Autore prolifico, con all’attivo cento e più volumi oltre a migliaia di articoli, dedicati al complesso mondo della politica italiana, Giorgio Galli, recentemente scomparso all’età di 92 anni, va ricordato anche per la sua curiosità intellettuale e per la sua onestà culturale verso destra. In tempi di dure contrapposizioni fisiche e di prevaricazioni politiche, Galli ebbe – come ha scritto Luca Gallesi su “Il Giornale” – “una lunga frequentazione con quella che veniva considerata ‘la metà oscura’, frequentazione che si è mantenuta fino alla fine, creando un po’ di imbarazzo ai moralisti di sinistra”.
Nella sua prima ricerca sul tema, “La crisi italiana e la Destra internazionale” (Mondadori Editore, 1974), Galli si muove su un duplice livello interpretativo, dando una lettura simultanea delle teorie e della prassi del radicalismo di destra e collocando questi due ambiti nel contesto storico e culturale, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. La tesi di fondo è che già dagli Anni Cinquanta del ‘900 si è sviluppato a livello internazionale un nuovo radicalismo di destra, rispetto al quale le vicende italiane sono una manifestazione.
Per l’Italia – secondo Galli – è il fallimento dell’ipotesi riformista che ha aperto a destra significativi spazi politici, favorendo un collegamento tra il tradizionalismo ed eterogenei innesti populistici e ribellicistici, che richiamano i fermenti “contestativi”.
Questo è potuto accadere perché “il radicalismo di destra non ha espressioni culturali improvvisate o d’accatto, che servono semplicemente di transitoria e affrettata copertura a una rozza politica reazionaria. Questa interpretazione , generalmente propria della cultura illuminista e di quella marxista, non facilita la possibilità di comprendere attraverso quali canali, che sfruttano una accumulazione culturale, il radicalismo di destra riesce periodicamente a organizzare attorno alle sue concezioni e alle sue iniziative tanto élites intellettuali di varie dimensioni quanto masse di varia consistenza”.
Sulla base di questa visione complessa lo stesso tema del capitalismo viene risolto da Galli negando la tesi che capitalismo e fascismo siano immediatamente assimilabili e che tale identificazione sia cercata o voluta dalla destra radicale.
Di fronte al ripiegamento riformista sull’Europa gigante economico, ma nano politico – nota Galli – è proprio la destra ad acquisire maggiore credibilità. Ecco allora che anche le evocazioni di Adriano Romualdi, intellettuale di ispirazione evoliana, e il tentativo di Giorgio Almirante, segretario del Msi, di coniugare europeismo e atlantismo arrivano a fornire motivazioni culturali e sostanza politica alla nuova strategia di una destra, non più abbarbicata ad un antistorico nostalgismo, quanto piuttosto impegnata a dare una più profonda ragione d’essere alla domanda politica del Vecchio Continente.
Senza nulla concedere alle facili semplificazioni di parte, lo sforzo di Galli è quello di ricollocare organicamente la destra radicale all’interno del contesto nazionale ed internazionale degli Anni Settanta del ‘900, misurandone capacità e debolezze sia rispetto ad alcuni problemi “epocali” (l’eguaglianza e la diseguaglianza tra gli uomini, il dominio di uomini su altri uomini, il funzionamento delle democrazie rappresentative) sia in ragione di una risposta politica all’arretratezza del Mezzogiorno d’Italia, esempio di “sviluppo del sottosviluppo”, modalità critica di una crescita disorganica.
Il Mezzogiorno – nota Galli – per avere risentito dell’insuccesso del riformismo diventa perciò il luogo in cui il radicalismo di destra dà voce compiuta alla reazione e al comportamento collettivo della sua popolazione, attraverso espressioni “barricadiere” di protesta, quali Reggio Calabria (1970) ed Eboli (1974), conquistando (nel 1971-72) ampi spazi elettorali:“I fatti di Reggio – scrive in “Storia del pensiero politico occidentale” (Baldini Castoldi Dalai, 1985), sono il risvolto di un sistema in crisi, ma fu soprattutto la destra a scorgere l’ingiustizia subita, (rispetto ad un governo regionale di centro sinistra) alimentando così le file del Movimento Sociale Italiano; mentre la rivolta influenzerà il governo nazionale che non sarà più di centrosinistra, ma centrista”.
Il valore dell’impegno di Galli rispetto all’analisi della destra italiana sta anche nella sua capacità di aggiornare/rettificare le proprie ricerche alla luce di un contesto politico/culturale in aggiornamento continuo. L’Ur fascismo non appartiene al suo lessico.
