (16.10.1863-9.2.1917) fu avvocato, docente, giornalista, pubblicista, politico di tendenza nazional-conservatrice. Egli nacque a Lugos (oggi Lugoj, Romania), Banato, regno d’Ungheria, parte dell’Impero Austro-Ungarico. Figlio di un artigiano, Constantin Popovici e della moglie Maria, discendeva da un lignaggio di ‘contadini-miliziani’ greco-ortodossi, di lingua rumena, ubicati presso l’antica frontiera militare austriaca. Chissà, originariamente Popovic, forse un ceppo serbo. Frequentò la scuola elementare e poi la secondaria al Ginnasio Ungherese di Lugoj dal 1873 al 1880, quindi il Liceo Romeno di Beiuș (in ungherese Belényes) dal 1880 all’84. Secondo altre fonti, la scuola elementare la frequentò a Kronstadt (o Brașov) nella Transilvania meridionale; nel 1850 la città aveva 21.782 abitanti, composta da 8.874 sassoni o austriaci o tedeschi, 8.727 romeni, 2.939 ungheresi, 780 zingari e 67 ebrei. Nel 1885, Popovici s’iscrisse all’Università di Vienna a corsi di Medicina e Filosofia. Più tardi si trasferì all’Università di Graz. Affermerà di non aver completato gli studi, dedicandosi alla politica ed al giornalismo.
Nel 1891 egli divenne uno dei leaders del Partito Nazionale Rumeno ed uno degli editori della Tribuna. Assieme ad altri intellettuali del Partito Nazionale Rumeno firmò il Memorandum della Transilvania, un documento, in tedesco Die rumänische Frage in Siebenbürgen und Ungarn (Wien, 1892), che chiedeva pari diritti per le popolazioni di lingua rumena della Transilvania, rispetto alla prevaricante minoranza ungherese, e la fine dei tentativi di magiarizzazione dell’area. Presto, a seguito dell’accusa di sedizione mossagli dal procuratore di Cluj, fu condannato a quattro anni di detenzione. Libero su cauzione, nell’83 Popovici ne approfittò per fuggire in Italia e poi si recò in Romania attraverso la Svizzera. La lotta del giovane politico era diretta contro la metà ungherese dell’Impero; infatti, egli fu partigiano della Monarchia asburgica durante tutta la vita. Nel 1899 fonda il periodico România Junǎ (La Giovane Romania) a Bucarest.
Nel 1859 Alexandru Ioan Cuza, boiardo della Moldavia, ascese al titolo di principe di Moldavia e Valacchia, un principato riconosciuto come tributario dell’Impero Ottomano, base della nascita di una Romania unita. Il 5 febbraio 1862 i due principati vennero formalmente uniti nella Romania e Bucarest scelta come capitale. Il 23 febbraio 1866, la cosiddetta ‘Coalizione Mostruosa’, composta da conservatori e liberali, costrinse Cuza ad abdicare. Il principe tedesco Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen, ramo cattolico dei sovrani di Prussia e poi Imperatori Germanici, divenne principe di Romania, indipendente dal 1877. I suoi discendenti governarono come re di Romania fino a quando i comunisti stalinisti obbligarono Re Michele I – che con un colpo di Stato antitedesco aveva rovesciato il dittatore Antonescu e posto fine alla guerra della Romania contro gli Alleati – a lasciare il potere ed il Paese alla fine del 1947. La Romania rimase neutrale quando iniziò la guerra, nel 1914, sostenendo che l’Austria-Ungheria aveva iniziato la guerra e, di conseguenza, Bucarest, come Roma, non aveva alcun obbligo formale di aderire, nonostante il Patto di Alleanza (difensivo). Bucarest entrò in guerra al fianco degli Alleati (Francia, Gran Bretagna, Italia e Russia) il 27 agosto 1916, non avendo Vienna accettato di cederle parti rilevanti della Transilvania, abitata da 2.8 milioni di rumeni etnici. Varie unità rumene facevano parte dell’Esercito asburgico. Da quel momento la loro fedeltà cominciò a vacillare. Molti soldati decisero che era preferibile la diserzione a sparare ai loro connazionali o esserne uccisi. Nel 1918, alla fine della WWI, con la sconfitta degli Imperi Centrali, Transilvania, Bessarabia e Bucovina vennero unite al Regno nella “Grande Romania”. Nel corso della WWII, e dopo, il territorio dello Stato rumeno sarà però ridimensionato.
(Da https://it.xcv.wiki/wiki/Romania_during_World_War_I).
