Jean-Louis Trintignant ha appena compiuto 90 anni. E, come in questi casi, al grande attore francese, al “mostro sacro”- protagonista di oltre 120 film nel corso di una eccezionale carriera settantennale, con vari dei registi più importanti della storia del cinema – sono stati dedicati, dai media del mondo, non solo dal circolo dei critici cinematografici, omaggi ed auguri di rigore che si frammischiano, forse inevitabilmente, con i ‘coccodrilli’ anticipati…
Premetto che da giovane, specialmente, non ho amato molto l’attore, trovandolo, come dire, certamente bravo, ma un po’ ‘fighetto’, molle (persino quando sculaccia una splendida Catherine Spaak ne La Matriarca, 1968, di Pasquale Festa Campanile, regista di commedie sexy!), troppo educativo, compito, elegante, a volte zuccheroso, eccessivamente poli, come dicono i suoi connazionali. Non casualmente nel Teatro Liberté di Tolone, egli, fiaccato gravemente nel corpo, ha voluto, l’11 ottobre scorso, in una breccia Covid, celebrare i suoi 90 anni, invitando i presenti ad unirsi a lui nella recita dei versi di Prévert: Soyez Polis. Trintignant, in fondo, è sempre rimasto quello studente timido e dolce che accompagna lo smargiasso Bruno Cortona (Vittorio Gassman) sulla Lancia Aurelia B24 convertibile de ‘Il sorpasso’ di Risi, presentendo ad ogni manovra il peggio; quando, semmai, al volante…ci sarebbe dovuto stare lui, Roberto Mariani, lo studentino…
Jean-Louis Trintignant nasce a Piolenc, piccolo comune del Dipartimento di Vaucluse, in Provenza, l’ 11 dicembre 1930. Figlio di Raoul Trintignant (1898-1983), un facoltoso industriale di maioliche che sarà sindaco socialista di Pont-Saint-Esprit dal 1944 al 1947. Tre suoi zii erano amanti dei motori: Louis (1903-1933) che morirà durante le prove del Premio di Piccardia; Henri che partecipa al Gran Prix de France nel 1936: Maurice Trintignant (1917-2005), il più noto, che avrà nel II dopoguerra una brillante carriera, guidando Maserati, Bugatti, Gordini, BRM, Cooper e Ferrari. Vincendo, tra l’altro, due Gran Premi di Montecarlo di F1, sulla Ferrari 625 nel 1955 e, nel 1958, su di una Cooper-Climax (la prima vettura di F1 con motore centrale). Del ’54 è la sua vittoria nella 24 Ore di Le Mans sulla Ferrari 375 Plus, in coppia con Pepe Froilán González. Jean-Louis erediterà tale passione ed anni più tardi si lancerà anch’egli, come Steeve McQueen e Paul Newman, nelle competizioni automobilistiche.
Raoul Trintignant a été l’un des responsables de la Résistance à Pont-Saint-Esprit avant de rejoindre un maquis de l’Ardèche. Il est arrêté par des légionnaires incorporés dans l’armée allemande en mai 1944 et emprisonné aux Baumettes jusqu’à la Libération. Claire Tourtin, sa mère, issue d’une riche famille de Bollène, est tondue après la guerre pour avoir eu une liaison avec un soldat allemand.
(https://fr.wikipedia.org/wiki/Jean-Louis_Trintignant; https://maitron.fr/spip.php?article200509).
La madre, Claire Tourtin (1902-1969), proveniva da una famiglia originaria di Bollène e durante la guerra ebbe una relazione con un militare occupante, cosa che causò poi tra marito e moglie rapporti tesissimi che sul piccolo Jean-Louis si ripercossero durante tutta l’infanzia. Al ritorno a casa Raul trovò, infatti, la moglie rapata per collaborazionismo…Qualcosa più di una disavventura coniugale, anche per i francesi, notoriamente di manica larga in queste faccende, soprattutto a livello sociale elevato, da circa tre secoli… Jean-Louis assiste ai litigi dei genitori e viene pure costretto a vestirsi da bambina per accondiscendere al desiderio della madre che voleva una femmina dopo il fratello Fernand, nato nel 1928. Cresce comunque bello, gentile, seduttore, un po’ gigione, confesserà. Un ‘leone timido’, con classe innata, con aplomb.
