Frequentavo nell’aprile 1958 la Terza Elementare. Alle otto della sera, nella Torino della mia fanciullezza, già la cena era terminata. A quell’ora in casa – neppure avevamo ancora la televisione – scendeva come una coltre di rispettoso e religioso silenzio. Per il nonno era una sorta di appuntamento irrinunciabile, un laico rosario che nessuno avrebbe osato disturbare: l’ascolto di Radiosera, del quale mi ricordo ancora la particolare voce del corrispondente da New York, Ruggero Orlando. Dal 1951 Radiosera era il radiogiornale del Secondo Programma della RAI, della durata di mezz’ora (20-20,30), che i miei ancora chiamavano Rete Azzurra. L’altra, dagli anni Trenta, era la Rete Rossa, poi Programma Nazionale a partire dal 1950.
L’omicidio commesso da Cheryl, adolescente figlia della famosa attrice nordamericana Lana Turner, era descritto con il linguaggio controllato e pudibondo dell’epoca: definito come l’azione d’una quattordicenne a difesa della mamma aggredita da un giovane con precedenti penali, senza molti particolari, se ricordo bene… Nei giorni successivi, sulla scorta dei diffusi rotocalchi femminili dell’epoca, Oggi e Gente, mia madre faceva, però, un gran parlare con le amiche, conoscenti e parenti, dal vivo o per telefono, della vicenda successa a quella ‘poco di buono’, a quella donnaccia svergognata della Turner, che collezionava mariti ed amanti con insaziabile fretta e vorace appetito! Io ero figlio unico, sempre con i grandi, e così puntualmente aggiornato di quanto succedeva nel loro mondo…
La vita privata di Lana Turner (1920-1995) è stata, in effetti, movimentata, tempestosa, caratterizzata da relazioni con molti uomini dello spettacolo, da Tyrone Power a Frank Sinatra (che la trovò la donna più sessuale con la quale fosse mai stato), e dai ‘presunti’ o ‘probabili amanti’, più o meno occasionali: Fernando Lamas, Spencer Tracy, Clark Gable, Richard Burton, Errol Flynn, Victor Mature, Howard Hughes, il torero Luis Miguel Dominguín ecc. L’attrice, solita a sfoggiare aneddoti per la posterità disse a volte, da anziana: “Il mio obiettivo era di avere un marito e sette figli, ma fu il contrario!”.
Lana Turner si sposò, infatti, ben otto volte con sette mariti, attori, un ex-Tarzan, playboys, musici, filibustieri, milionari o sedicenti tali (con Steve Crane, padre della sua unica figlia, ripetuto, in quanto l’uomo non era ancora divorziato dalla precedente moglie, la prima volta). Una grande star, un’eccellente attrice dalla splendida carriera, che non si fece mancar nulla, dalle belle case alle auto. Lana era anche un’affezionata ai drinks, una fumatrice compulsiva, adorava comprare scarpe, arrivando, come Imelda Marcos, a possederne oltre 700 paia, politicamente una fan di Roosevelt e poi sempre del Partito Democratico. Un’ artista sicuramente intelligente ed affascinante, con una vita condita da molteplici avventure sentimentali, che la “cronaca rosa” diffondeva, almeno sino al fatidico 1958, senza scavare troppo, per non offendere l’ancor diffuso puritanesimo della società americana, ad un pubblico pur avido dei particolari hot delle vite delle star, là nella celebre Dream Factory.
Fama, scandali, avventure amorose, sesso, misteri, zone torbide, un assassinato. Hollywood ha costruito le sue leggende su questi temi e forse nessuna attrice le ha riassunte meglio di Lana Turner, della cui nascita si è ricordato questo 8 febbraio il centenario. Forse in tono minore, per la pandemia di Covid-19, forse perchè appartiene ad una tipologia di donna, la femme fatale, di star passionale, divoratrice di maschi, oltre che elegante e curatissima – pur orgogliosamente libera – non molto apprezzata dall’ideologia femminista oggi imperante.