Per la Romania ed i rumeni, Popovici considerò che il sistema di organizzazione più adeguato avrebbe dovuto basarsi sul conservatorismo sociale ed un liberalismo moderato. Egli pensava che una società deve godere di limitate libertà ed essere diretta da una élite che conosca la natura del popolo, che governi in base alle sue necessità e non per un’ “amalgama di teorie”. Il tentativo federalista di Popovici era dapprima circoscritto e limitato dai paradigmi del lealismo rumeno e dal costituzionalismo diffusi in Transilvania. I suoi scritti e la sua azione hanno fondamento nei legami della Transilvania con la Casa d’Austria, nell’armonizzazione di aspirazioni etniche, culturali, politiche nel quadro di una auspicata vasta autonomia. Rifiutando l’assimilazione, l’idea di un compromesso con il governo ungherese, così come un’alleanza con i movimenti panslavistici e panserbi. Per Popovici il nazionalismo ungherese ed il panslavismo avrebbero distrutto l’Impero asburgico (come effettivamente succederà). Il federalismo era per lui l’unico cammino per arginare la dominazione magiara e favorire l’emancipazione nazionale rumena. Con una duplice legittimazione: la nazione rumena e la fedeltà alla Monarchia d’Austria. Ovviamente, presto Popovici estese il ragionamento oltre la Transilvania (Banato), adattandolo a tutto il dominio asburgico, il secondo dell’Europa per estensione dopo l’Impero Russo.
Nel 1906 Aurel Popovici propose, quindi, la federalizzazione della monarchia austro-
ungarica, presentando il progetto degli Stati Uniti della Grande Austria dando alle stampe, a Lipsia (presso B. Elischer, 1906), Die Vereinigten Staaten von Groβ-Österreich Politischen Studien zur Lösung der nationalen Fragen und Staatsrechtlichen Krisen in Österreich-Ungam (Gli Stati Uniti della Grande Austria. Studi politici circa la soluzione delle questioni nazionali e delle crisi legali nell’Austria-Ungheria). La sua opera maggiore e più conosciuta.
Uno dei problemi maggiori che caratterizzava la Monarchia duale dell’Austria-Ungheria era la presenza nel territorio dell’Impero di undici diversi gruppi etnici nazionali, dei quali solo due, i tedeschi e gli ungheresi (che assieme costituivano il 44% della popolazione complessiva) godevano di reali poteri di governo. Gli altri nove gruppi (italiani, cechi, polacchi, ruteni, rumeni, croati, slovacchi, serbi, sloveni, senza contare i bosniaci musulmani, altre minoranze etniche, gli ebrei e gli zingari) non godevano di autonomia o di diritti all’autogoverno. Il sistema duale era stato istituzionalizzato dallo zio dell’erede al trono, Francesco Ferdinando, cioè l’imperatore Francesco Giuseppe I nel 1867 con l’Ausgleich. Il compromesso, l’unione delle due nazioni dell’Impero d’Austria, a guida tedesca, e del Regno d’Ungheria, a guida magiara, dopo la sconfitta di Sadowa/Königgrätz nel 1866 contro la Prussia. Che significò il ritiro dell’Austria dal futuro politico del mondo germanico – dominato dagli Asburgo fino all’epoca napoleonica attraverso il S.R.I., ma ora capeggiato dal Cancelliere Bismarck e prossimo all’unificazione del 1871 – e la sua crescente attenzione verso il mondo balcanico. Tuttavia, nella stagione dei nazionalismi trionfanti, dopo diverse manifestazioni, rivolte, atti di terrorismo, era chiaro che il sistema centrato sul dominio di due sole nazionalità non garantiva la stabilità per un vasto Impero, così plurietnico, e non poteva realisticamente durare. Popovici sbozza un’idea di soluzione, coerente con la sua stessa necessità morale di una duplice lealtà: verso la Monarchia austriaca e verso la nazione rumena, attraverso la federalizzazione, formula che in Svizzera stava dando buoni risultati.