La signora Trintignant – così la racconterà Jean-Louis – è passionale e romantica, ama la tragedia, adora Racine e lo incoraggia a recitare nell’allestimento locale de «L’Arlesienne». Dal 1944 l’adolescente si appassiona alla poesia di Jacques Prévert, di Guillaume Apollinaire, di Louis Aragon. Nel 1949 soffre una sorta di rivelazione assistendo a L’Avaro di Molière, messo in scena da Charles Dullin. Jean-Louis abbandona gli studi di giurisprudenza a Aix-en-Provence per seguire i corsi di Charles Dullin e, dopo la sua morte, di Tania Balachova, a Parigi. Egli inizia la sua carriera a teatro con “A chacun selon sa faim” di Jean Mogin, nel 1951, poi nel “Macbeth” di Shakespeare con Jean Dasté. Il teatro l’aiuta a vincere la sua profonda timidezza. Trintignant aspira a diventare commediante a teatro e regista nel cinéma. Parallelamente ai corsi d’arte drammatica entra, infatti, all’ Institut des Hautes Études Cinématographiques.
Il 18 novembre 1954, a Vincennes, egli sposa l’affascinante e brava attrice Stéphane Audran. La coppia divorzierà già nel 1956, dopo che Jean-Louis ha iniziato una liaison amoureuse con Brigitte Bardot, conosciuta sul set di “Dieu créa la femme”. Stéphane sposerà più tardi Claude Chabrol regista, sceneggiatore, attore e critico, considerato, insieme a Truffaut, Godard, Rivette, Rohmer, uno dei padri fondatori della Nouvelle Vague. Stéphane reciterà con Trintignant ne Les Biches di Chabrol (l’ultima interpretazione di Jacqueline Sassard, tra l’altro, del 1968).
Trintignant debutta nel cinema con “Si tous les gars du monde” di Christian-Jaque, uscito nel 1956, dopo quello di Vadim, ma la sua fama decolla con il film “Et Dieu créa la femme” del 1955, di Roger Vadim, al fianco di Brigitte Bardot, Curd Jurgens, Christian Marquand (ne sposerà successivamente la sorella Nadine, alla quale Jean-Louis sarà spesso infedele). Con la sceneggiatura di Vadim e di Raoul Levy, la pellicola rivela al mondo una splendida, impudica Bardot, simbolo di emancipazione della donna e di libertà sessuale, che scandalizza moralisti e benpesanti, tra i quali gli occhiuti censori democristiani italiani, che lavorano di forbici ed impongono il cambio del titolo nel banale ‘Piace a troppi’; è naturalmente un grande successo, convertendosi subito in un cult movie. La relazione tra Trintignant e la sposa del suo regista, Vadim, farà scorrere fiumi d’inchiostro, ma risulterà effimera. BB lascia Vadim e inizierà presto una nuova relazione, con il cantante Gilbert Bécaud. Jean-Louis va a fare il servizio militare obbligatorio, in Algeria, in piena guerra.
Trintignant sposerà nel 1960 Nadine Marquand, attrice, scenografa e regista (da cui divorzierà nel 1976). Dall’unione nacquero tre bambini, Marie, Pauline e Vincent. Pauline morì nel 1969, con pochi mesi, a Roma, durante le riprese de “Il conformista”, per la sindrome della morte bianca o “morte in culla”, mentre l’amatissima Marie, che ha recitato al fianco del padre in decine di produzioni teatrali, cinematografiche, televisive, decederà tragicamente nel 2003 – a 41 anni, madre di quattro figli – per le lesioni inflittele dall’ultimo compagno, Bertrand Cantat, voce del gruppo rock Noir Désir, che la ferì una notte con 19 colpi di pugno (dirà l’autopsia), a Vilna (Lituania), in un furioso attacco di gelosia. Da tale tragedia il padre Jean-Louis, devastato, non si risolleverà più. Nel 2018, nel programma televisivo Entrée libre, dirà a Claire Chazal: “Ça ne guérit pas. Depuis quinze ans, ça m’a complètement abattu. Je suis mort il y a quinze ans, avec elle”. Nel 2000 egli si era sposato, per la terza volta, con la pilota di Rallies ed Endurance Marianne Hoepfner, tuttora sua moglie. Il figlio Vincent lavora anch’egli nel mondo del cinema.
