Parafrasando la celebre frase di Corneille, dedicata agli inganni che può suscitare l’espressione di un volto, si potrebbe dire che, se les visages sont souvent des doux imposteurs, anche i sondaggi sono degli impostori, più o meno dolci. A seconda di come è posta una domanda, per non parlare della stessa scelta del campione intervistato, la percezione degli orientamenti dell’opinione pubblica può risultare falsata. Con risultati a volte pericolosi, per il noto istinto gregario della maggior parte degli umani, che li spinge ad accodarsi alla carovana dei sia pur presunti vincitori. Prevedere un evento, in molti casi, significa provocarlo.
Ciò nonostante, o forse proprio per questo, i risultati del sondaggio di Nando Pagnoncelli circa le opinioni degli italiani sul decreto Zan meritano una riflessione approfondita non tanto per il dato globale, quanto per i dati scomposti per convinzioni religiose e orientamento politico. Il dato globale parla di un 37 per cento di italiani nettamente favorevoli al decreto e di un 14 per cento anch’esso bendisposto, pur senza considerarlo prioritario. I nettamente contrari sono uno su dieci, mentre il 13 per cento non lo voterebbe senza modifiche. Alto, come comprensibile, vista l’astrusità anche lessicale del decreto legge, il numero di chi non si esprime, perché non si è documentato a sufficienza, o non si è documentato affatto: quasi un italiano su due. Questi dati lasciano pensare a un paese reale più favorevole del paese legale al decreto Zan, sia pure per difetto di informazione, ma inducono a credere che la costruzione artificiale del reale realizzata pervicacemente dalla sinistra stia ottenendo notevoli successi. Se i risultati del voto al Senato sono molto incerti, quelli di un’ipotetica consultazione popolare parrebbero invece univoci, sia pure con un’elevata percentuale di astensioni. Potrebbe verificarsi, in sostanza, quanto avvenne nel 1974 in occasione del referendum popolare abrogativo della legge sul divorzio: Dc e Msi, i due maggiori partiti schieratisi contro la legge Baslini-Fortuna, detenevano la maggioranza dei seggi in Parlamento, ma vinsero con larga maggioranza i “no” (ovvero i sì al mantenimento della norma). Ma allora si trattava di decidere la conservazione o l’abrogazione di una legge che allargava la sfera di libertà del singolo, pur costituendo un obiettivo vulnus al matrimonio concordatario; oggi ci troviamo dinanzi a un decreto che rischia di mettere a repentaglio la libertà di espressione, d’imporre come verità rivelata un’ideologia priva di fondamenti scientifici e di mettere in un’obiettiva condizione di superiorità gli omosessuali rispetto agli eterosessuali, in aperto contrasto col principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. Non si capisce perché uno schiaffo dato a un gay debba essere punito più severamente di un ceffone dato a un uomo che si ostina a preferire le donne.
Quello che colpisce però, nel sondaggio Pagnoncelli, sono i risultati scomposti. Da un lato sgomenta l’alta percentuale di favorevoli al decreto legge Zan fra i cattolici, compresi i praticanti: il “chi sono io per giudicare?” di papa Bergoglio non è rimasto senza traccia. È un’ennesima conferma della secolarizzazione della società italiana, che poi è in realtà una scristianizzazione, visto che i “nuovi italiani” islamici sono tutt’altro che secolarizzati, anzi rivendicano orgogliosamente e a volte puntigliosamente la loro appartenenza. Dall’altro lato colpisce come anche larga parte dell’elettorato dei partiti del centrodestra (addirittura il 40 per cento dei simpatizzanti di Forza Italia, un po’ meno i seguaci della Meloni e ancor meno quelli di Salvini) si professino favorevoli alle proposte dell’onorevole Zan. Questi dati, veridici o no che siano, potrebbero esercitare un effetto rilevante sul voto al Senato: i “franchi tiratori” del centrosinistra, che senz’altro ci saranno, potrebbero essere bilanciati da quelli del centrodestra, da quell’area liberal di Forza Italia che già ora sopporta malvolentieri le indicazioni del capogruppo e che potrebbe trovare conforto alle proprie scelte dai presunti orientamenti dell’elettorato. Se fossi un inglese, patito delle scommesse, punterei di conseguenza qualche sterlina sull’approvazione del decreto. Ma per fortuna non lo sono, visto come si sono comportati gli inglesi nella finale degli Europei.