Germinato in ambito anglosassone e soprattutto nordamericano, sviluppato sull’altra sponda dell’Atlantico, il federalismo, dottrina che appoggia e favorisce un processo di unione tra diversi Stati, si diffonde anche in Europa nell’Ottocento. Le elaborazioni principali teorizzano il federalismo in una duplice chiave: in polemica con l’opprimente centralizzazione amministrativa della maggior parte degli Stati europei (ad esempio, in Proudhon e Cattaneo) e come strumento di ricerca di una pace duratura in un continente in preda a sanguinosi conflitti. Gli scritti di due autori britannici, Albert Dicey e James Bryce, hanno influenzato le prime teorie sul federalismo. Dicey identificò due condizioni per la formazione di uno Stato federale: il primo era l’esistenza di un gruppo di nazioni “così vicine per luogo, storia, razza e capaci di portare, negli occhi dei loro abitanti, uno spirito di nazionalità comune”; la seconda condizione è il “desiderio di unità nazionale e la determinazione di mantenere l’indipendenza di ogni uomo, come di ogni Stato separato”. La confederazione è un’associazione di Stati creata per trattato in vista dell’adozione di una costituzione comune o per definire ambiti di collaborazione temporanei. Può essere vista come un livello intermedio tra un insieme di Stati completamente indipendenti ed una federazione. La Svizzera odierna non è più una confederazione (i singoli Cantoni non hanno soggettività riconosciuta internazionalmente). Nonostante ciò, per attaccamento alla tradizione, la Svizzera mantiene il nome ufficiale di Confederazione Svizzera anche se, a partire dalla costituzione del 1848, essa è a tutti gli effetti una federazione. Gli Stati Uniti d’America erano inizialmente una confederazione in base agli Articles of Confederation e successivamente sono divenuti una federazione, nel 1789. Sappiamo come andò nel 1860.
(Da https://it.wikipedia.org/wiki/Federalismo; Steinberg Jonathan, Bismarck: A Life. Oxford UP, 2011).
Il progetto di Popovici, seppur diverso, rimanda noi italiani a Cattaneo e Gioberti. O agli europeisti a noi più prossimi come i ‘Padri dell’Unione europea’ del II dopoguerra, Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman, Alcide de Gasperi, Paul-Henri Spaak, Walter Hallstein, Altiero Spinelli. Con una varietà di approcci, posizioni, modulazioni e cronogrammi ideali. Churchill come De Gaulle, forse realisticamente, era invece a favore di una confederazione. Nell’800 il modello più riuscito di confederazione era stato il Deutscherreich (1871), creatura del prìncipe Otto di Bismarck, che seppe abilmente miscelare, tra il 1862 ed il 1871, la sua personale predilezione per ‘un impero forgiato con il ferro ed il fuoco’ con le aspirazioni delle correnti liberali e democratiche, gli interessi delle élites dominanti con le istanze borghesi per un moderato cambiamento sociale e più ampi spazi economici; il suo ‘bonapartismo’, tendenzialmente accentratore, con la realtà sedimentata nei secoli di differenti aree con proprie identità culturali, religiose, statuali; la Prussia militarista e luterana degli Junker con la Baviera e la Germania meridionale cattolica, finanziaria ed industriale. Una confederazione costruita per la contingenza storica, non per durare un millennio! Cioè un compromesso di potere dilatorio.
Questi gli Stati proposti dal saggio di Aurel Popovici, in lingua tedesca:
- Deutsch-Österreich (Austria tedesca, odierne Austria e parte dell’odierna Italia (Alto Adige) e Repubblica Ceca meridionale), di lingua tedesca.
- Deutsch-Böhmen (Boemia tedesca, parte nordoccidentale dell’odierna Repubblica Ceca), di lingua tedesca. I tedeschi residenti fino al 1945 nei Monti Sudeti della Boemia.
- Deutsch-Mähren (Moravia tedesca, parte nordorientale dell’odierna Repubblica Ceca), di lingua tedesca. I tedeschi residenti fino al 1945 nei Monti Sudeti della Moravia.
- Böhmen (Boemia, parte meridionale e centrale dell’odierna Repubblica Ceca), di lingua ceca.
- Slowakenland (Slovacchia), di lingua slovacca.
- West-Galizien (Galizia occidentale, parte dell’odierna Polonia), di lingua polacca.
- Ost-Galizien (Galizia orientale, parte dell’odierna Ucraina), di lingua ucraina o rutena.
- Ungarn (Ungheria), di lingua magiara.
- Seklerland (Szeklerland, parte dell’odierna Romania), di lingua magiara.
- Siebenbürgen (Transilvania, parte dell’odierne Romania e Ungheria), di lingua romena.
- Trient (Trentino, parte dell’odierna Italia), di lingua italiana.
- Triest (Gorizia, Trieste, parte dell’odierna Italia, e Istria occidentale, tra le due guerre parte dell’Italia, oggi divisa tra Slovenia e Croazia), di lingua italiana.
