Corrispondenza dalla Russia – “A Mosca con Majakovskij” di Leonardo Fredduzzi è l’abbozzo di un possibile viaggio non solo per Mosca, ma per la Russia in generale. Con “abbozzo” non si deve pensare ad una qualche carenza o incompletezza: al contrario questo termine sta ad indicare la molteplicità di percorsi possibili che si possono percorrere. Non solo esiste un’infinita gamma di viaggi, ma ognuno di esso, in ogni momento, può cambiare radicalmente e condurre nel migliore dei casi a mete sconosciute (non è detto che ci debba per forza essere una fine!). Narratore e lettore percorrono questo viaggio insieme: se da un certo punto di vista il primo conduce il secondo sapendo, almeno teoricamente, cosa li possa attendere, da un altro punto di vista invece è evidente che anche per lui questo percorso è del tutto nuovo. La superiorità teorica del narratore nel senso appena visto non è sinonimo di superbia e distacco. Il narratore è perfettamente consapevole dei rischi e delle responsabilità che ci si deve addossare per affrontare un viaggio metamorfico-fantastico di questo tipo. Infatti, il narratore spiega al lettore dove stanno andando e secondo quale disegno, in quali rischi potrebbero incappare da un momento all’altro, riassume spesso (per fortuna!) i passi appena percorsi e i rischi evitati, le possibilità consciamente o meno scartate. In questo modo entrambi possono riprendere fiato. Il narratore non esegue queste operazioni solo ed esclusivamente per il bene lettore: anch’egli ha bisogno di riprendersi e raccapezzarsi. Molto spesso, a queste pause seguono folgorazioni, sparizioni, repentini cambiamenti di luoghi, soggetti, temi trattati, autori con i quali e nelle vesti dei quali si cerca di conoscere Mosca. Non sembra esserci mai pace. Molto spesso si è obbligati a ritornare sui propri passi e molti luoghi già noti vengono ri-conosciuti come per la prima volta.
Niente è univoco. È impossibile descrivere il ritmo della narrazione: qualsivoglia costanza è infatti bandita. Lo stesso narratore a volte non sa quale scelte prendere, non sa come il viaggio intrapreso finirà; proprio per questo si affida a ricordi (anche se, come vedremo a breve, con una certa riserva), suggestioni, racconti, leggende, paragoni, confronti, conoscenze di ogni tipo (storiche, economiche, sociali, architettoniche e, naturalmente, letterarie). Egli non si muove alla cieca, cerca di seguire un percorso, una direzione, ma essa può in ogni momento cambiare inaspettatamente: questa è l’unica consapevolezza certa. Questo è da considerarsi un punto altamente positivo: l’onniscienza comporterebbe quiete e immobilità. Non esiste ancora nulla da contemplare, il nuovo mondo non ha ancora forma. Ciò non significa che successivamente sarà possibile rilassarsi e godersi lo spettacolo: la creazione sembra essere incessante…
Questo libro è rivolto a tutti. Non è necessario che il lettore sia colto, esperto di Russia; l’unica condizione necessaria e sufficiente è che abbia fiato da vendere! Seguire Fredduzzi nella sua “guida letteraria” richiede una prestanza fisica non indifferente. Chi non è mai stato a Mosca e non ha grande dimestichezza con la letteratura e la cultura russe troverà una galassia interamente da scoprire ed esplorare; chi invece ha già una qualche dimestichezza o è addirittura esperto troverà nuovi spunti interessantissimi.
Gli interlocutori
I principali punti di riferimento e interlocutori di questo libro sono Majakovskij, Bulgakov e Pasternak. L’opera è, come si può facilmente dedurre dal titolo, maggiormente dedicata alla figura di Majakovskij. Essere Majakovskij o con Majakovskij non significa vivere in assenza di regole o principi: significa trovarsi nel momento demiurgico-creativo: cioè avere l’onere e l’onore di operare scelte performanti che condizioneranno non solo se stessi, ma il destino di milioni di persone. Allo stesso modo in cui Majakovskij ha pienamente incarnato il sentire di un’epoca e con la sua attività artistica le ha dato forma, anche il lettore è continuamente chiamato a superarsi, rinnovarsi, trasformarsi in vista di un futuro raggiante: conoscere Mosca (e la Russia) con e attraverso Majakovskij, prima di indicare la necessità di forgiare una nuova realtà, significa dimettere tutti i panni del passato che potrebbero ostacolare questo difficile compito demiurgico. Tentare di essere Majakovskij comporta una metamorfosi assoluta: quello del lettore è un compito arduo. Le possibilità sono tante, nulla è ancora immutabilmente stabilito. Dal falso può scaturire il vero (pag. 42), dal male il bene (pag. 79), e ogni anche diavoleria ha un senso profondo (pag. 96).
