
I luoghi dove gli avi sono nati, hanno vissuto, hanno costruito una città, un borgo, dove hanno costruito la propria casa, è il luogo che il Fato ha scelto. Anche la nascita non è causale, in un posto o in un altro. Un uomo risponde ai disegni degli Dei, sostenevano gli antichi. Nel mondo della globalizzazione, dove è supportata e incoraggiata la “libera circolazione di uomini e merci” attraverso tutto il mondo si tende a recidere il collegamento fra uomini e luogo d’origine, fra casa ed esistenza.
Pertanto constatare che esistono ancora realtà editoriali che mettono in circolazione saperi antichi e tradizionali, dà forza e aiuta alla resistenza contro questo mondo postmoderno che tutto distrugge nel nome del nichilismo, del materialismo e del profitto.
È il caso delle benemerite edizioni di Ar che hanno dato alle stampe una serie di libri di valore su questi temi, alcuni editi in passato, ormai quasi dimenticati. Un’operazione quindi doppiamente meritoria. Prendiamo in esame tre libri usciti negli ultimi tempi.
I popoli d’Italia
Il primo è di Giacomo Devoto e della sua allieva Gianna G. Buti che pubblicarono, nell’ormai lontano 1974, Preistoria e storia delle regioni d’Italia. Una introduzione. Un volume di grande interesse, tratto da un testo che inizialmente fu realizzato per un’enciclopedia edita nei primi anni Sessanta del secolo scorso, Tuttitalia. Nel 1974 i due autori riscrissero e ampliarono il testo che uscì autonomamente. Pur mantenendo un’impostazione di carattere divulgativa, è rivolto anche al pubblico di intellettuali. “La preistoria non è fine a se stessa: è l’introduzione alla storia”. È per coloro che oltre a voler conoscere la preistoria e la storia d’Italia vogliono capire la nascita di certe regioni e sciogliere il nodo relativo ad aspetti di carattere storico non ancora chiariti o addirittura ancora non definiti. Ma gli autori sottolineano che si sono prefissi una seconda finalità: “Influenzare il mondo dei cultori di preistoria, suggerendo curiosità, additando problemi, superando il culto del più lontano nel tempo, e riconoscendo che nelle società umane, anche nelle più lontane e antiche, l’uomo aveva passioni e stimoli da far prevalere, adattamenti da subire – dicono gli autori – , in un continuo alternarsi di immobilismo e avventurosità”.
Si tratta di una guida, un’introduzione alla preistoria e alla storia, densa di significati e di indicazioni per conoscere la terra degli avi, la nazione e le regioni che la compongono.
Bachofen nella Roma eterna
Altro libro interessante è Paesaggi dell’Italia centrale. L’autore, Johann Jakob Bachofen, pensatore di Basilea, visita il Lazio, lo ama, vede con occhi del passato, senza cercare collegamenti con l’”attualità” (il viaggio avvenne nel 1851). L’autore ammirò estasiato il Lazio degli antichi, dei Romani. “Una inesprimibile potenza – afferma -. La grandezza della natura accanto a quella dell’uomo, e in entrambe la maestà di Dio: questo è ciò che la appaga chi la contempla. Nessuna parte d’Italia si può misurare con il Lazio per augusta gravità. Il Meridione – dice Bachofen – lo supera senza dubbio per la ricchezza e l’esuberanza della natura, ma altrettanto decisamente gli è secondo quanto alla grandiosità delle forme e alla festosità e dignità del carattere”.
Umberto Colla, curatore dell’edizione e prefatore, sottolinea che “La fedeltà al passato, alla tradizione, agli antichi sentiti come maiores e come più vicini agli Dei (secondo un detto di Cicerone) dà una forza particolare alla reazione di Bachofen contro l’empietà dei moderni”. Franz Dorotheus Gerlach e Johann Jacob Bachofen scrissero insieme una Storia dei Romani che non andò oltre i primi due volumi. Questo Paesaggi dell’Italia centrale è il primo capitolo del primo volume che mantiene tutta la sua forza anche autonomamente e merita di essere letto. Una lettura della storia romana, come affermò nella prefazione Gerlach, scevra da interpretazioni con il metro di giudizio del XIX secolo. Metodo usato spesso in quel tempo dalla scuola storica berlinese capeggiata da Barthold Georg Niebuhr, detta della “critica delle fonti” che si contrapponeva a quella di Basilea di cui facevano parte Gerlach e Bachofen, maestro e allievo.