La giornalista Hedda Hopper scrisse che per la Turner “gli uomini erano come i vestiti, fatti per essere indossati e poi sbarazzarsene”. Sullo sfondo di un mondo che era ancora quello dello Star System, dei grandi Studios, i Big Five Majors dell’Epoca Dorata, signori e padroni del destino professionale e personale di attori ed attrici attraverso “contratti capestro”, che consentivano agli Studios di fare e disfare vite in funzione delle vendite alle biglietterie, delle previsioni di successo. L’affermazione di Lana Turner: “Quando amo, amo. Amo con i miei capelli, le mie unghie, i miei denti. E non cambierò mai” si convertirà per l’attrice in un incubo. La sua tempestosa relazione con il mafioso Johnny Stompanato sarà, infatti, una pulp fiction ed un melodramma terminato in tragedia, secondo un vecchissimo, abusato copione.
Nato nel 1925 in una famiglia italo-americana a Woodstock, nell’Illinois, Stompanato venne assunto come guardia del corpo da Mickey Cohen, potente boss mafioso in ascesa, la cui storia è una sorta di epitome dei “veri protagonisti” di Hollywood. Meyer Harris ‘Mickey’ Cohen (1913 – 1976) nacque in una famiglia ebraica ortodossa nel Brownsville ebraico di Brooklyn. La madre Fanny, già vedova nel settembre 1914, era immigrata da Kiev (Ucraina). Cohen lo usava per infiltrarsi nel mondo del cinema, non avendo il fascino e le amicizie di Bugsy Siegel (il costruttore dell’Hotel Flamingo e della moderna Las Vegas) o di John Roselli. Stompanato, protetto da Cohen, diede sfogo alla sua vena criminale, organizzando rapine, sfruttamento della prostituzione, dopo aver fatto pure il gigolò, agli inizi. Il potere criminale che lo circondava fece di Stompanato uno dei playboy più popolari di Hollywood. Egli indossava camicie di seta, una grossa catena d’oro al collo, esibiva un ampio sorriso, un’abbronzatura esagerata. Parecchie donne, anche famosi attrici, cedettero al fascino virile di quel ragazzo ignorantello e privo di galateo, ma, narrano, straordinariamente ben dotato, come un Porfirio Rubirosa. Lo avevano soprannominato ‘Oscar’ in analogia ai 30 cm. di altezza della famosa statuetta…
Nel 1957 Stompanato ottiene il numero di telefono e chiama a casa Lana Turner. All’attrice piacque subito l’impudenza dell’uomo, la sua trasgressività. Classico esempio di attrazione per un mascalzone, di fascino del criminale, naturalmente bello e ‘maschio alfa’, almeno nel suo ambiente. “A Lana Turner piacciono i banditi”, sosterrà Ava Gardner. Le sue relazioni ed i suoi numerosi matrimoni erano stati occasionalmente segnati da episodi di violenza. Non era raro vederla con un occhio nero. All’epoca molte donne erano, ahimè, picchiate dai loro uomini.
Hollywood era stata, in certo modo, fondata dai gangsters. Impasto di ricchezza, divismo, successo e bellezza, ma anche di violenza, criminalità e prevaricazione, con i grandi Studios – proprietà di israeliti dell’Europa Orientale divenuti poderosi – la malavita organizzata, le mafie ebraica ed italiana – quelle di immigrati che si erano fatte le ossa a Brooklyn, contendendosi spazi o associandosi – la politica (soprattutto il clan Kennedy), gli stupefacenti, l’alcol, gli stravizi, le degenerazioni sessuali… Il genere Hair Boiled, rappresentazione realistica del crimine, della violenza e del sesso, oggetto di molte pellicole statunitensi a partire dall’inizio dei ’40, è ‘ricreato nella realtà’ di Los Angeles/Hollywood, ovvero il suo contrario. Hollywood era ‘una fogna con i canali intrecciati tra di loro’. Marilyn Monroe, ad esempio, era stata l’amante del boss John Roselli, nato in provincia di Frosinone nel 1905, emigrato con la madre negli Stati Uniti nel 1911, rappresentante della ‘Chicago Outfit’ a Los Angeles e nel Nevada. A Hollywood nessuno rifiutava un favore a ‘Johnny il bello’, nemmeno il presidente della Columbia Pictures, Harry ‘King’ Cohn, che mise sotto contratto l’attrice. Roselli fu, sostengono alcuni, chi sparò a Dallas il 22 novembre 1963 il colpo di grazia al Presidente Kennedy, che aveva tradito la mafia – la quale aveva favorito la sua elezione – accettando che Castro la cacciasse da Cuba e che il fratello Robert l’incriminasse.