- Krain (Carniola, corrisponde all’odierna Slovenia, più parti dell’odierna Carinzia austriaca, del Tarvisiano e dell’Oltremura ungherese), di lingua slovena.
- Kroatien (Croazia), di lingua croata.
- Woiwodina (Voivodina, parte dell’odierna Serbia e dell’odierna Croazia), di lingua serbo-croata.
Una serie di enclaves, soprattutto di lingua tedesca, in Transilvania ed altrove, avrebbero avuto diritto ad un’autonomia limitata. (https://en.wikipedia.org/wiki/United_States_of_Greater_Austria).
Aurel Popovici, che all’attività di scrittore e pubblicista affianca la docenza, ed un gruppo di studiosi furono per anni vicini all’erede ad trono, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este ed a sua moglie Sophie Chotek von Chotkowa, una contessa di origine ceca, poi nominata duchessa di Hohenberg. Gli Stati Uniti della Grande Austria, progetto di riforma radicale dell’Impero, in un’epoca di nazionalismi esasperati, non furono mai realizzati. Anche perchè, come accennato, trovò la strenua opposizione del vecchio Imperatore e della nobiltà ungherese, ancora classe dirigente, che dall’attuazione del piano sarebbe risultata penalizzata.
Francesco Ferdinando era nipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria e, al momento della sua nascita, terzo in linea di successione dopo il cugino Rodolfo ed il padre. Nel 1889 Rodolfo si suicidò a Mayerling senza lasciare eredi maschi e Carlo Ludovico, padre di Francesco Ferdinando, divenne il primo in linea di successione. Nel 1896 il padre morì e Francesco Ferdinando divenne quindi l’erede al trono. L’imperatore Francesco Giuseppe, nonostante l’età avanzata, mantenne tuttavia saldamente il potere e lo tenne sempre lontano dalle decisioni di governo, come del resto aveva fatto in precedenza con il figlio Rodolfo. Il suo matrimonio (1º luglio 1900) con la contessa Sophie Chotek von Chotkowa, a lungo osteggiato, fu autorizzato come morganatico, solo dopo che la coppia ebbe accettato che la sposa non avrebbe goduto dello status reale e che i loro figli non sarebbero stati né Asburgo né aspiranti al trono. Francesco Ferdinando, di carattere aspro, ruvido, non era benvoluto e si alienò la simpatia di gran parte dell’opinione pubblica e politica.
Non amava l’Ungheria ed i nazionalisti ungheresi si opposero al suo sostegno al suffragio universale maschile, che avrebbe minato la predominanza magiara nel regno. Sia i sostenitori, sia gli oppositori della struttura duale dell’Impero erano sospettosi della sua idea di un terzo Regno slavo dominato dai croati, comprendente la Bosnia ed Erzegovina, possibile baluardo contro ciò che veniva percepito nella Ballhausplatz di Vienna come irriducibile irredentismo serbo. Gli anticlericali erano poi infastiditi dal suo patronato all’associazione delle scuole cattoliche. Francesco Ferdinando al di fuori del mondo tedesco venne considerato, a torto, come il leader del “partito della guerra”, ma era una percezione completamente falsa. Infatti, l’arciduca fu uno dei principali sostenitori del mantenimento della pace all’interno del governo austro-ungarico, sia durante la crisi bosniaca del 1908–1909, sia durante le guerre balcaniche del 1912–1913.
Gli storici oggi attribuiscono a Francesco Ferdinando idee piuttosto liberali sulla visione dell’Impero. Egli era apertamente intenzionato a concedere, anche prima del saggio di Popovici, una notevole autonomia ai diversi gruppi etnici, in particolare ai cechi della Boemia (terra della moglie), agli jugoslavi in Croazia ed in Bosnia, proseguendo ciò che era stato realizzato con la creazione, nel 1867, della Monarchia austro-ungarica. L’identità nazionale e linguistica sarebbe stata incoraggiata e riequilibrati i diritti e l’esercizio del potere fra le diverse nazionalità. Egli reputava che nel corso dei secoli il nazionalismo ungherese fosse stato dannoso all’Austria.
‘Riteneva che la compagine magiara dell’esercito austriaco potesse rappresentare una minaccia all’interno delle file dell’esercito stesso. Infine, credeva necessario avere un approccio prudente verso la Serbia, seguendo la linea programmatica di Franz Conrad, il quale riteneva che Belgrado, pur di ingrandirsi, avrebbe coinvolto l’Austria in una guerra contro la Russia, causando la rovina per entrambi gli Imperî’. (Da https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Ferdinando_d%27Austria-Este; Morton Frederick, Thunder at Twilight: Vienna 1913/1914, Scribner, 1989; Jean-Louis Thiériot, François-Ferdinand d’Autriche, de Mayerling à Sarajevo, Parigi, 2011).