p.s. A proposito di referendum. Amintore Fanfani era un uomo che non aveva paura di prendere posizione, senza paura di un “politicamente corretto” che all’epoca per altro non esisteva, o magari si manifestava in altre forme. Tutto il contrario dell’altro “cavallo di razza” della Dc, il criptico ed elusivo Aldo Moro, soprannominato (erano gli anni del grande successo del capolavoro di Pasternak, e del relativo film) il Dottor Divago. Quando la contestazione studentesca e l’autunno caldo sconvolsero le basi del vivere civile, Fanfani non si peritò di citare i celebri versi danteschi sulla “serva Italia, di dolore ostello, non donna di province, ma bordello”, suscitando magari qualche scandalo in sagrestia. E durante la campagna elettorale per il referendum contro il divorzio si espose in prima persona, con interventi degni di una certa aretina “botoloringhiosità”. Nel corso di un comizio in Sicilia se ne uscì con un’affermazione che gli venne a lungo rinfacciata: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva”.
Il referendum gli diede torto. La storia purtroppo gli sta dando ragione.
p.p.s. non sono mai stato democristiano e i miei primi ricordi di Fanfani risalgono alla prima elezione che seguii con interesse, le politiche del 1963. Avevo dieci anni e mia madre era socialdemocratica, mio padre votava il partito liberale, che aveva come slogan “per un domani senza Fanfani, per un Fanfani senza domani”. Ovviamente seguivo mio padre, anche perché nella Passeggiata a mare di Viareggio, dove ero in vacanza per la chiusura preelettorale delle scuole, campeggiavano i manifesti del Pli che indicavano come candidato l’eroe di guerra Luigi Durand de la Penne. Ogni tanto in casa mia entrava il settimanale “Lo Specchio”, che aveva una rubrica dedicata alla disneyana Banda Bassotti (chiaro riferimento alla non eccelsa statura di Fanfani (“figlio della Dc e dei Sette Nani”) che depredava l’Italia. In seguito ho avuto modo di rivalutare il suo operato, volto a portare nell’ambito del cattolicesimo democratico quegli ideali di collaborazione fra le classi che costituivano l’aspetto più sano del corporativismo fascista. Ma non sono mai andato più in là; l’unico mio peccato, che confesso volentieri, è la critica ovviamente positiva di una sua mostra di quadri (si piccava di essere pittore, e devo dire che dipingeva meglio di tanti altri) alla Galleria Pananti di Firenze, sollecitata dal direttore del “Messaggero Veneto”. Se penso al fatto che a giudicare dai film presentati a Cannes le donne sono tutte o quasi lesbiche, e che a leggere i rotocalchi ci sono più transgender che padri di famiglia, devo ammettere che quella sua sortita non era fuori luogo.
Caro Enrico. D’accordo sull’articolo, al solito efficace. Una piccola osservazione, però. ‘…Si trattava di decidere la conservazione o l’abrogazione di una legge che allargava la sfera di libertà del singolo, pur costituendo un obiettivo vulnus al matrimonio concordatario’. Il matrimonio concordatario fu uno dei grandi regali che Mussolini fece alla Chiesa nel 1929, e che nessun liberale avrebbe mai fatto, neppure un liberale cattolico come Giolitti, cioè trasformare il sacerdote officiante in ufficiale di stato civile, la delibazione delle sentenze della Sacra Rota ecc. Al tempo del matrimonio dei miei nonni (Dall’Unità ai Patti Lateranensi del 1929) l’unico matrimonio valido era quello in Municipio e tutti si sposavano quindi in Municipio, Poi, volendo, anche in Chiesa. Vale a dire lo Stato unitario, il Regno d’Italia, non aveva delegato nulla in materia alla Chiesa (o si era ripreso quello che le era stato ridato dopo l’epoca napoleonica). Il matrimonio era rimasto civilmente indissolubile (o annullabile) solo fino a che il Governo o il Parlamento non avessero deciso altrimenti; e ci furono iniziative (da quelle di Tommaso Villa a quelle di Zanardelli) in tal senso, per introdurre cioè il divorzio, che non prosperarono solo per contingente timore di perdere il voto moderato…
Prima di Napoleone, per la verità fu l’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo, figlio di Maria Teresa, a sancire la potestà statuale nel matrimonio. Da allora si ritorna a ciò che il matrimonio fu nell’antichità, anche per gli ebrei: un contratto, non un sacramento…