La sua affermazione, soprattutto in Italia, si deve a Valerio Zurlini in “Estate violenta” (1959) ed a Dino Risi ne “Il sorpasso”(1961), a fianco di Gassman. È un’epoca d’intense collaborazioni, ad ogni livello, tra il cinema italiano ed il cinema transalpino. Trintignant è un interprete duttile, recita in ruoli diversi con registi molto diversi, cesellando un talento naturale che cresce nel tempo. Non disdegna neppure il ‘cinema politicamente impegnato’ con “Le Combat dans l’île” di Alain Cavalier, nel 1962, con Romy Schneider, e “Z – L’orgia del potere” di Costas-Gavras, con Yves Montand, thriller politico del 1969, che gli vale il premio come Miglior Attore al Festival di Cannes”. Riceve altresì l’Orso d’Argento al Festival di Berlino, nel 1968, per “L’Homme qui ment” di Alain Robbe-Grillet. Nel 1970 interpreta il ruolo di Marcello Clerici ne “Il Conformista” di Bernardo Bertolucci, tratto dall’omonimo romanzo di Moravia, con Stefania Sandrelli. All’epoca ha una discreta love story con Romy Schneider, compagna sulle scene di “Le Train” (1973), diretto da Pierre Granier-Deferre. Politicamente ha talora dichiarato di sentirsi fondamentalmente anarchico, come Prévert e tanti altri. Come accennato, per eredità familiare e vocazione, Jean-Louis è stato, inoltre, un appassionato di corse automobilistiche. Ingaggiato dalla British Leyland, egli partecipò a numerose gare, di categorie diverse, ed a vari rallies. Tra l’altro, nel 1980 Trintignant corse la 24 heures du Mans, e nel 1982 la 24 heures de Spa, finendo decimo. Fece altresì la conoscenza di Marianne Hoepfner, celebre pilota di rallye, che poi sposerà nel 2000. Un elemento esistenziale da alcuni… ritenuto distonico!
Il grande successo internazionale era frattanto arrivato, per Trintignant, con “Un uomo una donna”, del 1966, film di Claude Lelouch, di appena 29 anni, con una storia che vede al centro proprio il mondo delle corse e dei piloti. Un film che collezionò quarantadue premi internazionali, tra i quali la Palma d’oro a Cannes, gli Oscar come miglior film straniero e miglior sceneggiatura originale ed il Golden Globe ad Anouk Aimée.
La pellicola fu scritta da Claude Lelouch e da Pierre Uytterhoeven, e diretta da Lelouch. La fotografia, qualificata da alcuni come ‘esuberante’, alterna sequenze a colori con altre in B/N, con altre seppia, a seconda del tema di ogni scena. Grande successo ebbe pure la colonna sonora, creata da Francis Lai. Il film, realizzato con un budget ridottissimo in sole tre settimane di lavorazione, fu presentato in concorso al Festival di Cannes del 1966, dove ottenne il Grand Prix come miglior film. Come accennato si aggiudicò vari premi e riconoscimenti. Anche se stroncato dai “Cahiers du cinéma”, bibbia del cinema francese, infeudata ai sacerdoti e discepoli della Nouvelle Vague. I film di quel filone, nato alla fine degli anni ’50, erano caratterizzati da un innovativo uso delle tecniche di ripresa (piano dettaglio; chopped flat o ripresa dall’alto; low angle shot o ripresa dal basso; sequence shot o piano sequenza ecc.) e montaggio; e per trattare argomenti che fino a quel momento erano stati per lo più sottovalutati dal cinema, come il disagio giovanile e la nuova tendenza contraria a diffuse convenzioni sociali. Tuttavia, spesso soporiferi, intellettualoidi, filomaoisti e pseudo-rivoluzionari, pretenziosi, sciatti o minimalisti fuori luogo…
Lelouch era un suo nemico dal ’60, quando lanciò la sua opera prima (finanziata dal padre) “Le propre de l’homme”. Che pure conteneva vari errori di gioventù… secondo lo stesso autore!
‘Anne, giovane segretaria di edizione, ha di recente perso in un incidente su un set cinematografico suo marito, che lavorava come stuntman. Nell’accompagnare sua figlia al collegio da lei frequentato a Deauville incontra Jean-Louis, pilota automobilistico, anch’egli rimasto vedovo a seguito del suicidio di sua moglie e anch’egli con un bambino al collegio. Quando Anne perde l’ultimo treno per tornare a casa, Jean-Louis si offre di accompagnarla e l’attrazione scatta immediatamente. La relazione matura nel corso dei successivi incontri a Deauville, malgrado i sensi di colpa di Anne, che rimpiange ancora il compagno scomparso. In uno dei suoi viaggi in treno verso casa, Anne viene raggiunta in stazione da Jean-Louis che compie lo stesso percorso in auto, sfidando il treno in velocità. Nell’arrivare in stazione, Anne si stupisce nel vederlo e, sul loro abbraccio, il film si chiude, lasciando lo spettatore ad interrogarsi se la storia d’amore avrà un seguito’.
