Proponiamo ai nostri lettori l’ultimo articolo di Paolo Isotta su Il Fatto Quotidiano come un invito a coltivare, una volta di più, la memoria del grandissimo storico della musica, ciclone vero della cultura italiana ed europea, genio senza tempo che ci manca già tantissimo e ci mancherà ancora di più.
La notizia era nota da mesi. Riccardo Muti, tra i più illustri direttori d’orchestra viventi (e prossimo a entrare nella categoria dei decani), avrebbe dovuto dirigere al San Carlo di Napoli un Don Giovanni con la regia della figlia Chiara (tema sul quale stavolta ci asteniamo) e toccare il più bel teatro del mondo con un concerto di una tournée dei Wiener Philarmoniker, da lui diretti, insieme con Firenze e Milano; più un secondo concerto. Ma ciò è stato revocato. Ne parlo oggi perché giovedì il Maestro, in un’intervista al Corriere, si è detto “offeso” dell’accaduto.
Sembra che il soprintendente del San Carlo Lissner non avrebbe revocato il Don Giovanni, bensì la tappa napoletana della tournée dei Filarmonici di Vienna. La cui importanza è inutile da sottolineare. (Ne giova il Teatro Regio di Torino, che potrà godersi una recita di Così fan tutte, sempre di Mozart, già prodotto dal San Carlo). Ma la ragione dell’annullamento addotta dal Sovrintendente è inaccettabile: una “mancanza di fondi”. Il San Carlo è ampiamente locupletato dalla Regione Campania; è notorio che i fondi vi sono; e si dice pure che verranno impiegati per altri concerti di un direttore d’orchestra, vicino a Lissner, di statura artistica nemmeno paragonabile a quella di Muti. Prendere Muti in giro è poi proporgli un cambio di date, dal momento che tutti sanno che le tournée sono a scadenze ferree. E se non si “offende” così non un uomo, ma un artista ch’è uno dei vanti dell’Italia nel mondo, che cosa significa “offendere”? Che il maestro Muti, si dice, abbia, di conseguenza revocato il Don Giovanni, è ovvio. O lo si rispetta, o non lo si rispetta.
Di Lissner è inutile aggiungere alcunché: è soggetto notorio. Questa deplorevole vicenda è un simbolo dell’inseguimento verso il basso nel quale versa la cultura, e quella musicale in specie, oggi.