E se fossimo diventati meno stoici?
Sul “Corriere” Danilo Taino, che si qualifica come “statistics editor”, pone a proposito della pandemia un interrogativo non banale: “Veniamo tutti da Venere, ormai?”. La domanda, semplificata nel titolo, parte dalla constatazione che le grandi ondate influenzali del passato – non solo la terribile Spagnola del 1918 e l’Asiatica del 1957, che mieté un milione di vite, ma anche l’epidemia del 1968, che secondo l’Enciclopedia Britannica provocò da un uno a quattro milioni di vittime, – furono affrontate con molto minore allarme rispetto alla pandemia da Coronavirus, e quasi senza misure limitative delle libertà personali. Se l’atteggiamento nei confronti delle prime due epidemie è comprensibile per la prossimità con due guerre mondiali che avevano fatto milioni di morti relativizzando il valore della vita umana, colpisce la rassegnazione nei confronti dell’ondata influenzale del 1968, quella che fu soprannominata “l’influenza di Mao”, visto che proveniva anch’essa dalla Cina comunista. Del ’68 conservo molti ricordi, belli o brutti, e all’epoca ero già un attento lettore di giornali; ma di quell’epidemia influenzale non rammento nulla.
Ricordo il terremoto del Belice, le prime manifestazioni studentesche, il joli mai francese e il successivo trionfo gollista, l’invasione della Cecoslovacchia. Ma non ricordo di aver saltato un solo giorno di scuola per motivi sanitari. Eppure la guerra era lontana, l’Italia e l’Occidente stavano vivendo un periodo di prosperità senza precedenti, alla vita umana e alla salute si attribuiva la massima importanza. Evidentemente però dinanzi ai morti da “cinese” prevaleva un atteggiamento virilmente rassegnato, non apprensivamente materno. Venivamo ancora da Marte, non da Venere, per parafrasare il titolo del commento. E soprattutto non avevamo perso quel sentimento tragico della vita e della storia che è stato alla base della cultura occidentale dagli antichi greci all’ultima guerra.
Oggi l’umanità è cambiata e il fatto presenta anche risvolti negativi. La reclusione forzata nelle abitazioni sta già accrescendo l’aggressività fra le mura domestiche, la crisi economica da lockdown non sarà priva di ripercussioni, per tacere dei contraccolpi sulla psiche degli ansiogeni bollettini radio sui nuovi casi che fra un po’ ci sentiremo in dovere di ascoltare in piedi come i bollettini di guerra nell’ultimo conflitto mondiale. Però sarebbe stato possibile comportarsi diversamente? Quei politici anglosassoni che in un primo momento hanno pensato di poter lasciar circolare il contagio contando su un’immunità di gregge si sono dovuti ricredere quando la pandemia ha fatto strage di troppe pecore e ha minacciato gli stessi pastori. In un mondo sempre più epicureo, fare professione di impassibilità dinanzi al pericolo è sempre più problematico, anche perché in pochi sono in grado di cogliere il sottile crinale fra stoicismo e cinismo.
Non si tratta di stoicismo, quello vero è patrimonio di pochi, per la maggioranza è incoscienza, almeno non credo, ma di un’informazione allarmista e drammatizzante. Qui, se anche non ci vorresti pensare tutto t’induce al pessimismo.