Largo ai giovani e bando alle “etichette” ? D’accordo. Per le vere ripartenze, politiche e non solo, c’è bisogno di entusiasmi giovanili e di creatività culturale. Troppe volte l’uso improprio dell’appartenenza è servito, dietro certe maschere ideologiche, a nascondere senilità intellettuali, conformismo, quindi sterilità politica. Qui, oggi, c’è bisogno di discontinuità vere, generazionali, ma non solo. C’è bisogno di riscrivere l’agenda della contemporaneità, partendo dalle tante, troppe, domande inevase, e dai problemi con cui l’Europa, tutta l’Europa, deve fare i conti (al di là dei Pil, dello spread, dei tassi di disoccupazione, dei debiti, dell’efficienza dei rispettivi Paesi).
C’è bisogno di “fare” l’avvenire – come scriveva Georges Bernanos, per il quale “L’avvenire è qualcosa che si domina. Non si subisce l’avvenire, lo si fa”. Già questa è una base di partenza non di poco conto: riprendersi il futuro come atto primario di volontà, scrollandosi finalmente di dosso tutte le stanchezze, le frustrazioni, i tabù che pesano sui giovani d’oggi.
Allora “partecipare” avrà un senso. Perché, rotta finalmente la cappa dell’alienazione rispetto alla “politica”, partecipare vorrà dire sentirsi interni ad un comune destino, laddove – per dirla con Arthur Moeller van den Bruck – la stessa democrazia va vista quale “partecipazione di un popolo al proprio destino”.
Ed ancora, in questo senso, radicamento e partecipazione potranno andare di pari passo, espressione – affermava Simone Weil – di una domanda complessa ed insieme naturale, in quanto “imposta dal luogo, dalla nascita, dalla professione, dall’ambiente”.
Ho volutamente pigiato sulle citazioni, convinto che più che dalla sistematicità dei “manifesti”, oggi ci sia bisogno delle suggestioni che vengono da aspettative ed idee “alte”, proprie di una cultura non contingente.
Dopo avere parlato di avvenire, di destino, di partecipazione e di radicamento, è però necessario guardare agli orizzonti nuovi rispetto ai quali occorre confrontarsi. E qui, più che le “certezze” sono le domande a prendere il campo: di fronte alla crisi epocale con cui dobbiamo quotidianamente fare i conti, sono sufficienti le vecchie ricette di scuola a prefigurare una via d’uscita ? Al capitalismo globalizzato e alla finanza senza patria possiamo concedere tutto lo spazio del “libero mercato” senza regole, né controlli? E come coniugare concretamente globale e locale ? E dove costruire l’auspicata “partecipazione” ? Il comunitarismo ha un senso ? E c’è spazio per ritrovare nelle comunità di lavoro gli strumenti concreti della partecipazione ? Possono i nuovi media digitali farsi essi stessi strumenti partecipativi ? E che ruolo dare all’associazionismo nella costruzione di un nuovo sistema partecipativo ? E alla sussidiarietà ? E ai partiti ? Chi è, oggi, il “nemico principale” rispetto al quale orientare sfide e scelte ?
Intorno a queste domande ed evidentemente a molte altre ancora si giocano le possibilità di costruire non solo risposte efficaci alla crisi, quanto strumenti aggregativi e culturali nuovi e con essi una giovane classe politica all’altezza delle sfide contemporanee, in grado di farsi forza “mobilitante”.
Passatemi, in chiusura, l’ultima citazione. Come scriveva Abel Bonnard, “la gioventù di un grande Paese, in tempi felici riceve esempi, in tempi di crisi li dà”. Meditate, giovani, meditate e datevi una mossa…