“Quando scrissi “La crisi italiana e la Destra internazionale” tra il ’73 e il ’74 – puntualizza nell’introduzione de “La Destra in Italia” (Gammalibri, 1983) – il nostro clima politico-culturale era dominato dalla concezione di una Destra eversiva e fascista sfociante nel terrorismo ‘nero’, che utilizzava i successi elettorali del 1971/72 e il disorientamento suscitato dagli attentati da Piazza Fontana a Brescia e Bologna per controbattere l’ondata di sinistra. Essa si era manifestata in un primo tempo coi comportamenti collettivi studenteschi e sindacali del 1968/69, e in un secondo tempo col successo dello schieramento divorzista (12 maggio ’74)”.
Ad anni distanza – riconosce Galli – la situazione è notevolmente cambiata. Non solo perché la Sinistra è in crisi, sia sul piano politico che su quello culturale, quanto soprattutto perché è emerso un apprezzamento generale nei confronti della cultura di Destra, dei suoi autori, dei suoi valori fondanti, un apprezzamento a cui è corrisposto una interessante fase di ripensamento da parte di molti intellettuali della Destra.
A partire dagli Anni Ottanta Galli guarda con curiosità al fenomeno della Nuova Destra. Ne registra l’atteggiamento autocritico rispetto alle posizioni assunte dalla Destra conservatrice nei confronti del ribellismo sessantottesco. Sottolinea come il suo tratto distintivo sia quello della valorizzazione della libertà. Nota come essa sia orientata a ridurre il ruolo della forza, essendo orientata ad accrescere il consenso attraverso l’egemonia d’impronta gramsciana. Rileva il suo impegno a recuperare le culture minoritarie del “fantastico”, della “festa” e della comunità che l’illuminismo ha schiacciato o emarginato.
In fondo – egli nota – “le parziali novità che la cultura di destra esprime possono essere colte come uno dei pochi segni positivi dei nostri tempi recenti”. Questa considerazione diventa, per Galli, nel corso degli anni, un vero e proprio schema di lavoro, che lo porta a guardare alle esperienze culturali della Nuova Destra, ma anche di quella tradizionale, con sempre maggiore curiosità, fino a chiosare, con le sue introduzioni, opere di autori manifestatamente schierati, fino alla prefazione della nuova edizione de “L’Arco e la Clava” di Julius Evola (Edizioni Mediterranee, 1998) con un saggio su “Cultura esoterica e cultura politica in Julius Evola”.
Con Oltre l’antifascismo? (Biblion Edizioni, 2016) scritto insieme a Francesco Bochicchio, egli arriva a considerare l’ipotesi di una convergenza tra sinistra e destra per reagire efficacemente allo strapotere della finanza speculativa, rivalutando un “anticapitalismo di destra”, che annovera tra le sue fila protagonisti della cultura come Ezra Pound e Camillo Pellizzi insieme con economisti eterodossi quali A.R.Orage e C.H.Douglas. Constatata l’inefficienza della democrazia rappresentativa nel contrastare proficuamente il vero nemico dell’uomo, quell’usurocrazia denunciata da Ezra Pound, Galli ritiene auspicabile un superamento dell’inutile e strumentale categoria dell’antifascismo per valutare una possibile convergenza “tra la cultura critica del capitalismo propria della sinistra (i cui eredi politici vi hanno rinunciato) e quella propria della destra (oggi definita populismo)”.
C’è molto del pensiero di Giano Accame in questi orientamenti. Un’attenzione che Galli rimarca nella prefazione del libro postumo di Accame (“La morte dei fascisti”, Mursia, 2010), con il riconoscimento verso una destra “innovativa e sofisticata” che parla il linguaggio dell’anticapitalismo, che critica l’usurocrazia e guarda gentilianamente ai comunisti come corporativismi impazienti. Ad accomunare Accame e Galli la stessa “nostalgia”. Certamente non quella per i vecchi regimi novecenteschi, ma per le passioni politiche, viatico verso il superamento delle crisi contemporanee. Passioni politiche a cui Galli ha sempre dedicato il suo impegno intellettuale, senza schematismi, né tesi preconcette (verso destra) tanto da modificare nel corso degli anni i suoi giudizi precedenti. Un percorso “Sine ira e studio” – come si addice ad un intellettuale libero, quale fu Giorgio Galli.
Tutto vero. Ma meglio dimenticare il suo fuorviante ‘Nazismo magico’, a mio modesto avviso un papocchio. R.I.P.