Il che puntualmente poi avvenne, con l’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 ed i noti seguiti. Finis Austriae e fine dell’Austria Felix… poi tanto rimpianta (magari con ironia) da Joseph Roth, Stefan Zweig, Robert Musil, Soma Morgenstern, Géza von Cziffra e l’inizio del ‘mito asburgico’, quando paradossalmente nessuno aveva mosso un dito per salvare la vecchia dinastia…
Malvisto dallo zio Francesco Giuseppe – sul trono dal 1848, in piena rivoluzione, arroccato al suo immobilismo senza futuro – dalla formalistica ed antiquata Corte di Vienna per aver sfidato l’ordine imperiale circa il suo matrimonio, offeso a sua volta per il trattamento riservato all’ amata moglie, nominata duchessa di Hohenberg, ma sempre considerata quale semplice ex dama di compagnia dell’arciduchessa Isabella d’Asburgo-Teschen, Francesco Ferdinando trascorreva gran parte del tempo al Castello di Konopiště, sua residenza estiva; viaggiava molto ed era un appassionato, compulsivo cacciatore. Nelle sue vene scorreva il sangue di quasi tutte le famiglie regnanti europee e tra i suoi avi Maria Teresa d’Austria, Carlo V, Filippo II di Spagna, Luigi XIV di Francia, Ugo Capeto, Carlo Magno, Enrico I l’Uccellatore, Eleonora d’Aquitania, Federico II di Svevia, Maria Stuarda. La madre era Maria Annunziata di Borbone-Due Sicilie, figlia di Re Ferdinando II, morta a 28 anni. Ma egli era un modernizzatore, come il suo amico, il Kaiser Guglielmo II, conscio delle sfide dei tempi nuovi, della nazionalizzazione delle masse, non il gretto reazionario militarista, solo amante delle uniformi e delle armi, come talora descritto, ed un avversario acerrimo dell’endogamia, tanto diffusa e radicata nella dinastia asburgica.
Il saggio di Popovici, del quale era noto l’ascendente sull’arciduca ereditario, faceva discutere. L’autore propendeva per un federalismo su base nazionale, etnica, mentre gli austro-marxisti Karl Renner ed Otto Bauer, e non solo loro, per un federalismo ‘storico’, non di sangue.
La prima parte dell’opera è focalizzata sulla ‘magiarizzazione’ e l’assimilazione in atto, entrambe osteggiate dall’autore. La sua critica si rivolge poi al centralismo burocratico, inefficiente, miope. La seconda parte descrive l’organizzazione della futura ‘Più grande Austria’, composta da 15 Stati membri, approfondendo le motivazioni e le necessità di ristrutturare l’Impero in un contesto di conflitti sociali e nazionali, laddove le divergenti solidarietà sociali attraversano ed aggravano i contrasti etnici. Popovici propone una ‘comune agenda politica’, legittimata e resa possibile solo dalla continuità della Casa d’Asburgo. In Ungheria il libro fu proibito, ma nell’Impero generò favorevoli commenti, espressi, ad esempio, dall’ Österreichische Rundschau. Anche gli storici Constantin Stere e Nicolae Iorga recensirono favorevolmente il saggio.
Tuttavia, in Transilvania ed altrove, l’impatto della ‘Grande Austria’ fu incerto o ambiguo. Fra il 1908 ed il 1909, Popovici fu a Bucarest l’editore e capo-redattore del giornale rumeno Sămănătorul (Il seminatore). Nel 1910 egli espresse il suo pensiero filosofico, criticando modernità, democrazia e cosmopolitismo in Naționalism sau democrație. O critică a civilizațiunii moderne. Nel 1912, si stabilì a Vienna. A causa della contrarietà dell’Imperatore e della resistenze ungheresi il progetto di Popovici e dell’arciduca Francesco Ferdinando, di una nuova costituzione basata sulla separazione delle nazionalità, non prosperò. Dopo l’assassinio di quest’ultimo ancor meno. All’inizio del conflitto continentale, nel ’14, Popovici continuò la sua opera di mediazione tra la Romania e la Monarchia asburgica, ma si scontrò con inconciliabili differenze. Postumo vedrà la luce, nel 1918, a Losanna, il suo La Question roumaine en Transylvanie et en Hongrie.
