Il rapporto tra il Giappone e la F1, o il motorsport in generale, è storia epica, ricca di grandi vittorie ma anche di clamorosi insuccessi.
Esemplificative, in tal senso, sono le vicende di due marchi che hanno recentemente solcato le piste più prestigiose del globo: la Toyota e la Honda; la prima, già grande fornitore di propulsori nelle serie a ruote scoperte nordamericane, ha esordito con una propria squadra nel 2002, lasciando a fine 2009, spinta dagli effetti della crisi globale e dagli scarsi risultati, non avendo mai ottenuto una vittoria, nonostante degli investimenti faraonici.
Dai grandi trionfi alle retrovie
La Honda invece, dopo i grandi successi come motorista con la Williams e la McLaren, a cavallo tra gli anni ’80 e i primi anni ’90, con piloti del calibro di Nelson Piquet, Ayrton Senna e Alain Prost, ha successivamente intrapreso una serie di avventure piuttosto altalenanti, sempre da motorista (con la Jordan ma soprattutto con la B.A.R.) ma anche come costruttore (2006-2008), ottenendo in queste ultime vesti una vittoria, con Jenson Button, al Gran Premio d’Ungheria 2006; allontanatasi anch’essa dal “Grande Circo” dopo il 2008, vi era rientrata nel 2015 come fornitrice della McLaren di motopropulsori, rimanendo legata al glorioso marchio di Woking fino al 2017: un triennio tribolatissimo, segnato da pochissimi risultati degni di nota, da tante rotture ma soprattutto da un deficit costante di potenza e che raggiunse ben presto il punto più basso proprio in Giappone, a Suzuka, nel 2015, quando Alonso via radio e quindi in mondovisione, dopo aver subito l’ennesimo sorpasso, bollò il motore con un laconico “GP2 Engine” (la GP2 era l’allora categoria cadetta).
Il 2018: l’anno della svolta
A quel punto, dopo la rottura del contratto annunciata dalla McLaren nel 2017, la Honda rischiava di ritrovarsi senza una squadra: e invece, arriva con il 2018 il connubio con la faentina Toro Rosso (denominata AlphaTauri dal 2020), una stagione fondamentale, di rodaggio e che sarebbe stata l’apripista per l’accordo come fornitore della Red Bull, a partire dal 2019: sebbene non siano mancati i problemi, soprattutto per un deficit di cavalli che spesso si è palesato nelle piste “più di motore”, non soltanto rispetto ai propulsori Mercedes ma anche nel confronto con i Ferrari, il progetto ricamato con il gruppo anglo-austriaco ha generato nel complesso buoni risultati, riportando credibilità e un certo lustro al marchio, oltreché legittimarne la presenza nelle battaglie per le posizioni di vertice, proprio quelle che più le competono.
Potenza e miniaturizzazione: le due armi vincenti
Per altro, l’Honda RA6121H 2021 si lascia apprezzare anche nel “design”, per essere stato progettato come un’unità motrice molto compatta, intorno alla quale i progettisti hanno potuto disegnare un retrotreno particolarmente affusolato, fondamentale per recuperare in termini aerodinamici il carico perso a causa delle modifiche al fondo vettura statuite nei nuovi regolamenti 2021.
Non c’è da stupirsi se nell’atto primo della stagione, le prestazioni velocistiche sono state considerevoli, tanto negli allunghi, quanto in percorrenza dei curvoni; a riprova di questo, ecco Verstappen giocarsela fino alla bandiera a scacchi con Hamilton (si sussurra addirittura che l’olandese non abbia potuto neanche disporre della massima potenza, dovendo preservare il proprio V6 dall’aumento delle temperature), Perez compiere una grande rimonta, dai box fino al quinto posto finale, Gasly qualificarsi quinto e il suo compagno Tsunoda, il primo classe 2000 a conquistare punti iridati, ottenere il nono posto finale a suon di scintillanti sorpassi e di ciniche staccate, che hanno illuminato la notte di Manama.
Vedremo se a Imola, pista più da carico che da motore, le vetture faentine ed anglo-austriache sapranno riaffermare i progressi fin qui compiuti, in un evento che tra passato, presente e futuro rappresenta sempre una bella dose di emozioni e di adrenalina.