Nato a Moras-en-Valloire, nel Dipartimento della Drôme, nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi, il 15 novembre 1903 ed ivi deceduto il 24 agosto 1972, figlio di un notaio.
‘Le père Rebatet est notaire, comme le veut la tradition familiale. C’est un notable bien vu de ses concitoyens. Si on ne lui connaît guère d’opinion politique, il manifeste un anticléricalisme qui choque son épouse, Jeanne Tampucci. À lui seul, le couple Rebatet est un condensé de la petite bourgeoisie provinciale de la Belle Époque. Lui, est bon vivant, nonchalant, sans façons. Il fréquente les brasseries et trinque avec les paysans. Il aime l’opérette, lit les journaux républicains et ne met jamais les pieds à l’église. Elle, est austère et va régulièrement à la messe. Elle tient de ses parents un goût pour la musique et la peinture, ainsi qu’une morale très stricte. Respectueuse de l’ordre établi, elle recherche la société des gens distingués, aristocrates de préférence. Entre les deux, le petit Lucien a fait son choix: il méprise son père et admire sa mère. Il trouve son père veule et démagogue et ne veut pas lui ressembler. Il ne lui pardonnera jamais de s’être débrouillé pour ne pas faire la guerre de 1914. Toute sa vie, il tentera de laver cette «honte» par un amour immodéré pour les armes et l’art militaire. Il adore les défilés et les récits de guerre. Sa mère et sa grand-mère lui ont inculqué le culte de l’effort et le respect de l’autorité’
(Frédéric Gaussen, Les enfants perdus du XXe siècle, 2000, in https://www.cairn.info/les-enfants-perdus-du-xxe-siecle-9782130509424-page-27.html; Frédéric Gaussen, Maurras et Lucien Rebatet, le fasciste parricide, in https://www.lemonde.fr/archives/article/2000/05/03/1819218.html).
1924. Rebatet scopre L’Action Française di Maurras e l’ideario fascisteggiante: «je n’ai jamais eu dans les veines un seul globule de sang démocratique. Nous souffrons depuis la Révolution d’un grave déséquilibre parce que nous avons perdu la notion de chef. J’aspire à la dictature, à un régime sévère et méritocratique», scriverà in Les Décombres.
1928. Rebatet svolge il servizio militare e s’installa a Parigi. Dopo aver abbandonato gli studi di Diritto, ed in seguito di Lettere, entra in qualità di critico musicale nel giornale nazionalista e monarchico di Maurras nel 1929, con lo pseudonimo di François Vinneuil, che userà anche del dopoguerra. Appassionato di musica, ma anche di cinema, ne diventa uno dei maggiori e perspicaci critici. Frequenta Robert Brasillach ed altre figure di Le bal des maudits.
1933. Matrimonio con Véronique Popovici, di origime rumena. Matrimonio felice, ma non allietato dalla nascita di figli.
1935. Rebatet entra nella redazione di Je Suis Partout, settimanale pubblicato da Arthème Fayard dal 29 novembre 1930, divenendone un opinionista politico di rilievo. Accoglie con entusiasmo l’uscita del pamphlet di Céline, Bagatelles pour un Massacre. Ama pure il jazz, Proust, Wagner, Stravinski. Con gli ebrei, attacca il comunismo, la democrazia, la Chiesa; dopo viaggi in Germania ed in Italia approfondisce le basi di quei regimi ed affina la sua fede fascista.
Richiamato alle Armi nel gennaio del 1940, Lucien Rebatet viene congedato in febbraio, e, dopo un periodo di prigionia in Germania, soggiorna nella nativa Moras, dove inizia la redazione di Les Décombres, le sue memorie e la sua visione sulla fine della III Repubblica, fino alla débâcle. Quindi raggiunge Vichy dove lavora alla radio, ma lo spirito cortigiano chi vi regna non fa per lui. Ritorna a Parigi e riprende con successo la collaborazione con Je Suis Partout che raggiungerà, durante l’occupazione, una tiratura di ben 250 mila copie.
