Nell’iconografia tradizionale i draghi sono i padroni, distruttivi, del territorio, contro i quali i cavalieri devono combattere, simboleggiando la lotta contro il male e la vittoria del bene. Lungi da noi il volere attribuire al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ambigue ascendenze. Di fronte al liquefarsi della Politica italiana sotto le lingue di fuoco dell’unanimismo parlamentare, evocare le ragioni di una lotta, pur nella sua dimensione mitologica, vuole dire – dal nostro punto di vista – andare alle basi della ragion politica. A cominciare dal campo di scontro/confronto che non è il governo, né esclusivamente le assisi parlamentari.
Nel momento in cui – per ammissione generale – il Governo Draghi è nato proprio a seguito di un arretramento dei partiti (delle rispettive “ragioni politiche”), “costretti” a dare il loro consenso al “tecnico” prestato alla politica, è ritrovando il valore di scelte a tutto campo, in grado di dare voce al Paese reale, alle categorie produttive, ai territori, che si gioca la vera partita del futuro. Quel futuro, traguardato da Draghi al 2030 e al 2050, che non può essere ridotto ad un mero problema “tecnico”, nell’ambiguo “gioco delle parti”, tra esperti che fanno politica e politici costretti ad improvvisarsi esperti.
La questione è anche “di valore” e di valori in campo , di quale modello di società si vuole costruire, di quali discrimini di principio si vuole porre. A partire dalla realtà, dal non esaltante rosario di numeri e di tendenze (in negativo) che disegnano un Paese fatto di povertà e di diseguaglianze (con buona pace dei principi costituzionali), di sperequazioni territoriali e generazionali, di classi dirigenti deboli e colluse con i poteri forti, con gli interessi particolari (pensiamo al recente scandalo delle “mascherine”), con i piccoli interessi di bottega. Ed anche in ragione di una sovranità ritrovata in uno Stato “omnia potens, non omnia facies” ed in una politica espressione di concretezza e di autodeterminazione.
Ai draghi del relativismo e del tecnicismo (due facce della stessa medaglia) occorre allora opporre “cavalieri” coraggiosi, in grado di sfidare il conformismo (sul piano dei principi e delle idee di fondo, capaci di informare e sostanziare la politica) e di ridare voce ai cittadini. Non solo con l’auspicato, ma generico, richiamo al voto, all’espressione della volontà popolare, quanto soprattutto a partire dall’intreccio delle competenze e delle aspettative, delle domande di rappresentanza e della volontà di autentica modernizzazione nazionale.
Per fare questo non bastano le statistiche, i centri studi, le analisi di mercato. Ci vuole la passione, la determinazione ed i principi di cavalieri armati da visioni autenticamente ricostruttive. Fuori di metafora ci vuole una classe dirigente, politica e professionale, che sappia accettare la sfida dei draghi della tecnocrazia, fissando discriminanti di valore (la tecnica di per sé non è neutra) per andare oltre le emergenze: una sfida di civiltà che guardi realmente all’avvenire e che si alimenti di visioni “di valore” ponendo la famiglia, il lavoro, l’identità nazionale al centro del nuovo agire politico.
Nel tempo del conformismo diffuso fissare confini ideali è la vera sfida, contro gli eccessi del tecnicismo e la neutralizzazione dei principi. Per scegliere, tra i draghi ed i cavalieri, da che parte stare. O di qua o di là. Senza ambigui doppiogiochismi.
Non so se ci sono oggi o all’orizzonte veri tecnocrati capaci. Quello che è certo è che gli attuali politici non hanno requisiti, formazione, esperienza, capacità e questo lo vedono tutti. Purtroppo.
Anche ai tempi di Lenin, nell’URSS, il voto degli operai valeva il doppio di quello dei contadini.