L’Europa quale unità politica, allo stato attuale delle cose, resta niente più che mero sogno o obiettivo storico da perseguire. Eppure, l’idea dell’unità europea è consustanziale alla cultura dei popoli del nostro continente. In una situazione siffatta risulta conveniente rivolgere attenzione a personaggi di grande rilievo o ad epoche storiche in cui l’ideale europeo sembrò risultare vincente. Non è casuale, pertanto, il recente ritorno in libreria di due classici della storiografia napoleonica. Ci riferiamo al volume di Hilaire Belloc, Napoleone condottiero e politico europeo, edito da OAKS editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 471, euro 24,00) e al libro di F. René de Chateaubriand, Storia di Napoleone, pubblicato da Iduna edizioni (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 469, euro 24,00).
Muoviamo dal primo di questi scritti. Belloc, come ricorda in prefazione Paolo Gulisano, nacque nel 1870, anno mirabile per le sorti europee, nei pressi di Parigi, da padre francese e madre inglese. La profonda fede cattolica di quest’ultima, che pure era cresciuta in un ambiente familiare culturalmente laico e progressista, influenzò la formazione del giovane Hilaire. Questi, ben presto, divenne sodale della comunità intellettuale che, nei primi decenni del Novecento, ebbe in G. K. Chesterton il proprio punto di riferimento. Il ritratto di Napoleone, tracciato grazie alla superba padronanza della lingua inglese (l’autore visse a lungo in Gran Bretagna), risulta oltre che oggettivo, affascinante. Il condottiero viene descritto: «con la consueta perizia di grande biografo di Belloc, raccontato nelle sue caratteristiche di temperamento, analizzato nella sua psicologia, descritto nelle sue sfrenate ambizioni» (p. IV). Belloc, non trascura, comunque, i limiti personali e politici dell’esperienza napoleonica: la attraversa con certosina attenzione, soffermandosi, in particolare, sugli aspetti di storia militare. Muove, comunque, dalle origini della famiglia corsa fino a giungere agli ultimi istanti di vita dell’Imperatore. L’autore rileva che Napoleone fu, innanzitutto, Homo Europeus: «il suo intento fallito era di fondare una unità del continente […] di unificare l’Europa restituendole la pace […] e riprendendo la tradizione augustea» (p. IV).
Come nella migliore tradizione biografica anglosassone, Belloc si tiene lontano dagli estremi della sterile agiografia e della denigrazione preconcetta. Riesce, pertanto, a cogliere le debolezze dell’uomo, le contraddizioni del politico, ma anche l’ unicità del personaggio, che si evince da molti luoghi del volume: in particolare dalla descrizione degli ultimi giorni di vita dell’Imperatore a Sant’Elena. In quel frangente, Napoleone si riconciliò con la fede e, dopo una lunga agonia: «finalmente si calmò […] erano quasi le sei della sera […] Napoleone era morto» (pp. 469-470). L’intero impianto dell’opera è fondato su quella che lo scrittore definisce «coscienza» cattolica della storia, poiché, a suo dire, il cattolico guarda all’Europa dall’interno, in quanto la storia dell’antico continente è parto doloroso e grande dell’humus cattolico.
La Storia di Napoleone di Chateaubriand è tratta dalle seconda parte delle sue Memorie d’oltretomba e fu, nel corso degli anni, rivista e ampliata più volte. Ricorda Gabriele Sabetta nella prefazione organica e contestualizzante, che il punto di vista dell’autore: «è quello del ceto aristocratico che inizialmente era stato sedotto dal genio del primo console […] ma che più tardi se ne era allontanato causa l’omicidio del duca di Enghein» (p. XV). Chateaubriand: «Per tradizione, per fedeltà di gentiluomo, è monarchico […] per natura, per sentimento intimo […] è il difensore della libertà e dei suoi alfieri» (p. XV). Il sentimento dell’onore fu in capo alle sue scelte esistenziali, che gli costarono caro. Giudicò, per tale ragione, scandaloso l’atteggiamento della classe dirigente che aveva collaborato con Bonaparte al momento del ritorno dei Borboni: tutti i suoi rappresentanti si schierarono dalla parte dei vincitori! Chiosa malinconicamente lo scrittore: «Quanto a noi, poveri diavoli di legittimisti, non eravamo ammessi da nessuna parte; non contavamo nulla» (p. XVI). L’Imperatore fu, come sostenne Hegel, individuo «cosmico-storico», nel quale un’intera epoca, connotata da tensioni rivoluzionarie e dal bisogno di ritorno all’ordine, trovò sintesi.
L’analisi di Chateaubriand muove dalla discussione di due genealogie inerenti l’origine dei Bonaparte. La prima vedrebbe Napoleone discendere dai Comneni, dinastia regnante a Costantinopoli tra XI e XII secolo, approdata in Corsica nel 1676. Tale genealogia confermerebbe la vocazione romano-imperiale del Bonaparte. La seconda ipotesi individua la possibile discendenza borbonica, risalente al gemello di Luigi XIV, detto la «maschera di ferro». Tale genealogia legherebbe, pertanto, Napoleone alla monarchia francese. L’ubi consistam dell’azione politica del corso è da individuarsi nel tentativo di far sorgere, dalla pratica bellica, una nuova aristocrazia. La sua insistenza: «già al tempo del consolato, […] nell’individuare i “notabili” ad ogni livello […] rivelavano l’immagine di una società che tendeva per l’appunto alla gerarchizzazione» (p. XXI). Allo scopo, la sua sagace azione politica favorì l’incontro dei nuovi nobili con parte dell’antica aristocrazia fondiaria. Questi maggiorenti rappresentarono il collante che nella società francese e poi in Europa, tenne insieme l’alto e il basso della società del tempo.
Con il Codice Civile del 1804: «Tutte le trasformazioni operate dalla Rivoluzione furono riprese e rielaborate […] depurate dalle sovrastrutture ideologiche […] e ricondotte alla grande tradizione del diritto romano» (pp. XXIII-XXIV). L’azione giuridica, in tal contesto messa in campo, è simbolo esemplare della personalità dell’imperatore. Personalità non dissimile da quella dello stesso Chateaubriand, che visse in prima persona le lacerazioni di quegli anni concitati per l’Europa. Per tale ragione, rileva il prefatore: «il suo approccio è contraddittorio – scorge nella medesima persona il tiranno spietato e il sovrano illuminato» (p. XXVI). L’eccezionalità napoleonica è pienamente rilevata da Chateaubriand quando confessa, pur essendo convintamente monarchico, che il passaggio dal bonapartismo ai Borboni fu simile al: «precipitare dalla cima di una montagna fin dentro un abisso» (p. XXVII).
Quando gli inglesi concessero alla Francia di ricondurre in patria i resti mortali di Bonaparte, l’unicità dell’uomo si manifestò ancora una volta, sia pure in modo effimero, come coglie con tono malinconico Chateubriand: «L’astro eclissato a Sant’Elena è riapparso con grande gioia dei popoli […] Bonaparte è passato dalla tomba come è passato dovunque; senza arrestarvisi […] a noi il corpo, a Sant’Elena la vita immortale» (pp. 387-398).