1941. Pubblica due libelli antisemiti, Les Tribus du cinéma et du théâtre et Le Bolchevisme contre la civilisation. In seguito all’avanzata tedesca nella Russia bolscevica lo entusiasma l’idea di un’ Europa fascista. Rafforza, quindi, la collaborazione con l’occupante. Redigerà anche la critica teatrale per Le cri du peuple di Doriot, organo del ‘Parti Populaire Français’ e su Devenir delle Waffen SS francesi. Tutto ciò contrasta con l’apoliticalismo di Céline, il cui bagaglio ideologico era peraltro caotico, e che non collaborò con un occupante che neppure vedeva di buon occhio il suo antisemitismo furibondo. Rebatet, no. Egli fu coerentemente protedesco e la sarà sino alla fine. La sua analisi della ‘Questione ebraica’, per quanto maniacale ed ossessiva, era del tutto compatibile con i postulati nazionalsocialisti e la sua opzione per Hitler e la collaborazione radicale il risultato di una volontà coerente, della sua concezione della Francia e dell’Europa del futuro. Oggi, risulta certo incomprensibile l’ostilità assoluta, viscerale di Rebatet, per il quale gli ebrei costituivano una sorta di ‘demiurgo collettivo’, un popolo parassita, la quintaessenza dei vizi della borghesia, che corrompe ed inganna i francesi, affinchè combattano guerre utili solo a loro.
1942. A luglio, Rebatet pubblica Les Décombres (Le Macerie), dove indica come responsabili dello sfacelo del 1940 gli ebrei, i politici ed i militari. Il lungo pamphlet ha un tono aggressivo ed assai polemico. L’autore attacca violentemente anche l’Action française, al cui giornale aveva collaborato, ribattezzata «Inaction française» ed il suo capo, Charles Maurras, ch’egli qualifica ora «faux fasciste». Un parricidio. Maurras, offeso, definisce la creatura di Rebatet un «gros crachat de 664 pages»! Neppure i rappresentanti del governo di Vichy vengono risparmiati: la sola via d’uscita per la Francia è quella di impegnarsi a fondo nella collaborazione con la Germania nazista. Il libro è un grande successo, con una tiratura di circa 65.000 copie.
Les Décombres è così descritto da un’entusiasta Brasillach, che subisce il fascino di quelle pagine oscure, della penna dell’amico intinta nell’odio: “Un oceano di pagine violente, smisurate ed anche farneticanti, una somma dei giorni d’anteguerra e della guerra, che splenderà sui mesi a venire come un cupo sole. Uno dei libri grandi e terribili, nel testimoniare il tempo della tragedia”.
Scrisse Solinas sul numero de “Il Giornale” già ricordato:
“La ripubblicazione integrale di Les Décombres di Lucien Rebatet, bestseller antisemita nella Francia occupata della Seconda guerra mondiale ha di colpo riportato sulla scena, con lunga coda di polemiche, un autore maledetto, un libro «odioso» quanto a suo modo esemplare, una pagina di storia che a ogni rilettura riserva sorprese. Segnò appunto il successo del suo autore, ma ne preparò, appunto, la dannazione successiva. Riuscitissimo nelle pagine in cui racconta le tragedie e la farsa di una Francia imbelle eppure vanagloriosa, Les Décombres è un cimitero di previsioni sbagliate, di analisi raffazzonate e odi feroci, di meschine vendette, di regolamenti di conti intellettuali che il clima del tempo eleva a chiamate di correo”.
Solinas fa riferimento all’inedito, in Italia, seguito di Le décombres, un testo incompiuto, dai toni più misurati e freddi, non di pentimento, che esce postumo in Francia nel ’76 (Le Décombre è intanto ridotto dall’editore Pauvert di 150 pp. a seguito della richiesta della vedova Rebatet): Les Mémoires d’un fasciste, 2 voll. 1: Les Décombres, 1938-1940, 2: L’inédit de Clairvaux 1941-1947, Paris, 1976, 610 et 267 pp. In Italia uscirà col titolo Memorie di un fascista 1941-1947 (a cura di Moreno Marchi, Settimo Sigillo, 1993). Solo nel 2015 è stato ripubblicato Le dossier Rebatet, Préface di Pascal Ory, da Bénédicte Vergez-Chaignon, edizione integrale dei 2 testi summenzionati, Paris, Robert Laffont, collection «Bouquins».