La cinematografia di Lelouch, per quei tempi risultò fortemente innovativa, anche se a me, adolescente, la storia, intrisa di romanticismo doloroso, parve abbastanza melensa e noiosa, lo confesso, 54 anni dopo; per non parlare della colonna sonora, alla lunga sdolcinata ed insopportabile, dabadabada…
‘Per l’utilizzo della presa diretta e della camera a mano, per il calibratissimo e coinvolgente utilizzo dei flashback, o anche per la particolare attenzione ad una fotografia di grande effetto, risultò in seguito molto funzionale al linguaggio degli spot pubblicitari, che attinsero a piene mani da questo film. Pertanto le sequenze di Un uomo, una donna, viste con gli occhi di uno spettatore di oggi, non possono non destare una inevitabile sensazione di déjà vu. Il Dizionario Mereghetti, pur riconoscendo che il film sia «diretto con grande abilità», lo definisce «una versione televisiva e pubblicitaria del melodramma classico», la cui storia «zuccherosa e finta» è un «concentrato di tutti i luoghi comuni possibili sull’amore e la solitudine». Il Dizionario Morandini lo definisce esplicitamente un fotoromanzo (il più bel fotoromanzo della storia del cinema?), dalla poetica di carosello pubblicitario», e cita la definizione del film di un critico: «un’autentica impresa di seduzione, un tranquillante su pellicola»’.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Un_uomo,_una_donna).
Vent’anni dopo, nel 1986, Lelouch girò il seguito di “Un uomo una donna”, Vingt ans déjà, sempre con Trintignant ed Anouk Aimée. In Italia: “Un uomo, una donna oggi”:
Dopo il loro breve incontro del 1966 Anne Gauthier e Jean-Louis Duroc hanno seguito destini differenti, senza incontrarsi più. Anne è ancora vedova e si è convertita in regista cinematografica. Jean-Louis, anch’egli rimasto vedovo, ma con un legame sentimentale, è il direttore della squadra corse della Lancia e sta curando l’organizzazione del rally París-Dakar. Anne sta vivendo un momento difficile della propria vita e decide di girare un film sul suo breve idillio con Jean-Louis. La donna lo rintraccia e gli dà appuntamento allo stesso ristorante ove cominciò la loro storia, vent’anni prima…
Un’operazione commercialmente valida, artisticamente forse meno. Ma un legame profondo unisce il regista a Trintignant. L’amore per le auto veloci e le belle donne. “La vitesse est le symbol de ma vie” ripeterà spesso l’ottuagenario Claude Lelouch, nato a Parigi il 30 ottobre 1937, figlio di Simon Lelouch, nato da una famiglia ebraica algerina, e di Charlotte Abeilard. Avversario della “Nouvelle Vague”, marito, tra l’altro, dal 1995 al 2009 dell’attrice e ballerina italiana Alessandra Martines, 26 anni minore di lui, con la quale ha una figlia (in totale il regista ha avuto sette figli da donne diverse, mogli e non). Dal 2006 vive con la scrittrice Valérie Perrin.
