L’uso strumentale della storia trova un ‘magnifico’ esempio nella vicenda dell’epurazione antifascista condotta tra il 1943 ed il 1945. La vulgata storiografica si fece letteratura del silenzio che tanta parte del Novecento ha contribuito a sviare, manipolare, occultare. Ma il senso nobile di devozione che per Clio abbiamo, impone di non tacere anche perché se «la falsificazione del passato obbedisce a triti canoni ideologici (ormai anche comici), […] la sua accettazione consapevole indica sostegno, a poco prezzo, alla corruzione intellettuale del presente» [1]: noi questo prezzo lo paghiamo volentieri tutti i giorni.
Tanto per saldare il conto di oggi, allora, giova ricordare che nelle insolite vesti di ‘liquidatori’ Benedetto Croce e altri esponenti del liberalismo e dell’azionismo italiano gestirono una vera e propria rimozione [2]. Fu quella dell’Accademia dei Lincei il cui Comitato di ricostituzione sfruttando abilmente «un vuoto o confuso quadro normativo» [3] orientò la sua azione lontano dai criteri di meritocrazia cedendo a deprecabili strumentalizzazioni ideologiche e invidie personali.
Il 16 agosto 1943 Croce sul Giornale d’Italia si era già espresso contro la rifondazione dell’Accademia d’Italia che aveva affiancato e poi sostituito quella dei Lincei [4]. Nell’estate 1944, il governatore alleato Charles Poletti dispose la soppressione della prima e la “rinascita” della seconda affidando il compito ad un commissario straordinario – il botanico aquilano Vincenzo Rivera – che prese contatti con Croce: nacque un Comitato da lui presieduto e composto da Giulio Emanuele Rizzo (vice), Vittorio Emanuele Orlando, Gaetano De Sanctis e Guido Castelnuovo ai quali si aggiunsero – trasformandolo in una Commissione – Carlo Calisse, Giuseppe Armellini e Raffaello Morghen (segretario) [5].
L’obiettivo era di «far rivivere l’Accademia dei Lincei secondo quello spirito libero e indipendente che l’aveva caratterizzata prima dell’avvento dell’Accademia d’Italia» [6] ma, fin dalle prime riunioni, si palesarono altri scopi perseguiti a colpi di provvedimenti d’urgenza [7]. La prima riunione informale si tenne il 22 settembre 1944 [8] ma, a maggio 1945, venne nominata una nuova Commissione: Carlo A. Jemolo, Giuseppe Levi, Luigi Einaudi e Quirino Maiorana subentrano a Calisse, Armellini, Morghen e De Sanctis. Lecito chiedersi dunque: quali i motivi di questo insolito turn over?
Il 4 maggio 1944 il governo Badoglio affrontò lo spinoso problema dell’«epurazione»: la punizione di un reato che il Codice non prevedeva e il cui capo d’imputazione fu formulato ad hoc per quanti avessero «sorretto il fascismo» e «reso possibile la guerra». Fu così che i gerarchi del PNF, i vertici della RSI e i senatori del Regno furono dichiarati decaduti dal rango e vennero privati dei diritti politici. Lo stesso accadde nelle pubbliche amministrazioni comprese le Università e le Accademie dove, però, «molti epuratori fecero dimenticare alla svelta i propri trascorsi, incluso il giuramento di fedeltà al regime fascista e alla RSI e fecero il bello e il cattivo tempo anche nei confronti di chi aveva rinunciato alla cattedra per non piegarsi al regime» [9].
Due visioni
É quello che accadde in seno al Comitato insediatosi ai Lincei: emersero due visioni antitetiche: quella “giustizialista” di Rizzo e quella “moderata” di De Sanctis.
Il primo era un modesto archeologo nel cui curriculum scientifico spiccava soprattutto l’abbaglio preso nel considerare risalenti al III secolo a.C. i Tondi di Centuripe, banali falsi del Novecento [10]. Non certo migliore il curriculum politico se letto alla luce della tanto paventata – anche post mortem [11] – “purezza antifascista”: Rizzo non solo si era iscritto al PNF nel 1926, ma aveva giurato fedeltà al Regime sia come docente ordinario sia come membro dei Lincei per poi, nel 1938, rimarcare enfaticamente la propria ‘arianità’. E all’ingresso degli Alleati nella Capitale, con la stessa enfasi, scrisse a Croce per rinverginarsi come suo referente per l’epurazione culturale.
Dall’altra parte De Sanctis, affermato storico dell’antichità e uomo dal passato specchiato: il solo che potesse, tra i convenuti al convivio della purezza, fregiarsi del titolo di antifascista essendo stato tra i 12 docenti universitari che nel 1931 avevano rifiutato di giurare e facendosi espellere dai Lincei tre anni dopo per lo stesso motivo, rimettendoci posto e stipendio. Torti che non avevano, però, segnato la sua convinzione di rifiutare ogni faziosità dando conto solo alla propria coscienza che gli impedì di condividere i giudizi di esclusione elaborati solo in base a interessi di circostanza.