L’ultimo articolo di Rebatet su Je suis partout è del 28 luglio 1944 (dopo lo sbarco in Normandia e l’attentato di von Stauffenberg) e s’ intitola «Fidélité au National-socialisme». Certo il senso dell’opportunità non era la sua dote migliore, anche se, fin dalla caduta di Stalingrado, pare confidasse agli intimi che la guerra era perduta, ma che era troppo tardi per tirarsi indietro!
A settembre, come circa un migliaio di ‘collaborazionisti’, tra i quali Céline, Rebatet si rifugia a Sigmaringen, nel Baden-Wurttemberg. Il 17 agosto 1944, in seguito all’invasione alleata della Francia, Laval aveva dato le dimissioni ed il successivo 20 agosto Pétain, dimissionario, fu costretto dai tedeschi a trasferirsi anch’egli a Sigmaringen, con Fernand de Brinon (poi fucilato dai gollisti), che divenne capo del governo in esilio, ribattezzato la ‘Commissione Governativa’.
1945. Arrestato dagli Alleati l’8 maggio a Feldkirch, in Austria, dopo aver consegnato il manoscritto dei Due Stendardi alla moglie Véronique, Lucien Rebatet è incarcerato a Fresnes, dove il suo avvocato riesce a restituirgli il manoscritto. Il processo inizia il successivo 18 novembre, assieme ad altri redattori di Je Suis Partout. Rebatet e Cousteau sono condannati a morte, Claude Jeantet all’ergastolo. Rebatet lavora alacremente al testo di Les deux étendards, sperando di terminarlo prima dell’esecuzione.
“Sarebbe morto tra una mezz’ora perché aveva avuto delle convinzioni, perché aveva cercato di battersi. Inerte, indifferente, come trentanove milioni e mezzo di cittadini, avrebbe cinquant’anni di vita davanti a lui”, così uno degli scrittori maledetti del “fascismo immenso e rosso” è descritto da Robert Brasillach, imprigionato perché accusato di tradimento per i suoi scritti su Je suis partout, che assiste dalla sua cella alla passeggiata verso la morte socratica di un condannato per le sue idee, vittima dell’epurazione che a partire dal 1945 si è abbattuta con giacobina spietatezza sui collaborazionisti di Vichy.
(https://www.secoloditalia.it/2018/07/prigione-le-catene-diario-dal-carcere-un-fascista-francese-la-sconfitta).
La prigione, il processo, l’attesa della condanna a morte, durata 4 mesi e mezzo, con i ceppi ai piedi, verranno magistralmente raccontati da Rebatet nelle Lettres de prison. Particolarmente la lunga lettera, scritta nell’aprile del 1947, quando l’ombra lugubre della fucilazione cederà il passo al sole della vita, per quanto in cattività. È il resoconto di come si trascorrono i giorni non sapendo se si vedrà l’alba di quello successivo, il supplizio quotidiano di chi non sa se dietro il secondino che spalanca la cella c’è la grazia o l’esecuzione. Riproposta nella traduzione in italiano di G. Rognoni, (Mimesis, 2018), in Non si fucila di domenica (A Lume Spento), con un’introduzione di Simone Paliaga.
1947. Graziato, dunque, ma inviato ai lavori forzati a vita per ‘intelligenza con il nemico’, in compagnia di Pierre-Antoine Cousteau, fratello del famoso comandante, l’oceanografo Jacques-Yves Cousteau, a Clairvaux, dove finirà Les Deux étendards. La petizione per la grazia era stata sottoscritta da Jean Paulhan, Bernanos, Roger Martin du Gard, Roland Dorgelès, Pierre Mac Orlan, Jean Anouilh, Camus, Mauriac, Claudel, Marcel Aymé. E grazie all’opera infaticabile della moglie che bussa a tutte le porte, implorando la grazia per il suo amato Lucien.
