Il mondo delle arti marziali visto da fuori potrebbe sembrare, a chi lo conosce poco o nulla, frequentato nel migliore dei casi da gente un po’ matta. Nel peggiore (quello che purtroppo ogni tanto balza agli onori/disonori delle cronache) da fanatici egocentrici e violenti.
E se, quanto ai praticanti convinti e costanti delle diverse discipline, è più o meno parzialmente vera (in senso buono) la prima considerazione, è invece totalmente falsa la seconda. Perché chi affronta il percorso di una qualunque arte marziale impara fin da subito che alla base della stessa ci sono non solo fisicità e tecnica, ma anche e anzi soprattutto valori e mentalità. Che, in estrema sintesi, aiutano a comprendere sé stessi, ad affrontare i propri limiti e a diventare in questo modo individui migliori.
Questo tipo di percorso, tracciato in questa sede in maniera necessariamente breve con pochi tratti di penna, è in realtà molto articolato e complesso. E si compone di una serie di elementi che, oltre ad avere un valore in quanto tali, si integrano e completano fra loro.
Elementi che potremmo definire, per usare una metafora, come le piccole tessere colorate di un mosaico, che messe insieme andranno a comporre un quadro. Diverso per ciascun artista-praticante ma in ogni caso bello perché frutto della sua fatica e del suo impegno.
Perché entrare in un Dojo
Fare un discorso onnicomprensivo, che vale cioè per tutti i marzialisti e per tutte le discipline, è non solo impossibile, ma anche inutile. Perché la loro varietà e la diversità delle motivazioni che spingono ad avvicinarsi ad un Dojo (che è il luogo in cui si pratica) non consentono uniformità nel tracciare possibili linee universalmente valide. Qualcosa però la si può comunque dire, almeno per far intuire a chi legge l’atmosfera che chi pratica arti marziali vive ogni giorno sulla sua pelle.
Innanzitutto è bene precisare – e lo abbiamo accennato – che ognuno si avvicina alla pratica per ragioni del tutto personali, che possono essere anche molto diverse da quelle degli altri praticanti. Ragioni tutte ugualmente valide. Chi scrive, per esempio, ha iniziato il suo percorso sulla Via della Spada spinta dall’appassionata lettura di Yukio Mishima e suggestionata dalle atmosfere di “Bushido”, la poesia in musica di Skoll dedicata al Kendo. Altri lo hanno fatto per ritrovare sé stessi, altri ancora semplicemente per fare movimento.
Ed in tutto questo non c’è, come si diceva, qualcosa di giusto o di sbagliato. C’è semplicemente una spinta a fare il primo passo, a varcare la soglia del Dojo. Se la decisione è giusta, lo si capisce nella maggior parte dei casi già dopo poco tempo. Apprendendo le prime regole di comportamento, muovendo i primi incerti passi, guardando i movimenti dei praticanti più esperti, pur nello stupore di trovarsi di fronte a qualcosa di mai vissuto prima e di decisamente strano rispetto a quello a cui si è abituati nel “mondo esterno”, si vive una specie di sogno. All’inizio non è sempre facile capire se si tratta di qualcosa che fa per noi e soprattutto se e come inserire la pratica nelle nostre abitudini quotidiane. Anche perché la Via comporta sacrifici che non tutti e non sempre sono disposti a fare. Poi però nella maggior parte dei casi scatta dentro qualcosa che, prima inconsapevolmente e poi, con la pratica costante, sempre più coscientemente, ci fa capire che delle arti marziali non possiamo proprio più fare a meno. Perché cambiano la vita. Cambiano il modo di essere e stare al mondo. Cambiano (e migliorano) l’essenza individuale e comunitaria delle persone che le praticano.
Se questo scritto (ce lo auguriamo e lo speriamo) ha stimolato la vostra curiosità, al netto delle purtroppo stringenti disposizioni restrittive dovute alla pandemia in corso, cercate informazioni sul Dojo più vicino a voi e sulla disciplina che vi si pratica. E quando sarà possibile, andate a vedere un allenamento. Chissà che non decidiate poi di sperimentare di persona quanto, per esperienza, vi abbiamo qui raccontato.