Introduce Roberto Calasso, nella bandella Adelphi: “La maestria di Ernst Jünger ha raggiunto le punte più alte in quegli scritti dove lo stile diventa forma della contemplazione: lo dimostra in maniera imperiosa ‘Foglie e pietre’, del 1934, in cui Jünger raccolse una serie di brevi testi: taluni, come la mirabile ‘Lettera dalla Sicilia all’uomo nella Luna’, con natura di ‘foglia’, altri, come ‘Fuoco e movimento’, più affini alla ‘pietra’ (…). Jünger definì questi scritti ‘esercizi dello sguardo’”.
Si tratta di “scritti minori”, racconta invece l’autore, “dedicati a oggetti assai diversi tra loro”. La definizione mi sembra molto più onesta e pertinente; l’unico “esercizio dello sguardo” è, per precisa indicazione autoriale, il primo dei pezzi contenuti in questa raccolta. Si tratta dell’autobiografico “Soggiorno in Dalmazia”, ambientato nel 1932. EJ considerava quel frammento di costa adriatica come un’appendice dell’Italia, prima di partire; scopre invece un “paesaggio animato da forze segrete; si ridesta nella memoria e provoca un senso di nostalgia” (p. 17). La nostalgia è quella per il perduto dominio asburgico. EJ sbarca a Curzola (oggi Korčula) e incontra presto i “croati” (non i dalmati: curioso refuso), “piccolo popolo cordiale, civile e laborioso”. Racconta delle loro case di pietra e del loro amore per il mare. Apprezza il prosciutto dalmatico e due buoni vini, il rosso opollo e l’ambrato grk. È ospite di un vecchio suddito dell’impero asburgico, molto nostalgico dei tempi che furono; stessa nostalgia sembra nutrire EJ osservando non certo le vecchie torri di guardia diroccate della Repubblica Veneta, soltanto nominate, ma le rovine di un posto di frontiera “abbandonato da quell’impero germanico d’Oriente di cui ai nostri giorni si consumava la fine” (p. 39). Il resto sono descrizioni della bellezza della natura del posto; di particolare fascino l’ascesa sul Monte Vipera, dove vivono gli ultimi sciacalli di tutta Europa (p. 35).
“Elogio delle vocali” è un omaggio a Rimbaud (artista salutato più avanti, negli epigrammi, con chiarezza e precisione); scrive EJ che le vocali “esalano dal corpo della lingua come il soffio vitale, mentre il duro involucro delle consonanti conserva immutata la sua forma attraverso i secoli e i più svariati mutamenti di razze, popoli e lingue” (p. 43). Sono femminili, come insegna Jacob Grimm, e non maschili. In esse risiede “il colore” e non “il disegno” della parola. EJ aggiunge qualcosa di divertente a proposito del suono delle risate: sentite qua.
“Noi avvertiamo come senz’altro gradevoli solo le risate che danno sulla A e sulla O, mentre la E suona già sospetta e ha una sfumatura maligna. Si considera assolutamente cattiva la risata che dà sulla I, che ha una nota beffarda, di ironia, di perfidia e peggio. È singolare il fatto che proprio questo tipo di risata, il ‘ridacchiare’, si senta spesso in persone di aspetto deforme e da gnomo, ma anche in persone di spiccata intelligenza. Non c’è nessuno, infine, che rida sul tono della U” (p. 62). Non è proprio così – la risata in U, anzi, s’accompagna al grottesco, al ridicolo; è l’annuncio d’una esplosiva risata in A, magari – ma il passo è molto carino e merita una segnalazione.
Dopo ampia trattazione, queste le conclusioni: “La A significa verticalità e ampiezza, la O altezza e profondità, la E il vuoto e il sublime, la I la vita e la putrefazione, la U la generazione e la morte. Nella A invochiamo la potenza, nella O la luce, nella E l’intelletto, nella I la carne e nella U la terra materna (…). Le consonanti aggiungono la varietà dell materia e del movimento” (pp. 79-80).
Il terzo pezzo, “Fuoco e movimento” – scrive EJ – “va riportato a una vecchia predilezione per le cose di guerra. Come nella nostra epoca la vita sui campi di battaglia è più facile da sopportare, così al linguaggio riesce più facile cogliere quelle situazioni in cui si manifesta la potenza nuda” (p. 13). Sono pagine di interesse esclusivo di quei lettori appassionati di questioni militari, non mi sembra ci sia nulla di letterario.
“I demoni della polvere” – racconta l’autore – è pensato come “uno studio sulla decadenza del mondo borghese”, attraverso le arti figurative e in particolare attraverso le creazioni di Kubin: EJ dà per acquisita “la fine del mondo borghese, alla quale assistiamo da spettatori attivi e passivi” (p. 98). Non è andata esattamente così, per fortuna.
“Lettera dalla Sicilia all’uomo nella Luna” è una fragile prosa lirica, intrisa di panismo; si conclude con la percezione del paesaggio lunare come regno degli spiriti e di rocce e valli al contempo; Jünger vede, per la prima volta, “due maschere di un unico essere fondersi inseparabilmente l’una con l’altra. E per la prima volta si risolse in me un tormentoso dissidio che io, pronipote di una generazione idealista, nipote di una romantica e figlio di una materialista, avevo considerato fino allora insolubile (…). Il tempo ci ha riavvicinati alle antiche formule magiche” (p. 111).
“La mobilitazione totale” va intensa, spiega Jünger, come una “funzione della forma del Lavoratore: essa copre quell’ambito in cui tale forma si manifesta come processo organizzativo” (p. 15). Il “Lavoratore” è naturalmente “L’operaio” del saggio pubblicato nel 1932; questo saggio breve è stato più volte rimaneggiato nel tempo fino al 1980, e probabilmente piuttosto che essere analizzato oggi, tenendo per buono il “final cut”, andrebbe indagato filologicamente, recuperando eventuali manipolazioni, tagli e censure intervenute per mano autoriale. Naturalmente, non mi è stato possibile.
Infine, c’è spazio per una breve raccolta di epigrammi e per una meditazione – toccante – sui significati e sul senso del dolore.
Pubblicazione ideale per aficionado di EJ e per cultori della sua produzione, e della letteratura tedesca in generale. Un lusso per i neofiti e per i semplici curiosi.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 – Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d’acciaio” nel 1920.
Ernst Jünger, “Foglie e pietre”, Adelphi, Milano 1997. Traduzione di Flavio Cuniberto. Collana Biblioteca Adelphi, 343.
(da Lankelot)