19 marzo del 1958: le fotografie ci tramandano il ritorno da Acapulco, all’aeroporto di Los Angeles, di Lana che sorride ai fotografi insieme alla figlia Cheryl ed a Johnny, quasi una felice famiglia americana dell’alta borghesia. Ma la Turner continuava a non volerlo al suo fianco nelle occasioni mondane, con Frank Sinatra, Marlon Brando, Cary Grant, Ava Gardner, Rita Hayworth, Burt Lancaster, James Stewart, Deborah Kerr, Jack Lemmon ed altri colleghi, conscia dell’inadeguatezza dell’uomo a stare tra i ricchi ed i famosi, tra le stelle che brillano di luce propria. Lana ricorderà (almeno secondo la sua propria versione) ogni dettaglio di quel tragico 4 aprile 1958, venerdì santo. Preceduto da un terribile mercoledì 26 marzo: la notte della trentesima edizione dei ‘Premi Oscar’. La trama di Peyton Place (I peccatori di Peyton) di Mark Robson fu una sorta di lugubre presagio. Cupo impasto di sesso, frustrazione, violenza: i vizi privati di una tranquilla, ma inquietante cittadina del New England, dietro la rassicurante facciata delle pubbliche virtù, madre di tutte le soap opera, fu definita, che le era valsa una Nomination quale migliore attrice protagonista, ma non il Premio, andato a Joanne Woodward. The Bridge on the River Kwai ebbe allora l’Oscar quale miglior film. Al ritorno dalla cerimonia, delusa, offesa, Stompanato – che l’aveva seguita in diretta televisiva – gonfio d’invidia, gelosia, rancore per non essere stato invitato da Lana ad accompagnarla, la riempì di schiaffi, minacciando di ucciderla.
Frank Sinatra aveva chiesto all’amico Michey Cohen di tenere Johnny Stompanato lontano dalla sua ex moglie, Ava Gardner, e di comportarsi bene con la sua ex amante Lana Turner. Ma Lana sopportava, non voleva cedere il suo bel gangster ad un’altra diva. Il rapporto con Stompanato era stato dall’inizio burrascoso e costellato da episodi di violenza e minacce. Per esempio, durante le riprese del film Another Time, another Place (1958) di Lewis Allen – che la Turner stava girando in Inghilterra con Sean Connery – un geloso Johnny aveva minacciato con un’arma l’attore scozzese e fu preso a pugni da Connery. I produttori lo denunciarono alla polizia, facendolo allontanare dal Regno Unito. Stompanato era diventato un’ossessione per la Turner: nonostante le intimidazioni e l’aggressività, la donna era morbosamente attratta da lui e non riusciva a troncare la relazione, come fu evidente dalle lettere che l’attrice gli scriveva e che poi furono pubblicate dai tabloid, pare consegnate da Mickey Cohen, che le deteneva o le fece rubare, furioso con l’attrice per l’avvenuta uccisione del ‘suo’ Stompanato.