1950. Nel settembre il manoscritto è clandestinamente fatto pervenire a Gallimard da Véronique Rebatet e pubblicato in due volumi nel 1952. Les Deux Étendards riceve alcune critiche positive, specialmente dal gruppo degli ‘Hussards’, ma resta a lungo censurato da giornali e librerie. Rebatet non diventa un mito. Neppure il suo comportamento nei giorni caldi dell’epurazione alimentò una possibile leggenda. Non optò per il suicidio, come Drieu, per l’accettazione dell’assassinio giuridico come Brasillach o Hérold-Paquis. Né per fuggire come Alphonse de Chateaubriant o Céline. Durante il processo egli non esibì fierezza, tentò di salvare le cuoia. Era stato un bravo, colto critico d’arte, di musica e di cinema, un piccolo dandy col papillon, che nel vortice del conflitto pensò di essere quello che non era, un analista politico, il propagandista di un’idea di parte e lo fece senza misurare i toni. Diversamente da Cousteau, che non battè ciglio di fronte ai giudici e si dispiacque della sconfitta germanica: «Malgré tous ses crimes, la dernière chance de l’homme blanc». Alla lettura della condanna Rebatet non trovò il sorriso, mentre Cousteu esibiva uno stoico disprezzo. L’opera sarà in gran parte ignorata dalla critica, anche dopo la sua ristampa nel 1991. Liberato il 16 luglio 1952 ed in un primo tempo agli arresti domiciliari, Rebatet è bandito dalla società, gli viene dapprima proibito di risiedere a Parigi e conduce una esistenza piuttosto miserabile. Un altro romanzo Les Epis Murs (Gallimard, 1954) è piuttosto ben accolto. Margot l’enragée, rimarrà invece inedito. Riprende l’attività giornalistica.
1958. Lavora per il settimanale Rivarol. In seguito diventa redattore di Valeurs actuelles.
1961. A luglio sarà tra i pochi a partecipare al funerale di Céline, con Marcel Aymé, Claude Gallimard, Roger Nimier, Robert Poulet, Jean-Roger Caussimon. Fino alla fine egli resterà fedele all’idea fascista, non all’antisemitismo: ammira, anzi, la nuova Nazione Israeliana in guerra contro gli Arabi nel 1967.
1969. Pubblica Une histoire de la musique, la sua opera meno politica e più conosciuta, un autentico libro di riferimento, dalla sensibilità non comune. Rebatet, con lo pseudonimo di François Vinneuil, continua ad essere anche un apprezzato, acuto critico cinematografico e d’arte.
1972. Il 24 agosto Lucien Rebatet muore d’infarto, con meno di 69 anni, a Moras-en-Valloire. La moglie Véronique, vestale appassionata, vivrà fino al 1988 e giace nella stessa tomba, a fianco del marito. (http://salon-litteraire.linternaute.com/fr/le-salon/content/1847092-lucien-rebatet-biographie; https://it.wikipedia.org/wiki/Lucien_Rebatet).
“Oggi il rileggere Brasillach e gli altri autori del ‘romanticismo fascista’ va compiuto declinando la capacità – per dirla con il filosofo Mario Tronti – di essere eredi allo stesso tempo della sconfitta delle rivoluzioni del Novecento, ma anche dello spirito di quelle stesse rivoluzioni, estetiche, esistenziali e politiche. L’approccio migliore è quello formulato qualche anno fa dallo storico israeliano Zeev Sternhell: «Si può essere pieni di ammirazione per la vitalità della cultura fascista, per lo stesso senso di unità che il fascismo restituiva alla collettività, ma nello stesso tempo aborrire il totalitarismo, lo Stato poliziesco, il crimine politico». Per dirla metaforicamente: superare il fascismo reale con le potenzialità energetiche del fascismo immaginario, il «fascismo immenso e rosso» di cui parlava proprio Brasillach. Ed è, per usare le parole di Drieu, forse proprio questo il compito intellettuale della nostra epoca: «Andare al di là dell’avvenimento, tentare cammini rischiosi, percorrere tutte le strade possibili». Niente di grave se emergeranno anche errori. Ma è l’unico modo per «andare dove non c’è nessuno».”
(cfr. Luciano Lanna, Andare dove non c’è nessuno: Robert Brasillach,13.3.2009, in https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=25117).
