«Spingiamo il progresso sino in fondo.
Nel mondo c’è uno sforzo verso il nulla.
Ma bisogna che mi separi da quella gente.
Andrò da quegli altri che tendono le braccia sul mondo per raccogliere le sue armonie in frantumi. […]
Grazie alla guerra conobbi un grande amore.
Se veneri l’Amore, non insultare la Guerra.»
Questi formidabili versi chiudono Interrogation, una raccolta di sedici poemetti pubblicata a spese dell’autore in centocinquanta copie nel 1917, che segna l’esordio letterario di Pierre Drieu la Rochelle (1893 – 1945). Scritti già a partire dal 1915 durante le lunghe licenze trascorse tra ospedali, letture, amori e caffè e soprattutto dopo le gravi ferite riportate a Verdun nel 1916, i poemetti costituiscono una sorta di giornale lirico, dove l’autore si interroga sulla necessità della lotta e sul ruolo delle giovani generazioni dopo la terribile prova della guerra. Stilisticamente risentono l’influenza del verso lungo di Walt Whitman.
Il sogno e l’azione
In Interrogation sono presenti i tre grandi temi che segneranno il percorso intellettuale ed esistenziale di Drieu: la politica, l’amore e la religione, considerate sotto la lente dell’arte, «che è uno sguardo su tutte queste attività» (Tema metafisico della guerra). Non ha quindi tutti i torti Jacques Baron a parlare di una «meditazione in versi» (Misura della poesia, in Drieu, supplemento a Orion n. 126, marzo 1995). Scrive Drieu: «Loro chiedono a che serva la guerra, ma quel che vogliono dire è: a che serve la vita?» (Uomini, non vi ho mentito).
E fin dai primi versi di Interrogation compare pure il binomio che caratterizzerà l’uomo e lo scrittore: «E il sogno e l’azione. / Mi ripagherò al modo dei re con una moneta che porta su entrambe le facce il loro simbolo sovrano» (Parole iniziali). Il sogno, va osservato, è qualcosa in più del mero pensiero: è pensiero e immaginazione, progetto di vita, aspirazione ad essere.
L’esperienza bellica
Ma di quale grande amore ci parla Drieu nella chiusa di Interrogation? Senza dubbio dell’amore per la vita. Che comprende insieme l’amore per la guerra e l’amore per la pace. Il sogno e l’azione. Il coraggio e la paura. L’estasi di Charleroi e l’urlo di terrore di Verdun: «A Verdun, sotto il fracasso delle bombe tedesche, Drieu scopre la guerra moderna. Da allora ci saranno due momenti nella guerra e Drieu senza rinnegare mai né l’uno né l’altro, troverà sempre più faticoso conciliarli: c’è stato Charleroi e c’è stato Verdun. C’è stata la carica in pantaloni rossi e c’è stato l’annientamento scientifico degli uomini terrorizzati; c’è stato il grido di orgoglio di Charleroi e c’è stato l’urlo di paura di Verdun». (Pierre Andreu, Drieu La Rochelle, testimone e sognatore, Volpe, 1981).
L’esperienza della guerra fu per lo scrittore fondamentale. In Interrogation egli sembra apprezzare e detestare nel contempo la guerra:
«Principio delle cose è che un sogno si opponga a un altro sogno, e allora sgorgano le musiche e sempre risuona il tamburo di guerra» (Esplosivo).
«E sarò solo fra truppe d’uomini dai sordi dolori, dalle disperazioni acri come le loro pipe mordicchiate dall’angoscia. / Starò negli spazi abbandonati e astratti in cui, dal quel lontano inizio, tutta la vegetazione fu estirpata dalla granata zappaterra» (Parole iniziali).
«Certo il segreto della nostra grandezza non è la guerra, / E più tardi gli uomini che vorranno manifestare la loro potenza faranno a meno di questo vecchio rito» (Canto di guerra degli uomini d’oggi).
Nella guerra Drieu apprezzava la lotta leale, uomo contro uomo, che consente di affermarsi e misurare le proprie forze, ma detestava la caserma, la carneficina, la barbarie tecnologica. Non è dunque un apologeta della guerra: egli «accetta la guerra come un fatto, come un elemento essenziale della vita; e questo lo differenzia dai pacifisti che si accaniscono contro la forza con un’irritazione propria degli ideologi astratti. […] Drieu, mistico della guerra, è anche quello che ha spazzato via i luoghi comuni della letteratura di guerra» (Pol Vandromme in Pierre Drieu La Rochelle, OAKS, 2021).