Quando finalmente Lana si decise, Stompanato uscì dai gangheri. Il 4 aprile 1958, nella villa della Turner a Beverly Hills, il gangster minacciò di sfregiarla; dopo una furiosa lite, la quattordicenne figlia Cheryl – per difendere la madre, sostenne – lo uccise, pugnalandolo con un coltello da cucina. Il processo che seguì ebbe un enorme clamore mediatico e la drammatica testimonianza della Turner su mesi di minacce e violenze fu giudicata dai tabloid “la più grande interpretazione della sua carriera”. Lana con un elegante tailleur salì alla sbarra e diede una testimonianza commovente, ponendo enfasi in ogni frase, alternando sapientemente silenzi, gesti, lacrime. La giuria fu convinta che la ragazzina non aveva commesso un omicidio volontario, ma solo agito in legittima difesa. Cheryl, l’ancor fragile adolescente che aveva ucciso un uomo robusto e violento, venne così assolta. Anche se molti dubbi rimanevano sulle reali dinamiche dell’evento.
La Turner faticò a riprendersi; a gettarla nella disperazione del momento fu soprattutto la pubblicazione delle sue lettere a Stompanato, date in pasto al pubblico. Contenevano dichiarazioni d’amore, ma anche scabrosi commenti sessuali e descrizioni di giochi sadomasochistici. Scorsero fiumi d’inchiostro. Era la prima volta che l’intimità di una diva era messa a nudo in piazza e Lana venne bollata come una donna di facili costumi e madre snaturata, con forti critiche alla sua condotta da parte della Chiesa, di psicologi e di vasti settori di un’opinione pubblica ancora moralista.
Il tragico epilogo della burrascosa relazione con Stompanato parve segnare l’inizio del declino della carriera della star. Il drammatico processo segnò invece il suo insperato trionfo. Lana Turner era stata una delle più intriganti presenze femminili degli anni ’40 sul grande schermo. La sua bellezza non convenzionale, la sua personalità, i ruoli che interpretò e le vicende di cui fu protagonista avevano fatto di lei un personaggio notissimo, tanto che fu coniato il termine “Lanallure”, per spiegare il tipo di fascino che emanava. Dopo il ’58 iniziò un’altra parte della sua carriera e della sua esistenza.
Julia Jean ‘Lana’ Turner nacque al Providence Hospital della piccola comunità di Wallace, Idaho, da John Virgil Turner (1894-1930), un minatore col vizio del gioco, di origine olandese, e da Mildred Frances Cowan (1904-1982), con 17 anni ancora da compiere, ascendenti inglesi, scozzesi, irlandesi. Una tipica famiglia della working class del tempo, con il padre che presto l’abbandona, quindi è assassinato, quando Lana ha appena 9 anni. Quel giorno John Turner aveva avuto una serie assai fortunata giocando ai dadi, al craps. Nascose il denaro vinto in un calzino. Il cadavere fu trovato il mattino seguente in un vicolo, privo d’una scarpa e del calzino. Mai si scoprì il colpevole. Priva dei pochi soldi che le mandava il marito, la madre Mildred dovette lavorare duramente, in umili impieghi, sino ad 80 ore settimanali, girovagando da una località all’altra degli States, per finire in California.
Raccontano i biografi che la piccola Judy era solita passare le serate ballando ed ascoltando musica alla radio, una passione che mantenne per tutta la vita. La bambina andava il sabato allo spettacolo pomeridiano del cinema. Ad affascinarla in modo particolare erano gli sfarzosi costumi delle dive Norma Shearer, Jean Harlow, Kay Francis, Bette Davis, Joan Crawford, Greta Garbo. Questa inclinazione le permise di mettere in pratica, durante tutta la sua carriera, una tecnica di portamento disinvolto ed elegante che aggiunse carati al suo naturale glamour. Molti registi le fecero indossare alcuni tra gli abiti di scena più splendidi mai creati dai costumisti di Hollywood; non casualmente, la stessa Turner disse in seguito che, se non avesse sfondato nel cinema, avrebbe desiderato diventare una stilista.
Protestante alla nascita, Judy cominciò a frequentare le liturgie cattoliche con una famiglia presso la quale la madre lavorava. All’età di 7 anni, con la medesima, si convertì formalmente al cattolicesimo. Alunna del Convento dell’Immacolata Concezione di San Francisco la bambina pensò addirittura… di farsi monaca! Successivamentre, a causa, sembra, di problemi respiratori di Mildred, si trasferirono a Los Angeles, nel 1936. (da https://en.wikipedia.org/wiki/Lana_Turner).