Famoso Lelouch – soprattutto per gli amanti di Parigi e delle auto, come il sottoscritto – anche per aver filmato personalmente il cortometraggio C’était un rendez-vous, folle e magnifico, una scarica di adrenalina, nel quale mostra dalla prospettiva del pilota otto minuti di guida spericolata per il centro di Parigi. Il filmato sparì dalla distribuzione per numerosi anni. Solo nel 2006 lo stesso Lelouch spiegò il making of di tale “cortometraggio-verità”, smentendo alcune leggende ed affermando di aver guidato egli stesso la sua Mercedes Benz 450 SEL 6.9 (con il più grande motore V8 mai prodotto in Europa, da 286 CV), doppiata nel film dal motore della sua Ferrari 275 GTB. La poderosa berlina Mercedes aveva al retrotreno sospensioni idropneumatiche autolivellanti e fu scelta per mantenere sempre costante l’altezza dell’inquadratura e la visione della camera Eclair (priva dei moderni sistemi di stabilizzazione dell’immagine), montata sul paraurti anteriore. Girato dal regista al volante, senza blocchi del traffico, contando sull’orario e calendario (le 5:30 del mattino d’un giorno d’agosto) e sulla presenza di pochi veicoli nelle vie:
Una lunga sequenza attraverso Parigi, sempre sul filo dei 120-140 km. Nel corto di Lelouch non si contano i semafori rossi bruciati e le manovre da ritiro della patente: Boulevard Périphérique (uscita Porte Dauphine), Avenue Foch, Place Charles-de-Gaulle (l’Arco di Trionfo), Avenue des Champs-Elysées, Place de la Concorde, Quai des Tuileries, Place du Carrousel (Louvre), Rue de Rohan, Avenue de l’Opera, Place de l’Opéra, Fromental Halévy, Rue de la Chausée d’Antin, Place d’Estienne d’Orves, Rue Blanche, Rue Pigalle, Place Pigalle, Boulevard de Clichy, Rue Caulaincourt, Avenue Junot, Place Marcel Aymé, Rue Norvins (costeggiando la celebre zona degli artisti in Place du Tertre), Rue Ste-Eleuthère, Rue Azais e finalmente in Place du Parvis, ai piedi della basilica del Sacré Coeur – per un totale di 10.597 km percorsi in 8,28 minuti – dove la splendida Gunilla Friden, ex miss Svezia 1967, incontra il misterioso pilota (n.d.r. e fidanzato nella realtà) con cui aveva l’appuntamento. Negli anni a seguire molti hanno tentato di replicare questa folle corsa e soprattutto questa emozionante sequenza unica, senza tagli nel montaggio. (https://www.ansa.it/canale_motori/notizie/attualita/2020/05/05/una-ferrari-275-gtb-nel-1976-attraversa-parigi-a-200-allora_f03f1b10-095a-47d1-89a9-725b8ec99b6c.html).
Nel 2014 Claude Lelouch dà la stura, senza complessi, al narcisistico piacere di raccontarsi in storie romantiche – ed un po’ scontate, pur quando, si suppone, non vorrebbero esserlo – in “Parliamo delle mie donne” (Salaud, on t’aime), con il regista che ne firma anche la fotografia e, insieme a Valérie Perrin, la sceneggiatura. Girato in Alta Savoia, a Praz-sur-Arly, anche nella sua propria casa, ha come interpreti principali Johnny Hallyday, Eddy Mitchell e Sandrine Bonnaire.
La critica sarà, un’altra volta, spietata. Scrisse, ad esempio, Giancarlo Usai:
‘Lelouch, come alcuni grandi vecchi un po’ decaduti, ha un grosso problema: il suo sguardo si è inaridito, la sua penna si è impigrita. E così, l’opera di cui stiamo parlando rivela, con il passare dei minuti, tutta la sua vacuità: gli scambi dialettici sono pensierini superficiali, la messa in scena rasenta i cliché degli spot televisivi su certe località turistiche, gli snodi narrativi sono forzati, farraginosi, a tratti persino irragionevoli. Siamo obbligati però a sottolineare come la trasformazione da dramedy familiare a dramma tout court sia una decisione di scrittura che grida vendetta. A un autore riconosciamo sempre il diritto di fare ciò che vuole della materia che sta plasmando. Ma il rispetto per la coerenza narrativa non può mai venire meno: invece Lelouch, da sempre attratto dal kitsch e dalle sottolineature dell’ovvio, qui forza troppo la mano e crea, soprattutto nella seconda parte del lungometraggio, un effetto straniante che impedisce allo spettatore qualsiasi tipo di legame affettivo con i personaggi’.
(http://www.ondacinema.it/film/recensione/parliamo-delle-mie-donne.html).
Sono molti i film di Trintignant durante gli anni ’70. I grandi registi italiani se lo contendono. È uno scrittore per Giuseppe Patroni Griffi in “Metti una sera a cena” (1969); un tormentato piccolo borghese nel ricordato “Il conformista” (1970) di Bernardo Bertolucci; un omosessuale raffinato ne “La donna della domenica” (1975) di Luigi Comencini, al fianco di Marcello Mastroianni ed il medico disilluso de “Il deserto dei tartari” (1976) di Valerio Zurlini, al fianco di Gassman. La collaborazione italo-francese prosegue fino agli anni Ottanta, quando è protagonista per Ettore Scola in “La terrazza” (1980). L’attore scrive e dirige anche due opere singolari: “Una giornata spesa bene” (1972) e “Le maître-nageur” (1978). Nel 1983 partecipa all’ultimo lavoro di François Truffaut “Finalmente domenica!”