Al di là delle vicende umane e letterarie di Lucien Rebatet, augurando il massimo successo alla prossima edizione italiana di Settecolori – ed al netto della repulsione che varie pagine delle Macerie provocano, coincidendo con Maurras, al di là del loro valore di testimonianza – rimane tuttora aperta la questione della legittimità dei giudizi che colpì “les collabò” dall’agosto 1944. Perchè divennero criminali coloro che aderirono ad un governo legittimo? L’accusa che riguardava Brasillach e molti altri era solo quella di “intelligenza col nemico” mossa sulla base dell’art. 75 del Codice Penale francese di allora, utilizzato dal governo provvisorio, presieduto da De Gaulle, per avviare l’epurazione dei collaborazionisti, in riferimento alla loro attività delatoria svolta sulle pagine di Je suis partout (assai poco credibile anche un ruolo operativo di Brasillach, di Rebatet o di altri redattori nell’uccisione di Georges Mandel per rappresaglia all’omicidio di Philippe Henriot). Rimane, in effetti, aperta la controversia sull’ État Français (per i detrattori Régime de Vichy). Stato a sovranità (molto) limitata, sciagurato per certe decisioni, ma pur sempre legittimo. ‘Intelligenza col nemico’ per obbedire ad uno Stato legittimo non era un delitto, fu un’aberrazione giuridica postuma di teorici vincitori, per ‘sbianchettare’ la Francia di De Gaulle…
Lo ‘Stato francese’ fu creato dopo la disfatta politica e militare della Terza Repubblica. Nella situazione di emergenza creatasi con l’invasione tedesca, il 16 giugno 1940 il presidente Albert Lebrun nominò il maresciallo di Francia Philippe Pétain (già con 84 anni) presidente del consiglio. Il successivo 22 giugno Pétain firmò a Rethondes l’armistizio con i tedeschi. Il trattato divise la Francia in due parti: quella settentrionale, denominata Zone occupée, occupata dall’esercito tedesco, e quella meridionale, chiamata Zone libre, amministrata dal neonato governo con sede a Vichy. Questa località termale fu scelta per il gran numero di alberghi e perché dotata della più moderna centrale telefonica del Paese. Il 10 luglio il Parlamento (lo stesso del 1936, del Front Populaire) votò per l’approvazione dei pieni poteri a Pétain, mentre alcune figure come Georges Mandel, Édouard Daladier, un senatore e 26 deputati dell’Assemblea Nazionale fuggirono in Nordafrica sulla nave ‘Massilia’. Su 544 deputati, 414 votarono e su 302 senatori, lo fecero 235. 357 deputati e 212 senatori votarono a favore di Pétain, 57 deputati e 23 senatori votarono contro. In totale 569 voti a favore dei pieni poteri a Pétain e 80 contro, con 30 astensioni. La decisione fu resa possibile dal fatto che la Terza Repubblica non aveva una vera Costituzione ed il sistema era retto da leggi costituzionali, modificabili con il voto della maggioranza assoluta delle Camere. Oltre ai pieni poteri, Pétain ottenne anche l’autorità formale per redigere una nuova Costituzione, ma tale diritto non venne mai esercitato; tuttavia, Pétain emise tra il 1940 e il 1942 dodici atti costituzionali. I sostenitori della legittimità del governo di Vichy affermano che la formazione del nuovo Stato avvenne tramite regolare votazione della Camera e del Senato (in particolar modo è da sottolineare che la maggioranza dei deputati e dei senatori era presente al proprio posto), mentre i suoi detrattori, con in testa De Gaulle, sottolineano che la votazione avvenne in un momento di notevole disordine pubblico per la Francia e che non fosse conforme ai princìpi della Repubblica.
Tesi quest’ultima discutibile, semmai comprensibile “a posteriori”, dopo la sconfitta della Germania, in termini di Realpolitik e di futuro internazionale della Francia. Così come un ruolo attivo di delatore della redazione di Je suis partout. La Gestapo non aveva certamente bisogno di loro… La legittimità dell’État Français di Vichy si basa anche sul riconoscimento internazionale dello stesso. Tra il 1940 ed il 1942 molti Paesi, non solo dell’Asse o neutrali, mantennero una rappresentanza diplomatica a Vichy. Anche gli Stati Uniti lo fecero fino al novembre 1942. Spinte da Londra, che desiderava mantenere aperto un canale di comunicazione con il Governo francese, Canada ed Australia mantennero un rappresentante a Vichy fino a quando, nel 1942, truppe tedesche ed italiane entrarono nella ‘Zona Libera’. L’URSS ebbe un’ambasciata presso lo Stato di Pétain fino al giugno ’41, all’invasione tedesca del ‘Piano Barbarossa’. Tale Stato godette, in sostanza, del riconoscimento della comunità internazionale, mentre De Gaulle ebbe molte difficoltà a fare valere il suo pensiero in patria, almeno fino all’ occupazione militare della ‘Zona Libera’.