Studentessa piuttosto mediocre, la vita di Judy e della madre cambiò quando un giorno del ’37, all’uscita da scuola – almeno così scrissero poi – mentre stava bevendo una bibita al Top Hat Cafè di Los Angeles con le amiche, venne notata da William R. Wilkerson, un cronista dell’Hollywood Reporter che si avvicinò alla ragazza e le chiese se era interessata a lavorare nel cinema. Wilkerson non stava scherzando. La presentò, accompagnata da Mildred, ad uno dei fratelli Marx, Zeppo, che aveva la propria agenzia di casting. Constatata la straordinaria bellezza della giovane, Zeppo Marx – dopo aver voluto vedere ‘integralmente’ le sue gambe – informò la madre che poteva ottenerle in un grande Studio un contratto annuale da 50 dollari settimanali.
Julia Jean, ribattezzata con il nome d’arte di ‘Lana’ Turner, fece così il suo ingresso nella “Fabbrica dei Sogni”. Il regista Mervyn LeRoy le affidò subito una piccola parte nel film They won’t forget (Vendetta), uscita nello stesso 1937, nel ruolo di una ragazza che viene assassinata.
La giovanissima Turner venne ammirata per sua linea perfetta, del volto e del corpo, gli occhi e capelli chiari, le dita affusolate e per un maglione molto attillato che indossava nella scena del delitto. Causò immediatamente sensazione e divenne The Sweater Girl (La ragazza col golfino), soprannome col quale verrà ricordata per parecchio tempo. Lana, non molto alta (1,60) ma dalle linee e curve armoniose, si convertì immediatamente in un universale sex symbol.
Al punto che la Warner Bros. Studios decise di fare di lei una nuova Jean Harlow, scomparsa a soli 26 anni, nel 1937. Con Platinum Blonde diretta da Frank Capra, nel 1931 (titolo suggerito dal suo scopritore e produttore cinematografico indipendente Howard Hughes), Harlow era diventata una superstar, lanciando la moda dei capelli platinati. La Turner che era castana chiara in Vendetta divenne così bionda platinata! E tale quasi sempre rimase…
All’inizio degli anni ’40 Lana sottoscrisse un lunghissimo contrato con la Metro-Goldwyn-Mayer e consolidò il suo successo con Il dottor Jekyll e Mr. Hyde (1941) di Victor Fleming; Le fanciulle delle follie (1941) di Robert Z. Leonard e Busby Berkeley; Se mi vuoi sposami (1941) di Jack Conway e Incontro a Bataan (1942) di Wesley Ruggles. Nel 1946 risultò fra le dieci attrici più pagate di Hollywood, apprezzata per la bravura nella recitazione, non solo per la sua intensa sensualità.
Il postino suona sempre due volte (The Postman Always Rings Twice) è un film del 1946
diretto da Tay Garnett, un capolavoro noir. La Turner nel fiore dei suoi 25 anni ne è la grande protagonista. Il noir americano è stato definito uno dei celebri miti popolari del nostro tempo da Renato Venturelli in Poliziesco americano in 100 film (2014, Le Mani-Microart’S). Lì sono menzionati tutti i cult del genere, da The Maltese Falcon, diretto da Roy Del Ruth del 1931 (da non confondere con l’omonimo Il mistero del falco di John Huston (The Maltese Falcon, 1941). Altri indiscussi capolavori: Vertigine di Otto Preminger (Laura, 1944), La donna fantasma di Robert Siodmak (Phanthom Lady, 1944), L’ombra del passato di Edward Dmytryck (Murder, my Sweet, 1944), Il Grande caldo di Fritz Lang (The Big Heat, 1953), Il grande sonno (The Big Sleep, 1946) di Howard Hawks e molti altri.
