A Long Kesh, epicentro del fermento, il 27 gennaio 1981, 96 prigionieri inasprirono il loro disappunto e 80 di loro, per tutta risposta, vennero assaliti, percorsi e brutalmente privati di acqua, cibo e addirittura delle coperte: fu in tale atmosfera che il 1° marzo 1981, di fronte ai raggiri e alle mancate promesse, i prigionieri si riorganizzarono e un nuovo sciopero venne presto indetto ma questa volta le modalità erano sensibilmente diverse, visto che non si trattava più di un unico blocco monolitico di scioperanti, non più di un gruppo di prigionieri che scioperava compatto, bensì la protesta sarebbe stata portata avanti singolarmente, così da dilatare i tempi delle operazioni, evitando nel contempo qualsiasi intermediario.
I Blocchi H del carcere di Long Kesh (o Maze), in quel di Belfast, divennero così famosi anche a livello internazionale per l’estrema protesta portata avanti dagli hunger strikers, che ricorrevano alla resistenza non violenta degli scioperi della fame, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di detenzione: la lotta, che fino a pochi anni prima era dunque stata una lotta armata e militare, assumeva dei connotati sempre più marcatamente politici.
I Repubblicani nel carcere di Maze dichiararono subito che avrebbero portato avanti lo sciopero fino alla morte, uno dopo l’altro, se non fossero state date loro precise garanzie sul trattamento in carcere e sulle cinque richieste avanzate: la situazione si rivelò fin da subito drammatica, giacché era chiaro che erano pronti, forse persino intenzionati a morire, in nome di una rivendicazione politica e che la prospettiva del martirio dava vigore e conferiva un certo eroismo a tutto questo.
Viste le premesse, nel mondo numerose ed importanti personalità fecero sentire la loro voce, affinché venisse trovato un compromesso: si mossero la Croce Rossa, varie organizzazioni per i diritti umani, la Commissione europea per i diritti umani e finanche Giovanni Paolo II, in quel periodo fortemente impegnato sul fronte polacco con l’appoggio al sindacato anti-comunista Solidarność, non esitò a far sentire la sua voce, implorando il Primo Ministro britannico di essere clemente, moderata e di trovare una via d’uscita, un compromesso, sebben venisse costantemente rifiutato dalle autorità di Londra, assolutamente indisponibili, a quel punto, a qualsiasi riconoscimento di carattere politico ma anzi, cercando ogni modalità possibile per fiaccare il morale della protesta.
Il 13 luglio 1981, a Washington, il ministro inglese con l’incarico speciale per le prigioni in Irlanda del Nord, Michael Allison, rilascio una dichiarazione tanto cinica, quanto spaventosa, secondo la quale il benché minimo dialogo ricercato con gli hunger strikers sarebbe stato simile:
“…agli sforzi compiuti dalle autorità di un paese per tenere occupati i dirottatori di un aereo, mentre al contempo si stanno studiando idei piani per farli arrendere.”
Morire per un’idea: il coraggio di Bobby Sands
Il personaggio che di più e meglio emerse dal secondo sciopero della fame, fu senza alcun dubbio Robert “Bobby” Sands, soprannominato “Geronimo”: di origini presumibilmente protestanti da parte del nonno paterno, fervente lettore, abbandonò ben presto la scuola per lavorare come apprendista carrozziere, anche se nella Belfast dei ’70 fu costretto a smettere di lavorare a causa delle minacce subite dai lealisti; arruolatosi nell’IRA a 18 anni, nel 1972, finisce dentro per la prima volta nello stesso anno, come molti suoi coetanei.
Rimesso in libertà nell’aprile 1976, trascorrono appena sei mesi, quando viene nuovamente arrestato, in circostanze mai chiarite, accusato di aver organizzato un attentato, anche se ciò non sarà mai dimostrato: processato per possesso illegale di armi da fuoco, nel 1977 si prende 14 anni di carcere, scontando i primi ventidue giorni a Crumlin Road, dove a causa del coinvolgimento in prima persona in alcuni tumulti, venne costretto a rimanere completamente nudo per quindici giorni, oltreché senza cibo uno ogni tre.
Trasferito successivamente a Long Kesh, sarà proprio lui, quel 1° marzo 1981, ad essere il primo a rifiutare il cibo, dopo esser stato nominato OC (Officer Commanding, comandante dei prigionieri), ricoperta già la carica di PRO (Public Relations Officer) dei detenuti; successivamente, il secondo a digiunare, dal 15 marzo 1981 sarebbe stato Francis Hughes, mentre la settimana successiva sarebbe toccato a Raymond McCreesh e a Patsy O’Hara, comandante dei detenuti dell’INLA (Irish National Liberation Army, formazione Repubblicana di stampo marxista-leninista).
