Soliamo dire che la mancanza del calcio italiano è il gioco per strada o nei campetti e che senza questa componente fondamentale il calcio professionistico è destinato a morire. Ma in quale misura giocare per strada può essere fondamentale?
Partiamo da un assunto imprescindibile, quando non vai ad una scuola calcio, decidi di tua spontanea volontà come e quando giocare, ogni volta che indossi le scarpe (da ginnastica o da calcio) lo fai per pura passione e agonismo. Questa tensione al divertimento, alla sfida poi la si riporta tale e quale nelle situazioni di gioco, perché si sa che giocando per strada diventa più una sfida per la sopravvivenza che una partita, già solo per il fatto che se cadi per terra, come minimo torni a casa con le ginocchia sbucciate. Quindi ti impegni il doppio per restare in equilibrio, cerchi di saltare l’uomo e pavoneggiarti, facendo vedere ai compagni che tu sei il faro di quella mini-partita, che hai le carte in regola per giocare in quel posto.
In questa maniera ogni ragazzo che prende parte al gioco stile paideia allena non solo la tecnica, ma anche l’aspetto fisico, mentale e quello tattico, i quattro capisaldi che formano un giovane calcatore, secondo le direttive di Coverciano. Toccando sempre la palla e ingaggiando sempre duelli e 1 vs 1 per dimostrare il tuo valore o chiudersi per salvare il risultato e partire in contropiede sono principi tecnico-tattici che impari da autodidatta, senza che alcuno te lo dica e per questa ragione rimangono impressi e si sviluppano in maniera molto più veloce e immediata. Quando dei meccanismi diventano automatismi, poi imparare è molto più facile, così calciatori acerbi riescono a diventare maturi e pronti per i grandi palcoscenici perché già temprati e allenati alla dura vita del campetto/strada. Quando invece il calcio è insegnato esclusivamente nelle scuole calcio, si perde quella sacralità dello sport, quel principio inalienabile al divertimento e alla passione, lo sport diventa obbligo e si incamera in rigidi schemi e regole, che, ovviamente, sono giusti, ma non sono bastevoli per formare e creare un giocatore completo.
L’Italia, così, carente di quel gioco primordiale, sta cercando di ricostruirsi attraverso l’organizzazione in diversi ranghi, partendo dai patentini obbligatori per allenare qualsiasi fascia d’età, all’uso di protocolli di allenamento e un capillare settore di scouting. Tuttavia, sembra che in nazioni dove ci sia ancora la possibilità di usufruire di spazi liberi per il divertimento, come in Scandinavia o nell’Europa centrale e Regno Unito, stiano sbocciando i veri talenti del calcio futuro: Musiala, Goretska, Haaland, Kulusevski, Sancho, Odegaard e chi più ne ha più ne metta. In questi posti, quando cammini, vedi scorgere campi da calcio immensi, con porte regolamentari ergersi nel mezzo di parchi e completamente accessibili senza bisogno di alcun pagamento. Così chi vuole andare ad allenarsi è libero di farlo per quanto tempo vuole e con chi vuole; può allenare la tecnica individuale, il calcio, la tecnica di squadra, gli automatismi con gli amichetti o l’agonismo in partite organizzate all’ultimo secondo.
Tutto questo può farlo a portata di mano, data la capillarità con la quale sono sparsi questi campi, senza impegno economico e a proprio piacimento, scegliendo il giorno ed il momento più opportuno. Solo in questa maniera, dando libero sfogo all’estro, alla voglia di divertimento, al talento, al ripetuto contatto con il pallone si può creare una leva calcistica in grado di fronteggiare le insidie dei grandi palcoscenici. In Italia, invece, sembra sempre più un tabù poter usufruire liberamente di un campo da calcio per allenarsi, non solo per via dell’ingente privatizzazione dei campi, ma anche per via del loro numero esiguo. In più giocare per strada risulta sempre meno fattibile sia per via della tecnologia che inchioda i giovani ad una sedia e che quindi ne riduce il numero, ma anche per il fatto che le città sono in pasto alle automobili e quindi scendere per strada a divertirsi con gli amici risulta sempre più pericoloso ed inavvicinabile.
Siamo sicuri, però, che con la sola organizzazione si possano crescere e fare maturare i tanti talenti inesplosi che abbiamo?