Io vidi ‘Il postino’, il vecchio film del 1946, parecchi anni dopo, in un Cineforum della mia città, e mi colpì quel bianco e nero straordinario, levigato. Quel sapiente gioco di luci ed ombre, quegli effetti drammatici che il colore non può rendere. La Turner, provocante e lussuriosa protagonista, nella sua interpretazione forse migliore, da bellezza mozzafiato diventava una magnetica femme fatale, una vera femme au charme irrésistible. Paradigma di una figura che troneggiò dagli schermi in tutto il suo ambiguo splendore nell’universo oscuro del cinema noir.
La trama della pellicola ci mostra Cora e Nick che gestiscono un ristorante sulla strada, il ‘Twin Oaks’. Un giorno arriva Frank, un vagabondo dai modi seducenti che comincia a lavorare per Nick. Cora, non soddisfatta dal rapporto col marito, più anziano di lei e dedito all’alcol, s’innamora di Frank, suo coetaneo. Tra i due nasce una passione tanto forte quanto insana e, infatti, decidono d’inscenare un incidente domestico per uccidere Nick e vivere insieme. Dopo varie vicende e colpi di scena, Frank sarà condannato e giustiziato non per l’omicidio di Cora, morta a causa d’un incidente stradale, ma per quello del primo marito di lei. Frank vive tale beffa come una liberazione: il postino ha suonato due volte, sia per lui che per Cora, e la seconda volta l’hanno sentito, come normalmente accade. I due hanno pagato con la vita la morte di Nick. All’epoca, una dark lady come Cora era sempre punita, dal fato o dalla giustizia degli uomini. Su tale topico, già presente nella mitologia greca come in quella biblica, molto è stato scritto. Personalmente ritengo che femme fatale e dark lady non siano esattamente sinonimi, anche se spesso sono stati usati come tali.
‘Il Noir, con il suo realismo, crea la figura estrema della dark lady, una donna spregiudicata che vuole ottenere ciò che desidera ad ogni costo e con qualsiasi mezzo. E di solito il mezzo è il delitto e quello che vuole è il denaro, lo strumento indispensabile per ottenere la definitiva indipendenza dal maschio. Non a caso, spesso, l’obiettivo che si accompagna al denaro è proprio l’eliminazione fisica del maschio. Nel Noir classico però, dove impera il Codice Hayes, questa liberazione resta ancora impossibile e alla fine la dark lady muore o viene comunque punita’. (La dark lady, un bacio e una pistola di Gabriella Maldini, 7 gennaio 2019, in https://artevitae.it/la-dark-lady-un-bacio-e-una-pistola).
Basato sull’omonimo romanzo di James Cain, il film venne realizzato a soli tre anni di distanza dall’adattamento dello stesso romanzo girato in Italia, da Luchino Visconti, con il titolo
di Ossessione (1943), con Clara Calamai. La MGM, che deteneva i diritti del libro ed era riuscita
a bloccarne la circolazione negli Stati Uniti, decise di metterne in scena una versione più morbosa: la carica erotica che si sprigiona tra Lana Turner e John Garfield diventa la chiave dell’intero film, che all’epoca riscosse un enorme successo commerciale e col tempo si convertì in un vero e proprio cult movie. La Turner si conferma una diva dalla travolgente sessualità, ma non solo, nella sua performance cinematografica forse migliore. Imporre un trend, una moda, fu una costante lungo tutta la carriera di Lana. De Il postino suona sempre due volte resta indimenticabile la sua apparizione in scena con crop top, shorts, turbante e scarpe bianche. Una delle migliori entrate in scena della storia del cinema.
The Postman Always Rings Twice è un romanzo di James M. Cain pubblicato nel 1934. Il libro fu pubblicato nel 1934 a New York e fu oggetto di ispirazione per Cesare Pavese (in Paesi tuoi, 1941) ed Albert Camus (in Lo straniero, 1942). Il grande successo diede al suo autore la fama di essere uno dei maestri di quella scuola del noir e del giallo d’azione hard-boiled a cui appartengono Dashiell Hammett e Raymond Chandler. Lo stile asciutto e la prosa cruda, nonché l’atmosfera ancora sconvolta dagli strascichi della Deep Depression, la lontananza dalle illusioni dell’American Dream, lo approssimano al Dirty Realism di Charles Bukowski e John Fante.
