Angelo Olivieri: Quando è entrato al Marc’Aurelio c’era già aria di cinema in redazione?
Steno: Sì, già si respirava una certa aria di cinema quando ci sono entrato da ragazzo, nel 1936. Più che altro per via di Tomaso Smith, un redattore veramente antifascista. Smith faceva sceneggiature per [Guido] Brignone. Brignone, [Mario] Camerini, [Gennaro] Righelli e [Alessandro] Blasetti erano i registi più importanti di allora. Mi pare che un film che Smith sceneggiò fu Le sorprese del vagone letto, che però non era di Brignone. Sul giornale [Smith] non firmava per via dell’antifascismo. Ci affascinava per quell’aria di cinematografaro vecchio stile, vestiva anche vecchio stile e doveva aver avuto dei trascorsi piuttosto importanti nel cinema […]”.
Olivieri: Come s’è trovato al Marc’Aurelio sotto il fascismo?
Steno: Qualche volta mica troppo bene. Il fatto è che Marc’Aurelio era considerato in odore di ghetto dal gruppo intellettuale di allora, che era formato da parecchi finti antifascisti, ma qui entriamo in un discorso politico… lasciamo andare. Comunque avevano la puzza al naso con il giornale di [Vito] De Bellis (il direttore del Marc’Aurelio, nda), perché malgrado non pochi, inevitabili allineamenti col fascismo, il Marc’Aurelio rimaneva un giornale anticonformista, basta pensare ad Attalo (disegnatore, nda). Non tutti gli intellettuali ci disprezzavano, però, c’erano [Leo] Longanesi, [Cesare] Zavattini, tutti anticonformisti, che ci stimavano di più. Zavattini, anzi, collaborava ogni tanto al Marc’Aurelio. Per me poi il cinema è sempre stata la passione numero uno. Sì, facevo l’umorista, ma in realtà volevo fare il cinema. Mi ero poi iscritto al Centro sperimentale [di cinematografia] e devo dire che sono stato uno dei primi cinefili d’Italia, il cineclub era allora uno spazio d’élite. Vedevo il cinema americano, russo, il cinema d’essai, se vogliano. I film italiani mi facevano schifo, i telefoni bianchi non mi piacevano per niente, anche perché c’era quel senso autarchico, si doveva sempre parlare dell’Ungheria, mai dell’Italia, e io non potevo accettare certe cose. Poi mi piacquero subito i film di Blasetti e di Camerini. Questi sfottimenti continuavano sulla Fiera letteraria, su Cinema di Vittorio Mussolini, dove collaboravano [Giuseppe] De Santis, [Michelangelo] Antonioni…, io ci scrivevo di umorismo […].”
Angelo Olivieri, L’imperatore in platea. I grandi del cinema italiano dal Marc’Aurelio allo schermo, Dedalo, 1986, pp. 7-8.