Le poesie di Fond de cantine
A Interrogation fece seguito nel 1920 il suo secondo ed ultimo libro di poesie pubblicato in vita, Fond de cantine, che comprende ventiquattro liriche dove si avverte l’influenza del futurismo: «In un piacevole miscuglio di versi, dedicati di volta in volta alle donne, alla politica, alla macchina, allo sport, si avverte nitidamente lo stato d’animo, la condizione un po’ sorpresa e spaesata di quelle generazioni reduci da un immane conflitto guerresco» (Moreno Marchi, Drieu La Rochelle. Una bibliovita, Settimo Sigillo, 1993).
Ne riportiamo una nella traduzione di Milo De Angelis intitolata Giù le mani, che ha per tema il tormentato rapporto dello scrittore francese con l’universo femminile, tipico di un seduttore mai appagato dalle proprie conquiste:
«“Tu non conoscerai l’amore” / Ma attraverso l’anima, nelle nottate, / Mi lancerò come una fiamma protesa / Camminerò crudele attraverso l’attesa / delle foreste in amore, d’estate. / Lei gridò: “Sei maledetto, / Non sai donare la vita!”. / Ma le nascosi la follia estrema / E la mia bassezza inaudita / Per qualcuno, al di là di lei, / Per degli amici, per un emblema».
Un direttore di giornale costretto a bocciare se stesso
Nel 1951 uscì un libro, poi ritirato dalla vendita, dal titolo inappropriato di Plaintes contre inconnue (Rimostranze contro l’ignoto), che raccoglieva liriche di ispirazione e di epoche diverse scritte all’incirca tra il 1935 e il 1942. Dal suo Diario apprendiamo che Drieu pensava ad una rosa di possibili titoli, tra cui i più accreditati erano Runes ed Ecrit la nuit. «Quest’ultimo – scrive Moreno Marchi – sembrerebbe comunque il preferito, dal momento che tale è l’iscrizione posta sul plico contenente le liriche. Per quanto in questa edizione molte altre, raccolte un po’ ovunque, ne siano state aggiunte». Si tratta in parte di poesie d’amore dedicate all’amante Christiane Renault, sua ultima grande passione, e in parte di poesie “politiche” dedicate alla decadenza e alla «grande sera» che avrebbe avvolto l’Europa. Tra queste ultime spicca quella dedicata al sogno di un’Europa confederata, che comincia con questi versi famosi:
«Noi siamo uomini d’oggi,
Noi siamo soli.
Non abbiamo più dèi.
Non abbiamo più idee.
Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx.»
A questo proposito il maggior biografo italiano di Drieu, Moreno Marchi, ci racconta un gustoso aneddoto. Drieu aveva inviato sotto pseudonimo alla rivista di cui era direttore, la Nouvelle Revue francais, delle sue poesie a mo’ di «accorto sondaggio» in vista dell’eventuale pubblicazione di una sua raccolta poetica. «Se non che sulle sue composizioni cadde il giudizio negativo del comitato di redazione. Così il disilluso direttore della N.R.F. fu costretto, nella sua carica, a firmare la lettera in cui veniva comunicato all’aspirante collaboratore il cortese rifiuto» (Con il sangue con l’inchiostro, Settimo Sigillo, 1993).
Il cantore della rivolta contro la decadenza
Se Drieu non fu, tutto sommato, un eccellente poeta, perché «troppo farraginoso e poco incline alla musicalità» (Moreno Marchi) – e del resto egli stesso lo riconosce in una pagina del suo diario datata 23 agosto 1943 – è anche vero che le sue poesie rappresentano comunque «una voce fuori campo, beffarda, esigente, intenerita, che incrina l’oratoria» (Milo De Angelis).
Torniamo rapidamente ai versi citati in apertura. Drieu avverte la decadenza della società e dell’uomo intorno a lui, prende atto che il suo procedere sembra inarrestabile. La guerra moderna del resto è una manifestazione lampante e raccapricciante della decadenza. Diviso tra ciò che è e ciò che sogna di essere, si volge allora all’azione politica. «Drieu era un uomo del diluvio, ma sempre spinto alla ricerca dell’Arca» (Pol Vandromme). Poeta del sogno e dell’azione, della loro difficile conciliabilità, Drieu resta il cantore intransigente della rivolta contro la decadenza dell’umano nell’uomo.