Non ha incontrato molti consensi la sortita di Michela Murgia contro il generale di artiglieria alpina Francesco Figliuolo, il comandante logistico dell’Esercito incaricato dal governo Draghi di organizzare le misure di contrasto al Covid. La giornalista ha manifestato la convinzione che i militari stanno bene in caserma, il che nell’Italia di oggi è manifestamente infondato, dal momento che in occasione di grandi calamità nazionali tutti (antimilitaristi inclusi) ne reclamano la presenza sul territorio. In molti casi, certo, il ricorso a militari per compiti non strettamente istituzionali può essere considerato un’ammissione di debolezza da parte dell’amministrazione civile; però la colpa non è di chi porta le stellette, ma di chi, con un’estrema frammentazione di competenze fra Stato centrale, Regioni, Province e Comuni, ha creato un rovinoso vuoto di potere.
Dopo le sue dichiarazioni, la Murgia ha incassato un drastico “stai zitta” da Rita Dalla Chiesa, orfana di un generale che morì proprio per essere uscito dalla caserma, per rivestire (lui, per altro, in borghese) la grisaglia di prefetto di Palermo, ma anche una sia pur blanda presa di distanze dall’amica Dacia Maraini, che ha colto l’occasione per ribadire la sua stima per le Penne Nere. Tanto più che suo padre fece il servizio militare proprio negli Alpini, come sottotenente di complemento, nel quarto reggimento di stanza alla caserma di Intra, sul Lago Maggiore.
In realtà il fatto che a coordinare le operazioni di prevenzione del Covid sia chiamato un alto ufficiale esperto di logistica non deve meravigliare. Le guerre moderne, com’è noto, si vincono con la logistica, che è insieme alla strategia, alla tattica e all’organica, una delle branche dell’arte militare. Secondo alcuni è la più importante, visto che senza un’oculata distribuzione degli armamenti e delle risorse è difficile vincere una guerra. Gli Stati Uniti hanno vinto la seconda guerra mondiale più con le navi Liberty che con i Liberators. Una volta ammesso che quella contro il Covid sia una guerra, e che i vaccini siano l’arma vincente (tema che richiederebbe un’approfondita riflessione), nessuno meglio di un generale può essere in grado di condurla.
Quanto al fatto che Francesco Figliuolo continui a indossare la divisa anche nell’espletamento di un incarico civile la cosa non può che fare piacere. In un mondo militare sempre più psicologicamente “smilitarizzato”, in cui molti ufficiali superiori si recano in ufficio in borghese, strisciano il badge come monsù travè qualsiasi, indossano l’uniforme riposta nell’armadietto come vigili urbani per poi cambiarsi di nuovo al termine del servizio, che un generale sia orgoglioso della sua penna bianca anche quando espleta funzioni civili costituisce un esempio per le nuove leve di militari, mostrando loro che quella dell’ufficiale prima che una professione è una condizione e che l’uniforme non è un peso, ma un abito morale da indossare con orgoglio.
Ma forse è proprio per questo che il generale con la penna bianca suscita tanti sospetti.
Mio padre è stato penna bianca e decorato con l’argento al VM e mai la Murgia mi ha trovato d’accordo con le sue “esternazioni” ma una cosa , leggendo la sua intervista sulla Stampa non posso non condividere. Tralasciando gli scenari sudamericani che evocava, si può dire che nel momento in cui la politica affida ad un militare la gestione della campagna vaccinale alza bandiera bianca senza neanche combattere ( usando terminologia bellica) Campagna che l’inettitudine a vari livelli ha fatto diventare emergenziale
Ma del resto è la stessa politica che poco tempo fa è stata commissariata con l’insediamento di Draghi
Tutto torna con una sua logica conseguenziale
Ogni volta che la Murgia apre bocca non posso evitare di correre in bagno.
Oggigiorno anche per avere la penna bianca bisogna avere un supporto politico.Ma ché scherziamo!! Non hanno lasciato nulla dell’Etica andata dimenticata….