Esistono tre mondi. Quello dei garage. Quello delle torri. E poi c’è il Celeste Impero. Tutti e tre i mondi hanno le loro narrazioni e le loro verità. I loro scontri. Ma una epica sola.
L’Occidente, tra cyber feudalesimo e Torre di Babele
L’occidente di oggi è probabilmente arrivato al redde rationem. L’ircocervo liberal-democratico non regge più: il capitalismo deve scegliere, o da una parte, o dall’altra. O Hayek o Friedman. O l’anarco-capitalismo cibernetico, la spartizione delle risorse fra i signori della Rete, o la tirannia del produttivismo ciclico, dei Tecnici, il controllo “maternalistico” delle masse.
Il dopo Donald Trump ha riaperto lo scontro: da un lato i figli nati nei garage, i nerd finanziati dal papà, e forse anche dai servizi segreti. Il loro scantinato si è allargato tanto da potervi contenere il mondo. Un pezzo importante dell’utopia sessantottina ammanta il loro shogunato di dominazione algoritmica: è un medioevo contro Dio, il loro. Non progettano Cattedrali ma la felicità condivisa dei nuovi servi della gleba.
Dall’altro lato vi sono ancora alcune Torri. In esse la narrazione è più grigia e meno fantasiosa. La competizione altissima. Al termine di una impervia scalata si può essere boiardo, gabelliere, consigliere di corte: ma manca il Re. E manca il Popolo. Gli ultimi padroni del vapore si affidano agli esperti pur di mantenere uno straccio di marginalità. Il banchiere è costretto a sporcarsi le mani pur di non lasciare al suo destino di anarchia il pasticcio incolto, multietnico, multiforma, multigenere della Società Aperta nata a Yalta. Quanto vorrebbero tornare indietro.
Sotto il cielo d’Oriente
In Cina, per contro, esiste un Popolo. Ed esiste un Re. La sua narrazione è molto potente perché storia vera: qui non ci sono ragazzini brufolosi buoni col computer. E se ci sono (Jack Ma) essi vengono ricondotti a giusta misura. Nè dominano impunemente eminenze grigie: nel Celeste Impero chi sbaglia paga. Fisicamente.
Il Re qui esiste. E si chiama Xi. La sua è una favola epica, è la narrazione di un inconscio collettivo. Un “principino rosso”, tra i figli del Gotha del Partito, cresciuto nella bambagia, caduto nella più bieca disgrazia; mentre suo padre e sua madre subiscono la repressione di Mao, viene spedito nelle campagne, nei centri di rieducazione: niente acne, la sua pelle diviene più dura del marmo a causa delle infinite punture delle pulci.
Tutti piangono, lui sorride: è sopravvissuto alla Rivoluzione culturale, alla ferocia delle Guardie Rosse, alle torture, al lavoro massacrante nei campi. Assieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle potrebbe scappare: Hong Kong, Canada, molti eredi della minoranza riformista soppressa da Mao si sono già rifugiati in occidente. Ma Xi Jinping è di un’altra pasta: ha deciso di amare il suo popolo. Vuole giustizia. Diventa più rosso dei rossi. Entra nel Partito. La caccia ai corrotti diventa spietata. Provincia per provincia, sino a Pechino. Nasce un Re. Che parla alla sua gente.
Ora il mondo ha tre spicchi di Cielo. E un uomo mira a riunirli in una grande visione come in un’epica delle tradizioni passate. Questa è la Via della Seta, questa è la formula imperiale del “tutto ciò che sta sotto”. Non capirlo, lasciarne il potenziale a qualche guitto ignorante o stanco, significa condannare l’Europa a quel grigio caos paludoso dentro al quale sguazzano i peggiori.
@barbadilloit
Che cosa c’entra Yalta?
La via della seta sembra il simbolo di un atlantismo che si sfilaccia.
Tutto acrilico, altro che seta!