Nel 1945 lo fece senza mezzi termini in una lettera indirizzata a Croce nella quale scrisse:
«Per il giudizio ‘insindacabile’ della Commissione epuratrice, l’Accademia dei Lincei, una delle più gloriose Accademie scientifiche del mondo civile, rimane priva di non pochi dei suoi soci migliori e più insigni […]. La commissione […] invece di aprire, in nome di quella humanitas che ogni studioso deve professare, le vie al rinnovamento della concordia e della pacificazione degli animi, ha lavorato, pur senza averne consapevolezza, a inasprire, aggravandole, le discordie di cui tutti soffriamo» [12].
Un derby insolito, dunque, al quale Croce avrebbe dovuto schierarsi dalla parte dell’anziano collega che, tra l’altro, aveva condiviso le sue teorie storiografiche [13]. Tutt’altro! Rizzo trovò proprio in don Benedetto una spalla convinta a trasformare la ricostituzione dei Lincei in un’epurazione severissima e De Sanctis fu costretto a dimettersi per non «essere connivente con un giudizio che non corrisponde a giustizia» [14].
Invece di colpire chi fosse entrato nei Lincei per motivi politici e non per meriti scientifici, i commissari preferirono scontrarsi in nome di una paventata purezza frutto di un autoreferenziale rinverginamento che «si incattivisce senza rimedio, lascia emergere antipatie, rancori, desideri di vendetta che ben poco c’entrano con la ricostruzione dello stato democratico» [15].
Non solo i criteri, ma anche i modi furono tutt’altro che onorevoli: nessuna facoltà di appello o diritto di replica furono previsti per i proscritti. Una modalità criticata anche da Orlando che aveva protestato contro «le radiazioni che abbiamo proposto di un certo numero di soci politicamente compromessi e screditati, senza aver contestato ad essi le accuse e senza un procedimento correttamente legale» [16].
Durante la presidenza di un Croce «assai intollerante» e negatore di «quella stessa libertà di pensiero per cui aveva combattuto» [17] si registrarono episodi deprecabili come quando Rizzo dileggiò con Sofocle – «Sei cieco di mente, di orecchi, di occhi» – l’anziano De Sanctis.
Tra incongruenze, contraddizioni e ipocrisie il metro di giudizio assunto – solo ufficialmente – fu politico; non contò aver offerto alla comunità internazionale indiscussi contributi scientifici, ma come ci si fosse comportati durante il Ventennio. Oscurato il merito, l’operato degli epuratori era già criticabile nella forma. Ma nella sostanza, sotto sotto, fu anche peggio. Prevalsa la “linea-Rizzo” vennero radiati esponenti di prim’ordine della cultura italiana: il giurista Santi Romano, lo storico Gioacchino Volpe, il filologo classico Giorgio Pasquali, lo scienziato Giancarlo Vallauri, il chimico – all’epoca già gravemente malato – Giuseppe Bruni.
L’epurazione di Tulio Terni
Le decisioni, in taluni casi, furono paradossali. Si pensi a Tullio Terni: eroe della Grande Guerra, apprezzato docente di Anatomia, Terni era ebreo e, al contempo, amico fraterno di Giuseppe Bottai. Un’amicizia che bastò per muovere la scure della purezza dei cerberi guardiani di un’ortodossia antifascista mossa, però, da rancori personali e vendette accademiche [18]: le sue simpatie fasciste pesarono per Rizzo e soci più delle persecuzioni subite e lo scienziato – che Rita Levi di Montalcini ricordò «non aver mai ricoperto cariche politiche» [19] – fu radiato «senza motivazione ufficiale scritta» [20]. Non gli rimase che aspettare il primo anniversario della Liberazione e suicidarsi il 25 aprile 1946.
Come rivelano i documenti della Commissione, tra ritardi burocratici, memorie accusatorie, raccomandazioni, maneggi vari sono davvero troppi i casi di persecuzione personale imputabili a vecchi rancori tra epuratori e puri epurandi. Ma se l’acredine di accademici “alla Rizzo” fu mossa dall’invidia, perché la maggiore autorità morale dell’Italia di allora, Croce, si prestò a sopportare e supportare tali nefandezze realizzate in nome della purezza? Uno come lui poco incline alla politica militante e si era sempre vantato di snobbare cattedre universitarie e orticelli accademici?
É certo che Gentile e Volpe «per circa vent’anni avevano assunto la guida culturale d’Italia, anzitutto quella delle nuove generazioni, emarginando Croce dagli studi filosofici e storici, da lui pressoché egemonizzati fin lì» [21]. Fu dunque l’acredine verso Gentile e Volpe che mosse il filosofo ad accettare un incarico quanto mai strano se rapportato ai problemi politici del Paese che gli erano piovuti addosso? Lecito pensarlo: di Gentile don Benedetto avvertì sempre la superiorità filosofica, di Volpe il piglio letterario.