A fronte di questi rischi e potenzialità, sembrano esserci costantemente due limiti ineludibili che vengono trattati chiarissimamente: il passato e la natura. Queste due dimensioni corrispondono a limiti assoluti dell’agire umano che non elidono solo alcune delle possibilità d’azione e creazione a cui si è freneticamente e inaspettatamente posti davanti: in ogni momento storico questi limiti rappresentano la cornice di tutte queste possibilità, il confine ultimo entro il quale ci si può muovere. Nemmeno Majakovskij è riuscito a distruggerli. In primo luogo, il passato come limite assoluto dell’agire umano si declina come influenza negativa sul presente che modifica l’azione costruttiva rivolta al futuro rallentando inevitabilmente il progresso. Infatti, se il passato fosse stato completamente distrutto o meglio, se fosse stato possibile distruggerlo completamente, si sarebbe già potuto agire esclusivamente nella direzione del progresso, senza perdere tempo con nefasti retaggi del passato. In un secondo senso, c’è il rischio di creare un passato nel futuro: dopo la morte di Lenin, come osserva Majakovskij, la sua intelligenza e carattere concreti di uomo sono stati assolutizzati e resi simbolo astratto: sono stati quindi, se non negati, abbandonati, liquefatti, persi. In questo senso si può dire che un altro principio cardine che costituisce un insegnamento molto importante di questo libro è quello della necessità di un radicamento in una personalità concreta. Non a caso a Majakovskij toccherà lo stesso destino di Lenin. Da ciò si può trarre il seguente insegnamento: per creare, forgiare e in questo senso camminare per Mosca non si deve diventare spiriti e abbandonare la propria natura concreto-individuale. Tutta la forza, l’energia e l’eccentricità di cui si ha bisogno per seguire Majakovskij devono scaturire da un carattere particolare, vero, reale. Abbandonarlo sarebbe un’operazione troppo astratta, anche se non intesa in senso religioso. Questo radicamento nella personalità non deve essere inteso in senso limitativo: Lenin e Majakovskij hanno incarnato lo spirito di un’epoca e ne hanno realizzato tutte le possibilità.
Il secondo tema è quello della natura. In questo viaggio la consapevolezza dell’ineluttabilità della natura è costante. Essa è la consapevolezza del “conte philosophique” del Bulgakov di “Cuore di Cane” e “Le Uova Fatali”. Filipp Filippovič non riesce a trasformare le bestie in uomini e la morte di Lenin, nonostante il tentativo di Stalin, è definitiva. Ma la natura non si configura solo come un limite alla scienza e quindi all’azione umana. Un riferimento che manca nel testo e che qui ci permettiamo di proporre per sviluppare fino alle sue estreme conseguenze questo tema è il finale de “Le Uova Fatali”: armi chimiche e armata rossa non basteranno a fermare l’apparente inevitabile avanzata dei rettili su Mosca, sarà un “semplice” e rigidissimo inverno a porre fine al problema (più precisamente due giorni e due notti a -18). La natura, quindi, non è solo un limite alla nuova scienza sovietica e alle possibilità della rivoluzione, essa risolve con la sua immutabilità tutte quelle abnormità causate dall’uomo. Il lettore avrà infatti modo di imparare che per Majakovskij la natura è la dinamicità dell’energia elettrica, mentre per Bulgakov (e in senso un po’ diverso per Pasternak) la natura (o “le stelle”, come viene detto nel testo) è un orizzonte invalicabile carico di senso e per questo non necessariamente negativo.
Tenendo per buona la teoria estetica di Majakovskij esposta a pag. 51 seconda la quale “l’arte (…) è testimone dello spirito dell’epoca e se compariamo l’arte di diverse epoche giungiamo alla conclusione che l’arte eterna non esiste: essa è multiforme e dialettica”, è doveroso affermare che narratore e lettore compiono un’esperienza oltre-artistica: camminando per Mosca si cerca di compenetrare e far coesistere sullo stesso piano (che è quello dell’immaginazione e della fantasia) le diverse epoche della storia russa, i diversi stili architettonici, le diverse passioni, le ideologie, il bene e il male, le utopie, le diavolerie, le esperienze artistiche, i generi letterari (le citazione presenti nel testo partono dal “bozzetto” fino a raggiungere il poema), le mode, le guerre, le politiche economiche, le diverse nazionalità etc: il tentativo di far coesistere la totalità dell’essente su un unico piano in cui è possibile agire e scegliere è realizzato attraverso un volo (tema iniziale del libro) del lettore che non comporti un abbandono delle sue radici mediterranee. Come viene detto a pag. 14 “dobbiamo afferrare, ghermire il segreto di Mosca come Menelao fa con Proteo nell’Odissea”.