Casa, dolce casa
Le scuole di pensiero hanno la loro importanza e danno frutti. Gianna Buti, prima di scrivere Preistoria e storia delle regioni d’Italia con il proprio maestro Giacomo Devoto, aveva pubblicato La casa degli Indeuropei dove aveva studiato e analizzato la costruzione delle case dagli antichi popoli indoeuropei. Là è il luogo dove si compie la propria esistenza, dove tutto riflette i propri gusti, il proprio carattere. La casa ebbe, per i popoli indoeuropei, grande importanza, al punto che “l’opera dei singoli così si congloba”.
Nei fatti, per gli Indoeuropei, la casa era il primo punto di riferimento della famiglia e quindi della comunità. Era la patria, il luogo dove c’erano le persone care, gli affetti, le proprie cose, era il ricovero, e man mano che avanzava la civilizzazione, per gli Indeuropei l’abitazione evolveva in schemi urbanistici e statali, secondo l’organizzazione interna della comunità. La famiglia, del resto, che prevede comunanza di vita, svolge la sua esistenza proprio nella casa, dove si prevede che tutti debbano vivere insieme. La casa quindi non è solo il luogo dove vivere insieme ma anche luogo spirituale, luogo che mostra e dà senso a un’unione determinata dalla comunità di sangue.
Le edizioni di Ar hanno ripubblicato questo volume ormai introvabile di Gianna Buti che ha messo a punto nel 1962 un innovativo e pionieristico studio su un tema poco trattato. Buti analizza con particolare attenzione la realizzazione delle case da quel popolo, secondo un filone di indagine che coniuga Tradizione e archeologia, come il sottotitolo del volume indica. Nel primo capitolo si fa riferimento non solo all’indagine archeologica che offre materiale per comprendere le differenze che si affermarono in seguito: le case in cavità, nelle grotte, infossate e con casa-tetto e case costruite a livello del suolo, ma anche alla filologia, al senso che le parole avevano e che rimandavano ai processi mentali, alle credenze religiose, alle istituzioni giuridiche, politiche ed economiche. Nell’Europa del Nord e del centro, con paesaggio boscoso, le case si realizzavano principalmente con il legno almeno fino all’epoca romana, quando la costruzione in legno fu sostituita con la tecnica in muratura, poi sostituita dai mattoni. Ma nonostante queste innovazioni, la maggior parte delle case nel Nord e centro Europa erano costituite da quelle in legno, utilizzate da Galli, Britanni, Slavi e Lituani. L’utilizzo del legno era dettato dalla facile reperibilità nelle fitte foreste e dalla qualità che garantiva la durata delle abitazioni per molti anni. Situazione differente per il Sud ed Est Europa dove, invece, le foreste erano poche ma c’era il verde sotto forma di macchia. Lì facevano ricorso all’argilla. Testo interessante che, al di là delle tecniche, descrive una mentalità, una organizzazione particolare delle comunità Indeuropee che si è poi estesa in tutti settori dell’agire umano.
‘Nel mondo della globalizzazione si tende a recidere il collegamento fra uomini e luogo d’origine, fra casa ed esistenza’. Forse è così, ma non per scelta deliberata, per conseguenza. Come dire che le campagne si sono spopolate con l’industrializzazione o che l’uomo si nè impigrito con la luce eletrica e l’acqua potabile… L’ansia di possesso e di profitto è vecchia come il mondo e precede il capitalismo propriamente detto. Forse che mille anni fa si aveva memoria degli antichi dèi? Bene o male il tempo avanza, il mondo procede, cambia consuetudini, credenze, istituzioni, modi di vivere. Studiarli e non dimenticarli è opportuno, gratificante, ma non salvifico… Ci salviamo e non andiamo a sbattere guardando avanti, non indietro…