“Provocatori”. “Fascisti”. “Velleitari”. Sono questi ed altri gli epiteti con i quali l’establishment di destra e di sinistra, di maggioranza e di opposizione, ha etichettato qualche giorno fa i ristoratori in protesta a Roma. Non c’entra, in questo scostante giudizio, soltanto il benemerito aiuto e la coraggiosa presenza di CasaPound. Vi si deve leggere fra le righe qualcosa di più.
E’ ormai piuttosto evidente che chi è autorizzato a gestire il piano politico, ossia la mediazione fra potere reale ed elettore, non abbia altro interesse che mantenere ogni dialettica nei termini della concessione dall’alto. Non solo per autoconservazione, il sistema partitico si adopera nel suo complesso affinché il rapporto potere/suddito venga normalizzato; la post-democrazia risulta infatti funzionale al modello economico-sociale in via di trasformazione.
Ogni forma di ribellione, nuova sindacalizzazione, ri-socializzazione, deve quindi essere fortemente demonizzata, e bloccata sul nascere. Il punto è dunque, come si diceva, funzionale: la società post-pandemica delineata dai documenti economici dell’agenda Onu 20-30 appare infatti come una società globale fortemente controllata e formalmente indirizzata. Il tema green, l’ambiente, la scarsità di risorse naturali, le abitudini alimentari, dominano l’agenda stessa. Il lavoro, un tempo elemento centrale di qualsiasi documento costituzionale, sparisce, sostituito dal delicato rapporto fra reddito (moneta/debito) universale e progresso robotico.
Un’agenda così precisa e rigida, che nel suo feticismo per il positivismo tecnico continua a vedere marciare uniti marxisti e liberisti, non può essere ovviamente concertata. Non possono esservi effettivi spazi di discussione, soprattutto se, come nell’ultimo anno, la cornice di riferimento risulta essere solo quella, formalmente oggettiva, della scienza. La scienza non può, per sua natura epistemologica, razionalista e positivista, essere sindacata.
I partiti, la politica, i leader, le convenzioni, i comitati tecnici, ed i teatri elettorali, servono dunque ad indirizzare un pubblico inerte, oggetto delle decisioni, verso una nuova dinamica psicologica paternalistica e depressiva. Usiamo la perifrasi “oggetto delle decisioni” con cognizione di causa.
Se nelle prime rivoluzioni industriali liberalismo e socialismo avevano come oggetto il governare l’estrazione di valore da un complesso rapporto fra ambiente, moneta e lavoro umano, oggi, defunte le ideologie, ed in piena rivoluzione digitale, assistiamo ad un rimescolamento pericoloso dei fattori in gioco.
Se la tecnica (agroalimentare e oltre) ha reso in prospettiva possibile salvare il Pianeta; se la moneta fiat ha reso infinito il capitale ed il suo equilibrio debito/credito; se la digitalizzazione ha reso, sempre in prospettiva, inutile il lavoro; soltanto l’uomo, imperfetto, irrazionale, e ancora, mortale, resta quale variabile utile all’estrazione di valore.
Tutta l’economia si sta muovendo oggi considerando l’uomo come oggetto: e il riferimento non va al solo controllo algoritmico delle nostre scelte e dei nostri impulsi. Bioingegneria, passaporti vaccinali, implementazione cibernetica, utero in affitto: il superamento della nostra fallibilità animale è un mercato enorme. Aprirlo significa dar vita a quella società alveare dentro alla quale tutto è permesso ma non la libertà individuale e di gruppo.
Prese le dovute differenze, ci troviamo in un nuovo ottocento dentro al quale ogni forma di ribellione, di volontà socializzatrice e sindacale verrà tacciata di fascismo, così come allora i marxisti tacciavano Proudhon, Bakunin, i sindacalisti rivoluzionari, di resistenza piccolo-borghese al progresso. E’ in questo senso che, quindi, andrebbero letti gli eventi in atto: e per altri sentieri, non quelli politici, né partitici, nostalgici spettri dei “rivoluzionari di professione”, andrebbe organizzato il dissenso di chi, alla fine dei conti, vorrebbe restare jungerianamente libero.
Gilde, corporazioni, sindacati, case del lavoro, società artigiane. Portare la ribellione nel triste transumaneismo sarà la sfida intellettuale di chi non si è arreso.