«Nel 1932 pubblicai un Saggio su l’amore, nel quale sostenevo una tesi ardita…che risentiva anche dell’inesperienza della giovinezza». L’autore, Giulio Cogni, dedicava il libro a «Giovanni Gentile anima grande». Sono pagine colme di un misticismo erotico – dove si vuole che l’amante abbia fame dell’amato – costruite con un «fraseggiare molto frondoso e immaginoso» (Gentile). Guido De Ruggiero astiosamente accusò l’autore di tentare «di svolgere l’idealismo attuale in antropofagia». La tesi dispiacque a Mussolini, come riporta Giorgio Pini nel suo Filo diretto con Palazzo Venezia. Più tardi, Emilio Servadio, precursore in Italia della psicanalisi e della parapsicologia, avrebbe osservato che quei concetti trovavano conferma negli studi psicanalitici. Idee simili si colgono nelle Upanishad, nell’evangelico «questo è il mio corpo»; quindi in Leonardo, Campanella: «amare quell’essere è divenire quell’essere». E poi Novalis, Feuerbach, D’Annunzio… «Molte espressioni di quel libro sono molto forti, e oggi l’autore stesso le riprova», ma il pensiero in esso formulato si svilupperà lungo l’intero suo percorso filosofico.
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Di Giovanni Gentile, «il più grande genio filosofico della nuova Italia», Cogni fu discepolo devoto e ne serbò sempre memoria riconoscente. A dieci anni dall’assassinio, ricordò con delicati tratti di penna l’uomo, la sua bonomia, la sua generosità, la tolleranza verso i numerosi detrattori – soffermandosi, fra l’altro, con nostalgia nella descrizione del Maestro in conversazione nella quieta estate versiliana, nella serenità del tramonto, le Apuane sullo sfondo.
Dalle origini siciliane del filosofo traeva lo spunto per dedicare una bella pagina alla primazia filosofica del nostro Meridione. La terra del sole, l’Italia sapienziale della scuola pitagorica e di Empedocle. E dell’Aquinate, Campanella, Bruno, Vico. La Napoli-Begriff di Spaventa; Croce e la sua corte; gli “irregolari” Tilgher e Giusso…
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Sul «Giornale critico della filosofia italiana», fondato e diretto da Gentile – contraltare della «Critica» crociana – di Cogni videro la luce saggi su immanenza e trascendenza, sulla filosofia e la filosofia della storia. Aveva un ruolo in quella rivista, come redattore, Guido Calogero, il quale, per odio ideologico, con subdole argomentazioni tentò di indurre il direttore a porre il veto alla pubblicazione degli scritti di Cogni – apprezzato da Gentile come «giovane d’ingegno e colto», nei cui lavori riconosceva che il «contenuto è tutt’altro che risibile o banale. E il tutto è giusto nella sua linea». Non riuscì dunque il machiavello ordito da un discepolo di quel filosofo che – qualcuno ha scritto – «rispettava e stimava come un maestro». Infatti! Calogero fu fra i personaggi di primo piano di quel Partito d’Azione che decretò la condanna a morte di Gentile; dell’esecuzione si incaricò la sempre disponibile manovalanza comunista – sono in proposito illuminanti le pagine dell’imperdibile La ghirlanda fiorentina di Luciano Mecacci.
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Nelle opere di Wagner Cogni colse una affinità di pensiero: l’amore che distrugge la dualità, l’universalità del sentimento religioso. Tradusse e interpretò liricamente la Tetralogia, il Parsifal e il Tristano – con la sua curatela compì un passo “oltre” rispetto a quella, ottima e filologicamente impeccabile, del filosofo e germanista Guido Manacorda. Non mancò di partecipare ogni anno al Festival di Bayreuth, nel cui ambiente contò numerose autorevoli amicizie, e in cui i suoi studi sull’arte e la filosofia wagneriane godettero di buona considerazione.
Nel Parsifal, dietro uno scenario cristiano (Nietzsche: Wagner «vinto e spezzato davanti alla croce cristiana») si coglie un retaggio induista e buddista, perciò monistico – eredità di Schopenhauer. Né va dimenticata l’influenza esercitata sul Maestro dalla lettura del classico Budda di Oldemberg, nonché l’amicizia con Eduard Schuré, il noto autore de I grandi iniziati – da Rama a Gesù. Mentre grande notorietà ebbero nei suoi anni gli studi dell’indologo Paul Deussen, «il primo vero conoscitore della filosofia indiana in Europa» (Nietzsche).