Dopo l’entrata in guerra di Bucarest contro gli Imperi Centrali, nel 1916, Aurel Popovici si trasferì a Ginevra, dove si spense il 9 febbraio 1917, pare per cause naturali. La salma fu poi trasferita e sepolta nel piccolo cimitero presso la chiesa di San Nicola a Brașov, appartenente alla Chiesa Ortodossa rumena autocefala.
Con la sconfitta e la dissoluzione dell’Austria-Ungheria, nel 1918, gli scritti e le teorie di Popovici caddero nell’oblio. I rumeni già leali agli Asburgo si defilarono o furono emarginati.
Nella decade del Trenta divenne, però, chiaro che gli Stati sorti dalla dissoluzione asburgica stavano fallendo nell’articolare una coerente politica di cooperazione regionale. Molti rimpiangevano quell’Europa monarchica perduta, dalle mille differenze, ma conviventi, e nella quale ci si muoveva liberamente, anche senza passaporto (Russia esclusa). I progetti federalisti tornarono d’attualità in Europa Centrale di fronte all’ascesa del nazismo in Germania e del comunismo in Unione Sovietica. Si manifestò in alcuni il rimpianto per la veneranda, anacronistica dinastia ed in molti il rammarico per la fine frettolosa del vecchio Impero, pieno di difetti, ma che assicurava una coesistenza sostanzialmente pacifica, tollerante al guazzabuglio di popoli, lingue, religioni, antiche lotte sanguinose, divisioni, gelosie. E spazi economici ampi. Ancor più le idee federaliste si affermarono alla fine degli anni ’80, con la caduta del Muro, e l’inizio dell’ultima decade del secolo scorso, con la fine del Socialismo Reale (che non aveva risolto positivamente alcun problema), del Patto di Varsavia e della Guerra Fredda. Non per nulla i più entusiastici fautori dell’UE furono immediatamente gli Stati già d’Oltrecortina.
Le teorie di Popovici e di altri vennero rispolverate e fatte oggetto di nuove analisi storiografiche. Aurel Constantin Popovici divenne, per molti, il primo federalista del xx secolo.
Nota*
Complessa e curiosa la personalità di Iosif Constantin Drăgan (Lugoj, 20 giugno 1917- Palma di Maiorca, 21 agosto 2008), che è stato un imprenditore, saggista ed accademico rumeno naturalizzato italiano, fondatore del gruppo industriale ButanGas e docente di Economia. Concittadino di Aurel Popovici, Drăgan si laurea in giurisprudenza nel 1938 all’Università di Bucarest. Compie il servizio militare nel suo Paese e nel 1940 si trasferisce in Italia, iscrivendosi alla Sapienza di Roma, alla facoltà di Scienze Politiche. Dopo aver conseguito la sua seconda laurea, Dragan decide di rimanere in Italia e si sposta a Milano, dove fonda la ButanGas, società di distribuzione di GPL in bombole. Lo sviluppo della sua azienda gli consente di espandere l’attività al di fuori dei confini nazionali con la creazione di società analoghe in vari Stati d’Europa, del Nordafrica e delle Americhe. Oltre ad operare nelle vesti di industriale, Dragan si interessa anche di economia a livello internazionale; nel 1973 partecipa alla fondazione della Camera di Commercio Italo-Romena. A seguito del successo raggiunto nella sua attività imprenditoriale, nel 1967 diede avvio alla Fondazione Europea Drăgan, con scopo la diffusione della cultura e degli ideali europei. Nel corso della sua carriera egli è stato anche professore di Economia in Università rumene e visiting professor alla City University Business School di Londra. Secondo la rivista finanziaria Capital, nel 2006 Drăgan era il cittadino rumeno più ricco. Drăgan è stato coinvolto in varie controversie, dai contatti con la ‘Securitate’ alla sua ammirazione per Ion Antonescu, all’essere una delle principali figure della ‘corrente protocronista’ della storiografia rumena, che afferma che la Romania è la culla della civiltà ed il popolo rumeno il più antico d’Europa. Scrisse varie opere di argomento storico. Negli anni ’30, Drăgan fu attratto dagli ideali fascisti e dalla Guardia di Ferro di Codreanu. Dopo la WWII, con il comunismo al potere, gli fu vietato per 30 anni il ritorno in Romania. Tuttavia, Drăgan si convertì poi in un collaboratore semi ufficiale di Ceaușescu e del regime comunista.