L’impasse comunque non accennava a sbloccarsi: questa volta però, a differenza del primo sciopero, il seguito fu enorme, moltiplicandosi le manifestazioni di solidarietà verso la causa repubblicana in Irlanda, negli Stati Uniti e un po’ in tutta Europa, attraverso numerosissimi cortei, molti dei quali venivano organizzati di fronte alle ambasciate del Regno Unito.
La dirigenza dell’IRA non si era opposta a questa nuova modalità non violenta, di resistenza passiva, e anzi nell’estremo tentativo di dare un segnale, in una situazione che appariva sempre più compromessa, Sands venne candidato al Parlamento di Westminster: anche il proverbiale astensionismo repubblicano era stato momentaneamente accantonato.
Il clima di quei giorni di sofferenza è stato raccontato direttamente dal più noto dei suoi protagonisti il quale, avendo affinato la tecnica giornalistica e poetica, trovava il modo di scrivere su pezzetti di carta igienica o sulle cartine delle sigarette, facendo pubblicare di nascosto i trafiletti, sotto pseudonimo di “Marcella”, su An Phoblacht – Republican News.
Al di là dei reportage, l’epocale novità fu proprio quella candidatura, idea nata in seguito alla morte, poco dopo l’inizio dello sciopero, di Frank Maguire, membro del parlamento del Regno Unito per il collegio di Fermanagh and South Tyrone (un repubblicano irlandese indipendente); nelle elezioni suppletive dunque, Sands fu candidato, sebbene non tra le fila dello Sinn Féin, bensì come Anti H-Blocks/Armagh Political Prisoner (Armagh, il carcere femminile dove erano rinchiuse le detenute dell’IRA e dell’INLA), riuscendo a vincere quel seggio, in quanto unico candidato nazionalista/repubblicano, il 9 aprile 1981 con 30.492 voti, contro i 29.046 del candidato lealista dell’Ulster Unionist Party (UUP) Harry West.
Grazie a quelle suppletive, Sands risulterà essere il più giovane deputato in carica, quello che nel gergo anglosassone si chiama “Baby of the House“.
Tutto questo creò un certo scandalo e così, il Governo del Regno Unito corse subito ai ripari, introducendo il Representation of the People Act, legge che proibiva ai detenuti di partecipare alle elezioni, e richiedeva un periodo di cinque anni dal termine della pena, prima che un ex detenuto potesse candidarsi.
In ogni caso, neanche questo però servì, dal momento che la Thatcher, nonostante una timida apertura del suo entourage, si dimostrò inflessibile: alle 01.17 del 5 maggio 1981, Bobby Sands moriva nell’ospedale del carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame e cinque attacchi di cuore.
Il suo funerale si trasformò ben presto nella più grande manifestazione nazionalista mai avvenuta, con nazionalisti giunti da tutta Irlanda per affollare le strade di Belfast e gridare tutta la loro rabbia, mentre nascevano rivolte che si sarebbero protratte per diversi giorni nei ghetti nazionalisti dell’Irlanda del Nord.
Oltre 100mila persone si schierarono lungo il percorso del suo funerale, dalla casa di Sands a Twinbrook, West Belfast, fino al cimitero cattolico di Milltown, dove sono sepolti tutti i volunteers dell’IRA di Belfast; i soli venticinque giorni che Sands passò da membro del Parlamento di Westminster, ne avrebbero fatto uno dei mandati più brevi della storia.
Subito dopo la sua morte, in un discorso alla Camera dei Comuni, Margaret Thatcher dichiarò:
“Bobby Sands era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita. Una scelta che l’organizzazione alla quale apparteneva non ha concesso a molte delle sue vittime”.
Mentre lo sciopero proseguiva senza sosta, nelle strade di tutto il mondo le folle si mobilitarono in favore della causa repubblicana: bandiere inglesi bruciate, ambasciate britanniche prese letteralmente d’assalto, cortei e manifestazioni.
Intanto, tra il 12 e il 21 maggio, rispettivamente dopo 59 e 61 giorni ciascuno di digiuno, morirono Francis Hughes (e uno dei principali esponenti della PIRA), Raymond McCreesh e soprattutto Patsy O’Hara, che dell’INLA era cuore e simbolo: come se non bastasse, il suo cadavere venne persino restituito mutilato ai suoi famigliari.