Dal Saggio su l’amore: «Fammi sostanza tua…par che dica l’amante all’amato» – Dal Tristano: «senza nome/non più due/illuminati infiammati/nelle fiamme/uno solo diventati». Annullamento dell’illusione dualistica nell’identificazione con l’unità assoluta.
Di Wagner Cogni curò la versione italiana di Religione e arte (ora riedito da Iduna), dove sono raccolti i cosiddetti scritti della Rigenerazione – composti in parte fra Napoli e Siena negli ultimi anni della sua vita – sull’arte, sulla musica come valore religioso universale.
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Cogni fu un promotore in Italia della cultura razziale. Nel 1937, per i tipi delle edizioni Bocca, videro la luce due suoi libri: Il razzismo e I valori della stirpe italiana (un titolo, questo, vagamente giobertiano). Vi si studiano le peculiarità dei popoli, la storia, la tradizione, la psicologia, la cultura, l’ambiente – nonché le tipiche caratteristiche del popolo italiano. La trattazione si appoggia sulle ricerche di studiosi soprattutto di lingua tedesca, quali Rosenberg, Günther e altri, non senza qualche attenzione a datate teorie antropologiche positiviste.
Possono avere influenzato questo indirizzo culturale di Cogni i suoi studi wagneriani. Infatti è notorio l’interesse di Wagner per la questione della razza. Inoltre dobbiamo ricordare come nel milieu di Bayreuth gravitassero personaggi quali Arthur de Gobineau, autore del noto Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane; o Houston Stewart Chamberlain – genero e biografo del Maestro – scrittore di riferimento nella cerchia degli studiosi di questi temi.
Vale la pena ricordare un episodio rivelatore del camaleontismo del “letterato”, figura che da sempre intossica la cultura italiana – l’Italia dei “letterati” deprecata da Gentile. Uno scrittore oggi dimenticato – il cui nome è bene omettere per scongiurare il rischio di trarlo dal meritato oblio – a suo tempo convinto assertore della cultura razziale, in occasione di un convegno della Comunità europea degli scrittori, presente Cogni, promosse una mozione intesa a escluderne autori che avessero condiviso teorie razziali. La mozione, ça va sans dire, fu accolta.
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La musica, la poesia. Della musica Cogni studiò il recondito significato. Ne colse i «sovrumani misteri». Fu autore di composizioni musicali per orchestra e da camera. Dedicò un libro a Le forze segrete della musica.
In Agape eterna e Agape sacra sono raccolti versi dove ritorna il tema dell’armonia del tutto, la compenetrazione degli esseri: la filosofia di Cogni riversata nella poesia.
«Dorme un canto in tutte le cose/assorte…un sogno immortale:/e tutto il mondo comincia a cantare/se il cuore ne chiama la magica voce/dell’eterna poesia».
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Nel 1949 apparve in versione italiana Il cannibalismo. Civiltà, cultura, costumi degli antropofagi nel mondo di Ewald Volhard, primo studio scientifico sull’antropofagia. È a tutt’oggi il più completo studio sull’argomento, dove viene trattato il cannibalismo dal punto di vista profano distinto da quello magico, giuridico, rituale. Il libro toglie consistenza ai luoghi comuni sull’argomento, che viene invece inquadrato in una cornice culturale, geografica, storica. Valgano due citazioni – Leonardo: «In nella cosa morta riman vita, la quale ricongiunta alli stomaci dé vivi, ripiglia vita sensitiva e intellettiva». Tommaso Caffarini, confidente e biografo di Caterina da Siena, riferisce che essa avvertiva talora in bocca il sapore della carne di Gesù Bambino.
In una pagina del suo Diario Giovanni Papini annota: «Comincio a leggere il libro di Ewald Volhard sul cannibalismo, ricchissimo di esatte notizie», e ricorda più sotto «le teorie di Cogni sui rapporti fra l’antropofagia e l’amore».
Il libro fu pubblicato da Einaudi nella cosiddetta Collana viola – dal colore delle copertine – prestigiosa collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici diretta da Roberto Pavese e Ernesto De Martino. Traduttore e autore della prefazione Giulio Cogni. Pare che Pavese decidesse la pubblicazione senza informarne De Martino – alla cui scienza faceva ombra il settarismo – il quale scrisse che la prefazione gli pareva concepita all’insegna del razzistico Blut und Boden… e nelle successive edizioni se ne è persa la traccia.
