La testa ci sbatterò. Sempre là, sempre tu. C’è solo la tv, maledetto Covid. La sensazione è quella di un coito interrotto ma la gioia, covata a lungo nell’auto-incitazione di un ambiente intero a starsene “zitti”, è grande lo stesso. In Serie A dopo ventitré anni. Che per quest’ambiente – che meriterebbe davvero altro – è un po’ come uno scudetto. E invece abbiamo dovuto sorbirci di tutto: due fallimenti in sei anni, in mezzo praticamente di tutto, tra cui la grottesca apparizione di un paisà sedicente miliardario in chissà quale valuta (forse quella falsa con la quale lo beccarono anni fa alla stazione di Bologna). A Salerno abbiamo visto cose che voi umani (che seguite gli squadroni) non potete neanche immaginare.
Ci chiederemo come mai, il mondo sa tutto di noi. Perché tanti, ma tanti, sono gli avversari. Tanti di più sono gli amici. È il gioco del pallone, dello sfottò, dei limoni che si prendono e ricambiano a ogni primavera, delle rivalità e delle fratellanze, degli abbracci e degli striscioni, che si rinnovano. Ci sono però, anche i tromboni sfiatati che parlano, anzi digitano, solo per darsi delle arie con la presunzione di rovinare la vita degli altri. O gli occasionali, quelli che si imbucano a ogni festa con la speranza di farsi notare. E sono sempre troppi. Eppure fanno inevitabile e puntuale contorno al gioco, del pallone e, soprattutto, della vita: guitti o poco più. Roba della quale si può e si deve fare a meno: lasciateci respirare.
Vattene, amore. In realtà, mai sbocciato tra Claudio Lotito e la Salernitana. Alcune uscite del patron non sono andate giù manco con la promozione: quel fare da tronfio Pirgopolinice, quella Serie C che avrebbe sempre e solo “fatto” il club. E come glielo spieghi che alla Salernitana di Gipo Viani – genio del pallone sbocciato proprio in riva al Tirreno – bastò una stagione in serie A ( 1947-48) per rivoluzionare, per sempre, il calcio italiano. Viani, capitalizzando l’intuizione di Antonio Valese uomo simbolo dello sport a Salerno, arretrò un attaccante sulla linea di difesa e s’inventò libero e catenaccio, il Vianema. Per la gioia (futura) di Gianni Brera.
Vattene o saranno guai. E come glielo spieghi che Pierino Prati è nato, calcisticamente, con la maglia granata. E Ciccio Cordova? E Ringhio Gattuso, Marco Di Vaio, David Di Michele che fece il Fenomeno a Milano davanti a Ronaldo? E come glielo dici che se a Salerno il trottolino amoroso di Mietta e Amedeo Minghi non è mai passato di moda è perché su quelle note colse l’ultima vittoria della sua carriera da calciatore il grandissimo Agostino Di Bartolomei. Appena prima delle Notti magiche, nell’estate del ’90. Ecco, Lotito. Ora gli tocca fare le valigie per forza, senza rancore e anzi con la gratitudine che merita chi, dalla polvere della D ti ha portato alla gloria della A. È nella storia e ci resterà. Non fosse stato lui, non fosse stata multiproprietà, non ci fosse mai stato l’articolo 16 delle Noif, si sarebbe parlato di miracolo sportivo e organizzativo. In tutta Italia. Ma lui è lui, la piazza è quella troppo appassionata di Salerno: tutto tace. Meglio così.
Il tuo nome sarà su un cartellone che fa…. Devo, pubblicamente, delle scuse all’allenatore Fabrizio Castori. Al suo arrivo ero nel coro di chi mugugnava. Come un pollo, me ne ero dimenticato: l’ultima volta che una stagione era iniziata nella contestazione è poi nato il mito, completamente folle e irrazionale, di Delio Rossi. Quella è stata una storia d’amore. Oggi, anzi ieri, forse da un po’, con Fabrizio Castori ne è nata un’altra. Su basi del tutte diverse. Stop al “bel gioco”, in una piazza che di Rossi s’era innamorata anche per il suo pirotecnico 4-3-3. Solidità e concretezza, grinta e cazzimma. Le partite si vincono, innanzitutto, non prendendole. Primum vivere, deinde philosophari. Artigiano del calcio semplice eppure efficace, Castori – in un’intervista post-promozione – ha ammesso di sentirsi “nemico” del tikitaka, o almeno di quelli che lo scimmiottano. Perciò, per batterlo, lo conosce meglio di chiunque altro. Per favore, non ditelo, vi prego, a Lele Adani.
La testa ci sbatterò. Sempre là, sempre tu. Sperando che riaprano lo stadio, senza sapere chi domani metterà i soldi per iscrivere la squadra alla Serie A. Ebbri di nulla: niente ce ne viene in tasca, ecco perché è una gioia così grande: è un dono gratuito a se stessi e a una comunità. Intanto il mondo rotola, come sempre incarognito. Appresso ai twitt, tra urla e indignazioni perenni. Il nulla che si ammanta di sentenziosa serietà, estremamente loquace e perciò affascinante, riempie tutto. Intrattiene, costringe a prendere posizioni da spendere su un mercato: che sia quello dei generi commerciali, dei sondaggi d’opinione, dei trend topic sui social. Per qualche giorno, tutto questo è scivolato via: non c’è Fedez, non c’è reazionario urlante, non c’è nessuno. Solo un po’ d’entusiasmo, alla greca: un sorso e basta, non di più, di vita ebbra. Che annichilisce il grigiore quotidiano, in cui – con Carmelo Bene – “si parla solo di cazzate” e finalmente riporta a occuparci di cose serie, vere e vive: il sogno, per quanto folle e incomprensibile agli altri esso sia.
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