Altro che ‘ricostruzioni culturali’: era irripetibile l’occasione di distruggere l’odiata Accademia d’Italia piena sì di uomini di genio, ma seguaci dell’odiato Gentile. E al contempo, inaugurare la damnatio memoriae di Volpe reo di aver riscosso con l’Italia in cammino – non da intellettuali in “camicia nera”, ma da giovani fuoriusciti come Giorgio Amendola – più stimati apprezzamenti della crociana Storia d’Italia dal 1871 al 1915 [22].
Antifascisti non democratici
Una vicenda, insomma, che dimostra quanto non basti dirsi antifascisti per essere democratici, né apparire uomini di scienza per perseguire la giustizia. “Giustizia”, appunto, non giustizialismo: italica tendenza al fare ‘di tutta l’erba un fascio’ imbellettando i propri rancori personali con gli abiti dell’ortodossia di partito o di palazzo. Lo scriveva, nei giorni in cui Croce accettava l’incarico ai Lincei, Igino Giordani [23] uno che la Giustizia la scriveva non a caso con la maiuscola.
Note:
[1] P. Simoncelli, Cagli, De Libero, “La Cometa”. Censure e manomissioni dagli anni ’30, Roma, Nuova Cultura, 2020, p. 7.
[2] Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 138, Norme relative alla composizione e al funzionamento dell’Alta Corte di Giustizia istituita dall’art. 2 del decreto legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, N. 159, ed altre disposizioni procedurali, del 13 settembre 1944, in «Gazzetta Ufficiale», n. 55, del 14 settembre 1944.
[3] A. Zumbo, Concetto Marchesi e l’Accademia Nazionale dei Lincei, in «Classica Vox. Rivista di Studi Umanistici», n. 1, del 2019, p. 51.
[4] Accademia Nazionale dei Lincei (ANL), Archivio, Statuto 1944-1973, Ricostituzione dell’Accademia nazionale dei Lincei, “Soppressione Accademia d’Italia e ricostituzione dei Lincei, Decreti e Gazzette”, b. 1, f. 1.
[5] Soprintendenza Archivistica per il Lazio, Reale Accademia d’Italia. Inventario dell’Archivio, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 2005, pp. XXIII- XXIV.
[6] Comitato Nazionale per le Celebrazioni del IV Centenario della Fondazione dell’Accademia dei Lincei, Cronologia dell’Accademia dei Lincei, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2003, p. 27.
[7] ANL, Archivio, Personale di Ruolo 1944-1976, b. 1 e 2.
[8] Soprintendenza Archivistica per il Lazio, Accademia nazionale dei Lincei. Inventario dell’Archivio, Roma, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, 2013, p. VII.
[9] A.A. Mola, La nuova epurazione è forse il ritorno alla «Via plebea»?, in «Il Giornale», del 29 novembre 2009.
[10] P. Simoncelli, Clamorose cantonate storico-archeologiche (e vantaggi politici dell’antirevisionismo), in Revisionismo. Breve seminario per discuterne, Bari, Cacucci, 2015, pp. 61-70.
[11] P. Simoncelli, L’epurazione antifascista all’Accademia dei Lincei. Cronache di una controversa «ricostituzione», Firenze, Le Lettere, 2009, p. 273.
[12] Lettera di Gaetano De Sanctis a Benedetto Croce, del 31 dicembre 1945.
[13] P. Treves, Gaetano De Sanctis voce del Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXXIX, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1991, pp. 297-309.
[14] G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, Firenze, Le Monnier, 1970.
[15] C. De Michelis, Epuratori ed epurati in nome della purezza, in «Il Sole24Ore», del 18 aprile 2010.
[16] E. Di Rienzo, Quando la giustizia si fa politica. Ieri come oggi, in «Il Giornale», del 3 aprile 2006.
[17] G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, Firenze, Le Monnier, 1970.
[18] Archivio Adnkronos, AdnAgenzia, del 25 febbraio 2003. In tal senso cfr., anche P. Simoncelli, Il dramma di uno scienziato ebreo. Il suicidio di Tullio Terni e l’epurazione ai Lincei, in «Nuova Storia contemporanea», gennaio-febbraio 2003, pp. 101-118.
[19] R. Levi Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Milano, Garzanti, 1987, p. 63.
[20] S. Nirenstein, L’ebreo umiliato due volte, in «La Repubblica», del 9 febbraio 2003.
[21] G. Aliberti, Il riposo di Clio, Roma, E-Doxa, 2005, pp. 310 e ss.
[22] R. Bonuglia, Storie d’Italia a confronto: Salvemini, Croce e Volpe tra marketing e storiografia, in «Barbadillo. Laboratorio di idee nel mare del web», del 12 Novembre 2019.
[23] I. Giordani, Epurazione, in «Il quotidiano», del 4 luglio 1944.
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Grazie Bonuglia per la documentata ricerca;sono queste nefandezze che ci convincono a non scendere a compromessi con il “canagliume” antifascista e ci rafforzano a non rinnegare i nostri Ideali.