Il romanzo ha fatto da soggetto o ispirato diversi film: Le dernier tournant, di Pierre Chenal (1939); Ossessione, di Luchino Visconti (1943); Il postino suona sempre due volte, di Tay Garnett (1946); Cronaca di un amore, di Michelangelo Antonioni (1950); Il postino suona sempre due volte (1981) ed altri. Nel 1981 Il postino suona sempre due volte di Tay Garnett ebbe un celebre remake con un film dall’analogo titolo diretto da Bob Rafelson, con Jack Nicholson/Frank Chambers e Jessica Lange/Cora Smith. La Lange è brava, alla pari di Nicholson, ma la pellicola non raggiunge l’intensità drammatica di quello del 1946.
Il postino suona sempre due volte s’inserisce nel filone prolifico del cinema noir, un genere così battezzato dai francesi, in luogo di detective fiction, che trova il suo apogeo negli Stati Uniti nelle decadi del 1940 e ’50. The Maltese Falcon di John Huston, con Humphrey Bogart, Mary Astor, Peter Lorre, Gladys George, presentata nel 1941 è considerata la prima, vera pellicola del genere. Non quella di Roy Del Ruth del 1931. The Maltese Falcon, basata sulla novella omonima di Dashiell Hammett, fu altresì il primo film di John Huston como regista. La costruzione formale del film noir è di tipo espressionistico, viene usato un linguaggio ellittico e metaforico dove la scena è caratterizzata da un’illuminazione essenzialmente tenebrosa in chiaroscuro; predominano le scene notturne in umidi e fumosi ambienti chiusi, si usano le ombre e le riprese ravvicinate, le tecniche innovative dei piani, per esaltare e sottolineare la psicologia dei personaggi.
Poi, Lana Turner fu protagonista di molti altri movies. Dai primi anni cinquanta, ai ruoli di dark lady un po’ fini a sé stessi, la Turner preferì assumere parti più impegnative: tra le sue più acclamate interpretazioni vi furono quelle dell’attrice bella e sensibile che vive una difficile relazione con un tirannico produttore (interpretato da Kirk Douglas) nel cinico Il bruto e la bella (1952) di Vincente Minnelli, e della ragazza madre che alla famiglia preferisce la carriera di attrice nel melodrammatico Lo specchio della vita (1959) di Douglas Sirk, presentato dopo l’affaire Stompanato. Di quel periodo si segnalano anche le sue partecipazioni ai film La fiamma e la carne (1954) di Richard Brooks, Controspionaggio (1954) di Gottfried Reinhardt, Le piogge di Ranchipur (1955) di Jean Negulesco, Diana la cortigiana (1956) di David Miller, I peccatori di Peyton (1957) di Mark Robson. L’attrice sempre abbagliava con il suo ricco guardaroba, il trucco dalla perfezione ossessiva, l’acconciatura perfetta. Uno scrittore spagnolo la descrisse “como la actriz que siempre estaba peinada”. Il glamour dello schermo Lana cercava di portarlo nella sua vita, annullando la distanza tra la dimensione artistica e quella quotidiana. Abbiamo già visto con quali limiti e rischi.
Dopo l’Affaire Stompanato la carriera de Lana Turner sembrava agonizzante. La sua successiva pellicola, tuttavia, ebbe un successo straordinario. Presentata un anno dopo lo scandalo, nel 1959, Imitation of life (Lo specchio della vita), diretta da Douglas Sirk, adattamento di un omonimo romanzo di Fannie Hurst, significò anche un grosso affare finanziario per l’attrice. La Turner aveva infatti accettato di ridurre il suo compenso in cambio di una buona percentuale sugli incassi della biglietteria. Si convertì così nell’attrice che più aveva guadagnato per un unico film.