Altre concrezioni di questo approccio oltre-artistico consistono nelle costruzioni di tre fili conduttori che legano epoche storiche e quindi artistiche molto diverse: il primo parte da Gogol’ e passando per Dostoevskij e Pasternak arriva a Majakovskij, il secondo ricalca il percorso appena tracciato sottolineandone criticamente i “modi di vita incrostati nel tempo (…) che condannano la Russia all’immobilismo” (pag. 34) e il terzo consiste nel “napoleonismo” che lega Puškin e Majakovskij (pag. 53 e 74).
Quelle che seguiranno sono considerazioni forse un po’ troppo soggettive. In primo luogo, il modello euristico di individuo al quale si deve fare riferimento per sostenere il peso di un viaggio del genere (personalmente il sottoscritto non è alto due metri) è quello del vecchio commerciante delle prime pagine de “La pelle di Zigrino” di Honoré de Balzac. Un individuo che conosce tutto e che per questo non mira a diventare “angelo”. Questo commerciante ha inglobato in sé la conoscenza dell’intero essente (paesi, costumi, leggi, lingue, panorami, passioni umani etc) e, arrivato a quasi cent’anni si sente stanco, ma non ha paura della morte, non considera la sua personalità concreta una zavorra. Questo modello è e deve essere euristico in quanto è, nel testo preso in esame, irraggiungibile. Infatti, in Balzac si vede un individuo onnisciente (secondo le umane possibilità) che si dedica alla quiete contemplativa: con Majakovskij, essendo la realtà che si cerca di comprendere e creare fortemente magmatica, un termine al processo conoscitivo non è previsto. Il fine è, naturalmente, l’incarnazione e la realizzazione dello spirito della rivoluzione, ma la realizzazione concreta di questo compito dischiude un’infinita gamma di possibilità d’azione. Inoltre, al commerciante di Balzac manca quella freneticità che nessuno può evitare di esperire se decide di affidarsi al narratore di questo libro. Nonostante queste differenze sostanziali, l’esistenza di un ideale euristico di questo genere permette al lettore (o per lo meno al sottoscritto) di sostenere e sorreggere da un lato tutte quelle scelte che sono state intraprese e, dall’altro, tutte le possibilità scartate dell’iter intrapreso. In questo libro, a differenza di Majakovskij, non si cerca di cancellare il passato o il presente, tutto ciò che è stato preso in considerazione o a cui si è per lo meno accennato è mantenuto nell’alveo dei diversi possibili percorsi attuabili per Mosca. Il passato non deve essere rigettato, esso per il lettore e il narratore deve coesistere con il presente e il futuro: andare avanti non significa rinnegare il passato. In questo il lettore e il narratore affermano la propria libertà dalla prima figura presa in esame (Majakovskij) e si gettano alla ricerca di un’altra.
In secondo luogo, è da ritenersi altamente positivo il fatto che tutte le opere citate non finiscano per costituire un unico libro: ogni opera letteraria trattata (anche gli inserti pubblicitari più brevi) mantengono la loro autonomia e non confluiscono in una “kaša” (questa parola russa ha qui il significato metaforico di minestrone, confusione). Il fatto che alla fine venga percorso un solo ed unico viaggio non cozza con l’autonomia delle opere d’arte prese in considerazione. Il fatto che in ogni momento la direzione intrapresa dal lettore (e dal narratore) possa subire un cambiamento drastico indica che ogni testo considerato e ogni suggestione adottata non hanno valore univoco: questa plurivocità è garanzia dell’indipendenza e dell’irriducibilità di ogni opera d’arte (anche la vista di un paesaggio è qui considerata un’opera d’arte).
Infine, un altro punto molto importante per l’autore di questa recensione è il seguente: questo libro, come si è già detto, vuole essere una “guida letteraria” e questo carattere propedeutico-espositivo, volutamente non esaustivo, non impedisce a questo testo di essere un’opera d’arte a sé stante. Crocianamente parlando, l’essere opera espositiva non impedisce di essere opera d’arte ossia, più precisamente, opera d’arte storica.
Tutto ciò è incredibilmente conseguito da Fredduzzi con uno stile semplice e molto scorrevole. Alla complessità della materia trattata si contrappone l’essenzialità di uno stile che, nonostante molti richiami, riferimenti, citazioni, delucidazioni etc, non risulta complesso, ridondante e farraginoso.
In questa recensione si sono volutamente evitate molte citazioni del testo preso in considerazione. In accordo allo spirito dello scrittore, che più volte nel corso del viaggio per Mosca rimanda alla versione integrale dell’opera in questione, si è preferito utilizzare perifrasi e rimandi indiretti proprio per indurre il lettore di questa recensione ad intraprendere un viaggio che, in ogni caso, non sarà stato invano.
*“A Mosca con Majakovskij” di Leonardo Fredduzzi (pp. 135, euro 15, Giulio Perrone Editore)