In quegli stessi tragici mesi, tra l’aprile e il maggio 1981, tre bambini vennero uccisi a sangue freddo con dei proiettili di plastica che dovevano servire per riportare l’ordine e per sedare le sommosse, senza che -secondo quanto successivamente accertato dalle indagini- sussistessero le condizioni legittimanti l’uso della forza da parte dei militari o della polizia (dei diciassette morti a causa dei proiettili anti-sommossa, nel periodo 1972-1989, ben otto avevano un’età compresa tra i dieci e i quindici anni).
Arrivata a questo punto, anche l’IRA si trovava in una situazione difficilissima: stava ricevendo adesioni come non mai, anche da chi si era sempre dichiarato moderato, nonché dagli esponenti che erano stati lungamente contrari alla lotta armata e tantissimi degli appoggi economici arrivavano direttamente dagli emigranti irlandesi negli Stati Uniti.
Contestualmente però, il risultato elettorale dell’aprile 1981 aveva dato modo di comprendere ai paramilitari, e in particolare allo Sinn Fèin, che alla lotta armata si potesse quantomeno affiancare una pacifica strategia elettorale, sebbene non fosse questa la strada che si scelse immediatamente e senza riserve di percorrere; terminato lo sciopero il 3 ottobre 1981, sciopero che alla fine “lasciò sul campo dieci” rivoluzionari (7 dell’IRA e 3 dell’INLA; dieci giovani militanti, nessuno ancora nemmeno trentenne, lasciati morire in successione in poco più di cento giorni), con la vittoria di fatto del Governo inglese, che l’aveva spuntata a fronte di minime concessioni ottenute dai prigionieri (tra le quali la possibilità di indossare i propri abiti nelle celle), l’IRA non seppe approfittare dell’enorme consenso che aveva ottenuto, rimanendo costantemente aliena alle sole vie istituzionali: il motto permaneva «con la scheda in una mano e con il mitra nell’altra»; pur continuando ad organizzare attentati assurdi, che apparivano sempre più estemporanei, facilitando così la repressione e le giustificazioni dei durissimi metodi della polizia inglese.
Nel 1982, l’ultimo tentativo di ripristinare una “devoluzione progressiva” (iniziativa che non avrebbe avuto alcun futuro, morendo nuovamente nel 1986 a causa dei boicottaggi arrivati in corso d’opera da tutte le parti dopo le consultazioni) voluto dal nuovo Segretario di Stato Jim Prior, avrebbe comunque visto una importante novità, poiché sia lo Sinn Féin che l’SLDP, decisero, di comune accordo, di praticare come tattica elettorale “l’astensionismo attivo”, presentandosi comunque alle elezioni: l’ala politica dell’IRA ottenne così ben 64.191 voti, pari al 10,1 % delle preferenze.
Amo la Thatcher, che ci posso fare…
’28aprile 1977. Fulvio Croce, 76 anni, dal 1968 presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino, sta rientrando nel suo studio in via Perrone. Nell’androne del palazzo tre figuri, una donna e due uomini, a sangue freddo lo crivellano di pallottole. Cinque colpi 7,62, esplosi da una Nagant cecoslovacca la medesima usata per ferire a morte il giornalista Carlo Casalegno lo fulminano. Le Brigate Rosse rivendicano immediatamente e con gran clamore l’attentato. La colpa di Fulvio Croce è quella di aver voluto assumere, in prima persona e con tutti i colleghi dell’Ordine, la difesa d’ufficio di alcuni appartenenti all’organizzazione terroristica, in quei giorni alla sbarra alla Corte d’Assise di Torino per gravissimi crimini. Gli avvocati torinesi, con Fulvio Croce alla guida, assunsero la difesa d’ufficio, così interpretando il loro ruolo e la loro dignità. E Fulvio Croce pagò con la vita. Fulvio Croce era un Alpino, coraggioso, idealista (diciassettenne, era stato a Fiume con D’Annunzio), intelligente, determinato nell’agire ed animato di intenso patriottismo (era pronipote di Costantino Nigra, amico, collaboratore di Cavour e diplomatico), nel 1940 era voluto andare subito in linea, sul Fronte Occidentale, con i suoi Alpini del 4º Reggimento’.
Sul serio è stato meglio sacrificare la vita di Croce e di tanti altri invece che ammazzare o lasciar morire quelle bestie rosse?