Sono invece, meno giovane, o meglio, meno eufemisticamente, più vecchio di Alessandro Amorese, ho conosciuto Giovanni Volpe e ho collaborato, sia pur marginalmente, con la sua casa editrice. Sulla sua rivista “Intervento” ho pubblicato i miei primi articoli pagati (a quell’epoca anche le riviste di cultura avevano il buon gusto di pagare, sia pure poco). Era un uomo psicologicamente e ideologicamente molto lontano da Berto Ricci: non era un fascista di sinistra, ma un conservatore. Si dichiarava “monarchico e non antifascista”, però aveva una grande larghezza di vedute che gli faceva pubblicare anche libri lontani dai suoi orizzonti politici.
Era, anagraficamente e anche fisiognomicamente, un figlio del fascismo regime. Suo padre era stato considerato lo storico ufficiale del fascismo e per questo, nonostante non avesse aderito alla Rsi, era stato epurato dopo la guerra. Quando ci lamentavamo dei tagli ai nostri articoli per motivi di spazio, ci ricordava che “il Professore” (lo chiamava sempre così) correggeva sul bancone della tipografia del “Tempo” di Angiolillo le bozze dei suoi articoli e se il piombo era troppo faceva lui stesso i tagli ai suoi pezzi di terza pagina. Aveva sposato una Serpieri, figlia del famoso sottosegretario alla Bonifica integrale e rettore dell’Ateneo fiorentino. Pubblicava moltissimo, ma non riusciva a vendere i suoi libri, un po’ per il boicottaggio della distribuzione e dei grandi quotidiani che avrebbero dovuto recensirlo, un po’ perché non gliene importava più di tanto.Il passivo della casa editrice e della Fondazione che intitolò al padre credo gli consentissero di compensare fiscalmente gli attivi delle sue attività imprenditoriali. Come alternativa al macero per i suoi fondi di magazzino escogitò un escamotage intelligente: li offrì scontati del 50 per cento ai vari circoli del Fuan. Fu così che molti di noi ne facemmo conoscenza.
Nei suoi confronti ho un rimorso. Insieme a un gruppo di giovani intellettuali di quella che sarebbe stata definita la Nuova Destra, fondammo una rivista (Elementi) e una casa editrice (Il Labirinto) e lui si sentì in certo qual modo tradito. Credo che avesse la sua parte di ragione: come minimo mancammo di diplomazia, e anche di spirito pratico. A complicare le cose ci si mise il fatto che la Nouvelle Droite francese cui ci ispiravamo professava un rozzo neopaganesimo, che per altro la maggior parte di noi non codivideva, cosa che aiutò alcuni intellettuali desiderosi di entrare nelle sue grazie per metterlo ulteriormente in rotta con noi. Fu un errore: Volpe sarà anche stato un “ombroso editore della domenica”, come lo definì brillantemente un mio amico che a volte scrive di cinema anche su questo sito, però era un mecenate e fece di tasca sua per la cultura di destra quello che forse nessuno ha fatto nell’Italia del dopoguerra. Intorno alla sua casa editrice e soprattutto alla Fondazione era riuscito a coagulare personalità del mondo accademico di prim’ordine, che ci sarebbero potute servire per spezzare l’isolamento cui ci aveva condannato la militanza a destra.
Volpe morì il 15 aprile 1984, lo stesso mese e giorno di Gentile, mentre interveniva a un incontro della Fondazione. In piedi come era vissuto. La Fondazione, grazie anche all’impegno della vedova e degli eredi, proseguì fino al maggio del 1989, con un convegno sulla (o meglio contro la) Rivoluzione Francese, cui partecipò anche Augusto Del Noce. Fu l’ultima volta che incontrai quel grande maestro della cultura cattolica che rappresentò il pendant nell’ambito filosofico di quello che De Felice ha rappresentato nella storiografia.
p.s. di Volpe scrissi un ricordo venato di affetto e di ironia (in un toscano i due sentimenti possono coabitare) sul numero del settembre 2006 di “Letteratura e Tradizione”. Oggi è irreperibili: gli interessati possono chiedermene l’originale.