L’apice di quel periodo fu Madame X (1966) di David Lowell Rich, un altro melodramma strappalacrime, in cui Lana recitò accanto a John Forsythe e Constance Bennett, e che rimase il suo ultimo ruolo da protagonista: la struggente interpretazione di una madre tormentata ed alcolizzata, che ritrova suo figlio (interpretato da Keir Dullea) dopo anni di separazione, ma senza rivelarsi fino alla fine, e che le fruttò un ‘David di Donatello’.
Lana Turner continuò a lavorare nel mondo del cinema, ma con minore assiduità. Le sue aspirazioni non coincidevano più con i copioni che volevano imporle. Divenne capricciosa, esigente al massimo, litigiosa. Se ne rese conto e si eclissò, non del tutto, con discrezione, dalle luci della ribalta. Come se capisse le regole del gioco meglio di chiunque. Quando uno desidera affermarsi deve fare il maggior rumore possibile. Deve viceversa osservare il silenzio quando, con l’età, prevalgono il desiderio di tranquillità e l’ansia di una esistenza piuttosto ritirata. Dalla fine degli anni sessanta si dedicò al teatro e prese parte anche ad alcune produzioni televisive.
L’attrice ebbe un notevole successo teatrale con 40 Kilates di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy. Ogni notte, la bionda Lana faceva fermare la sua Rolls Royce alla porta del teatro affinchè tutti potessero vederla ed ammirarla. Non desiderava che qualcuno dubitasse che lei era tuttora una stella, non una Gloria Swanson di Sunset Boulevard. Nel settembre 1982, la Turner pubblicò una autobiografia titolata Lana: The Lady, the Legend, the Truth, E tornò alla notorietà con un ruolo su misura per lei nella popolare serie televisiva Falcon Crest. Ancora una volta godette dell’attenzione del gran pubblico, già oltre la sessantina. Ma a metà della seconda stagione, nell’82, l’attrice si stufò e chiese agli sceneggiatori di far morire il suo personaggio.
Come molti dei divi della sua generazione, la carriera cinematografica di Lana si arenò alla fine degli anni sessanta. Interpretò il suo ultimo ruolo sul grande schermo nel 1980 nella commedia horror Witches’ Brew di Richard Shorr e Herbert L. Strock. Continuò, comunque, ad essere una star di Hollywood sino alla fine, senza più mariti e, forse, neppure amanti occasionali. Non ci fu una sola apparizione pubblica alla quale l’attrice non si presentasse impeccabile, ingioiellata, assai ben vestita, perfetta come sempre. Invitata a partecipare ad un episodio della serie televisiva The Love Boat nel 1985, con quest’ultima apparizione Lana diede d’addio al set. Nel 1992 fu colpita da un tumore alla gola, forse dovuto alle troppe sigarette fumate. La combattiva Turner sperò di uscirne, ma il cancro si era metastizzato. Nel ’94, debilitata per la malattia, si recò a ricevere il nono Premio Donostia al Festival del Cinema di San Sebastián, in Spagna. Lana fece onore alla sua leggenda di donna indomabile. Dichiarò ‘di sempre aver fatto ciò che aveva voluto’. Era stata molto di più di un mito sessuale o di un’iconica dark lady. Lei ne era ben consapevole: era già entrata nella storia più alta della Settima Arte.
Negli ultimi tempi Lana Turner ritrovò una certa serenità, migliorando anche il rapporto con la figlia Cheryl, accettandone infine l’omosessualità. Ironia della sorte: ad una madre ingorda di sesso etero ‘corrispose’ una figlia dedita esclusivamente agli amori saffici. Morì il 29 giugno 1995, a 74 anni di età, nella sua casa di Century City, Los Angeles, accompagnata dalla figlia. Praticamente diseredata. Lana lasciò quasi tutto alla fedele cameriera per 45 anni, Carmen Lopéz Cruz. Il cadavere venne cremato e le ceneri disperse a Oahu, nelle Hawaii.