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Cogni conobbe Julius Evola dopo averne letto Teoria e Fenomenologia dell’individuo assoluto. In questi due libri l’autore aveva seguito il solco della filosofia idealistica per poi, non deviarne, ma superarla e teorizzare un transidealismo dell’individuo assoluto che avrebbe costituito il fondamento della successiva sua straordinaria opera. Approfondimenti in proposito, negli studi di Roberto Melchionda, grande interprete del pensiero evoliano.
Cogni perse poi di vista Evola. Fino a quando, negli anni Sessanta, un giovane amico, con il quale amava intrattenersi in lunghe conversazione che si protraevano fino a notte fonda, lo indusse a leggere i molti libri che Evola aveva nel frattempo pubblicato, ai quali dedicò un ampio saggio critico, incluso poi nel suo Io sono te. Prende le mosse dal monismo panteistico hegeliano: lo spirito assoluto si identifica con il mondo finito, il trascendente si immedesima con l’immanente. Tutto è Uno e l’Io agogna a compenetrarsi nell’altro, rivelando l’illusorietà della distinzione. Anche l’atto sessuale è un sacrificio di sé e un mezzo di unione divinizzante. Evola teorizza una dura ascesi del distacco, della distinzione, della distanza che conduce a un arroccamento nelle algide altezze «nelle quali tuttavia è difficile respirare».
Evola contraddisse Cogni con una replica severa e un po’ piccata, raccolta poi nel suo libro L’arco e la clava. La polemica si fondava su un equivoco, infatti il disaccordo verteva su una medesima metafisica. L’Uno metafisico di Evola e l’Uno panteistico di Cogni sono le due facce della stessa medaglia. Detto in estrema sintesi: non riconoscendo l’esistenza di un Dio creatore distinto dal creato, le dottrine d’Oriente – i Veda per esempio – e d’Occidente – i neoplatonici – immaginano un Principio dal quale tutto emana, del quale tutto è in qualche modo partecipe. Dal cristallo senza macchia del vertice si irradiano infinite realtà che in un processo di progressivo allontanamento dalla fonte vedono offuscata la propria luminosità fino ad apparire opache, ma che conservano tuttavia l’essenza del Principio. Nell’universo della manifestazione si sviluppa una dinamica discendente o ascendente dove il Tutto panteistico di Cogni partecipa al Tutto verticale di Evola. Si legge nella Tabula smaragdina: «Ciò che è in basso è come ciò che è in alto. E ciò che è in alto è come ciò che è in basso…poiché tutte le cose sono e provengono da una».
Cogni firmò anche un contributo per un volume di testimonianze su Evola, che – in occasione di varie visite del summenzionato giovane – non mancava di chiedere notizie dell’ “antropofago”, come scherzosamente lo chiamava, del quale comunque riconosceva la statura intellettuale e la profonda cultura.
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Nell’India dei Veda, nell’India monistica Cogni incontrò un mondo dove una vertigine di templi, immagini, musica, colori che risplendono con fiammeggiante intensità esprime le forme cangianti del Principio unico, dell’Uno che si manifesta in una miriade di figure rimanendo sempre sé stesso. E si sentì immerso in «una calda dolcezza omnicomprensiva e autogiustificante, sovranamente tollerante, amante e accettante, trascendente o paterna e immanente o materna». Fu ospite ad Auroville, la città “ecumenica” sorta per la diffusione dell’insegnamento del filosofo mistico Sri Aurobindo.
Di Aurobindo Cogni curò la versione italiana della ponderosa Sintesi dello yoga, che riassume la dottrina delle scuole yoga e disegna una visione d’insieme che riconduce a unità tutti gli insegnamenti religiosi e filosofici dell’India.
Cogni fu autore altresì di una traduzione poetica, che rendeva la musicalità del testo, della Bhagavad-Gītā (Canto del Beato). Il Canto è racchiuso come una perla nel racconto del Mahābhārata, sterminato poema epico che compendia l’intero scibile dell’induismo; insegna che ogni azione umana, purché svincolata da desiderio egoistico, indifferente al “risultato”, ha valore di sacrificio e arricchisce di una nota l’armonia del cosmo.
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Giulio Cogni nacque a Siena nel 1908. Nel 1983 varcò la soglia dell’Ade, immaginato dal suo amato Wagner come «incoscienza totale, nulla assoluto, svanire di qualunque sogno».
(da Il Corriere Metapolitico Anno V, numero 13)