Il razzismo è un pregiudizio stupido, ma l’antirazzismo lo è ancora di più. Questa, almeno, è la conclusione a cui si arriva leggendo il bel volume Il mistero dell’occidente, di Julius Evola, edito dalla fondazione omonima, curato da Alberto Lombardo e soprattutto arricchito da un lungo saggio scientifico di Giovanni Monastra.
Come recita il sottotitolo, sono qui raccolti gli “scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970”, ovvero gli articoli pubblicati su giornali e riviste quali “Regime fascista”, “Corriere padano”, “Roma”, “il Conciliatore” etc., sull’argomento suggestivo delle civiltà primordiali e delle origini e migrazioni della razza umana. Coloro che sono già familiari con l’opera evoliana troveranno confermate e approfondite le teorie che l’Autore espose in modo approfondito nel suo “opus magnum” Rivolta contro il mondo moderno, e soprattutto l’idea non di una “evoluzione” dalla scimmia all’uomo ma, al contrario di una “involuzione” verso la civilizzazione materialista nella quale viviamo, decaduta da una civiltà superiore perché fondata su principi spirituali.
Come Evola scrisse sul “Roma” all’inizio degli anni Cinquanta, “un contrasto che non può non colpire chiunque vi porti l’attenzione, sta nel fatto che da Darwin in poi, come dogma è stata stabilita la discendenza dell’uomo dagli animali o, per lo meno, dall’antropoide scimmiesco. Ma se noi ci riportiamo invece alle tradizioni dei popoli più antichi (…) troviamo anzi l’idea opposta: l’idea di razze primordiali divine.”
Quindi, lungi dall’essere “primitive”, le attuali popolazioni non civilizzate sono, in realtà, residui degenerati di ben altre civiltà, che hanno lasciato tracce visibili e misteriose in tutto il mondo, come le vestigia megalitiche di popoli sconosciuti, ma sicuramente padroni di tecniche di costruzione mirabili e ancora ignote.
Tra i molti altri articoli evoliani interessanti, spicca un’intervista con l’antropologo tedesco Leo Frobenius, definito dal Nostro come “lo scopritore dell’anima del continente nero, colui che ne ha fatto affiorare strati sotterranei insospettabili, vestigia di culture antichissime, quasi frammenti sparsi e sepolti di lontani mondi, di cui non ci è pervenuto nemmeno il nome”.
Ma, come abbiamo già detto, il saggio/postfazione di Monastra è il vero e prezioso valore aggiunto del libro: un centinaio di pagine intitolate Rileggere l’antropologia della preistoria europea, che aggiornano gli scritti di Evola grazie alle nuove scoperte scientifiche e alle nuove tecniche di ricerca fornite dalla biologia e dalla genetica molecolare. Un primo dato utile a sgombrare il campo da equivoci e interpretazioni ideologiche è la presenza contemporanea per almeno 20.000 anni (!) di Homo Sapiens (tendenzialmente l’uomo di Cro-Magnon) e di Homo Neandethalensis (ovvero i bruti antropoidi scimmieschi che ci rifilano come antenati nei diorama dei musei di scienze naturali). Viene così smentita “ogni descrizione della nostra evoluzione così come è stata scritta nei libri di testo e volgarizzata sui giornali. Non si può individuare nessuna linea continua, graduale, corredata dai soliti fossili di transizione”.
Monastra illustra, da par suo, tutti i risultati delle principali ricerche scientifiche degli ultimi anni, ricostruendo ipotesi credibili sulle grandi migrazioni preistoriche, sulle ipotesi della patria artica degli Indoeuropei, sulle misteriose civiltà megalitiche che hanno disseminato l’Europa di “capolavori di ingegneria e precisione architettonica che (…) non sfigurano di fronte ai fin troppo enfatizzati livelli raggiunti dai popoli della mezzaluna fertile mediorientale”.
Viene, ovviamente, affrontato anche lo spinoso armento della razza, che Monastra imposta così: “Chiariamo subito che bisogna risolutamente rifiutare l’identificazione tra l’eventuale riconoscimento dell’esistenza delle razze e la discriminazione razziale, ovviamente inaccettabile”. Ma questo non significa che non esistano differenze tra i vari gruppi umani, anche se “l’intolleranza antiscientifica di matrice progressista” impedisce aprioristicamente qualsiasi classificazione in gruppi all’interno della nostra specie, in quanto fondamento di razzismo. Dovremmo, invece, conclude Monastra, “rifiutare ogni riduzionismo e ogni livellamento che nega le differenze qualitative tra i viventi, le quali rendono ricco il mondo e, al contempo, non sono (e non devono essere) sinonimo di discriminazione tra gli individui e i gruppi”.
Le appassionate e appassionanti considerazioni di Monastra ci trasportano lontano sia nel tempo che nello spazio, rivoluzionando, o comunque mettendo in dubbio, le nostre assodate cognizioni sulla storia delle civiltà eurasiatiche dei nostri avi “indoeuropei”, tali soprattutto nell’accezione culturale del termine, ovvero perché contraddistinti da una concezione del mondo e non (soltanto o principalmente) da una comune discendenza biologica. “Gli Indoeuropei, nonostante certe odierne demonizzazione, diedero vita a grandi civiltà inclusive, aprendosi al’altro da sé, ma anche chiudendosi di fronte a chi sentivano come intimamente estraneo, sapendo così tutelare limiti e confini, oggi dimenticati da molti”. E questo atteggiamento, conclude lo studioso, “è una lezione ancora valida nei tempi attuali, che dovrebbe indurci a rifiutare sia le cupe posizioni identitariste (che tradiscono l’idea di identità), sia gli sfaldati abbracci globalisti (che mistificano l’idea di solidarietà).”
Parlare oggi dei nostri antenati, insomma, non è un’oziosa ginnastica teorico-speculativa, ma è provare a capire e a ricordare cosa siamo stati e cosa, a livello inconscio, siamo ancora; perché “chi dimentica i propri avi è destinato a scomparire”.
*Julius Evola, Il mistero dell’Occidente, Editrice Pagine, pp 244 € 18