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 Jean-Louis lavora meno a causa dei postumi di un incidente stradale. Una sua apparizione è del 1994, nell’ultima pellicola del polacco Krzysztof Kieslowski, “Tre colori: film Rosso”. Con essa arriva la nomination come Miglior Attore ai Premi César. Nel 2004, segnato profondamente dalla perdita della figlia, si dedica al teatro, alla poesia di Apollinaire. Negli ultimi anni ha però recitato in due film di Michael Haneke: ‘Amour’ del 2012 e ‘Happy End’ del 2017. Presentando quest’ultimo, dove interpretava un vecchio industriale dell’alta borghesia alle prese con la perdita di valori delle generazioni successive, disse: “Questo personaggio mi ha toccato enormemente. Sono alla fine della mia vita, come lui. Penso molto al suicidio, come lui”. (https://biografieonline.it/biografia-jean-louis-trintignant).
Il 18 maggio 2018 l’attore annunciò a Nice-Matin di soffrire di un carcinoma alla prostata, accompagnadolo con fatalistica e stoica nonchalance: “Je ne me bats pas, je laisse faire”, senza trattamenti medici: ‘Nei primi giorni ho deciso di combattere, ma poi sono diventato un po’ pigro, mi faccio accudire e aspetto. Non mi sento più sicuro, ho sempre bisogno di qualcuno che mi sorregga e soprattutto mi sento vecchio e inutile’, confessava (1). Invece l’acciaccato leone gentile cederà, forse per un’ultima volta, al richiamo del set ed alle insistenze dell’amico. Non poteva che essere Lelouch a filmare l’addio di Jean-Louis al mondo della celluloide. Completando la trilogia iniziata nel 1966, 53 anni prima, con gli stessi attori principali di “Un uomo, una donna”, appunto lui, Jean-Louis Trintignant, ed Anouk Aimée (nata nel 1932, due anni dopo).
“Les plus belles années d’une vie” (in italiano ‘I migliori anni della nostra vita’), è stato girato in soli 10 giorni nella località balneare di Deauville e presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 2019; 49mo film di Lelouch, a metà fra finzione e confessione pubblica, con ampi ricorsi al flashback, con diffusa tristezza appena celata dal luccichio dei flash sul famoso red carpet. Contrariamente all’illustre film progenitore… ricevendo sostanzialmente buone critiche!
L’anziano seduttore, pilota di auto da corsa, Jean-Louis Duroc trascorre la vecchiaia in una casa di riposo di Varengeville-sur-Mer in Normandia. Ottuagenario al crepuscolo della vita, egli coltiva i ricordi nostalgici ed i sogni della sua più bella storia d’amore, con Anne Gauthier, perdendosi un po’ lungo i sentieri della memoria. Per aiutarlo, il figlio Antoine ricerca la donna che il padre ricorda incessantemente. Così Anne, 53 anni dopo, ancora in buona salute, ritrova Jean-Louis e, in qualche modo, ricomincia la loro storia d’amore. Antoine organizza loro degli incontri nostalgici ed emotivi, sullo sfondo della Normandia e di Deauville, intessuti di telegrammi sentimentali, numeri di telefono che evocano la vecchia Ford Mustang 184 del Rallye di Monte Carlo, l’ Hotel Normandy Barrière e la spiaggia des Planches….
Lelouch sempre è stato diffidente con la critica, che spesso lo ha osteggiato. Il suo dente avvelenato con gli epigoni della Nouvelle Vague non pare essersi addolcito neppure 60 anni dopo la prima scomunica di “Cahiers du cinéma”. La Nouvelle Vague la inventarono gli italiani, ha ricordato il regista, “noi la adottammo; in Francia, solo Jean-Luc Godard fu Nouvelle Vague. Il resto continuò a fare cinema tradizionale. Io non volli essere assimilato e per questo si unirono contro di me. Essere romantico non è un difetto, la cosa più meravigliosa del mondo è quando sei capace di amare qualcuno più di te stesso. In quel momento la vita comincia ad essere interessante. Sempre ho creduto nell’amore, la principale risorsa dell’umanità”, aggiungerà l’ancora vispo ed instancabile Claude, alla ricerca di nuove storie da portare sugli schermi.
(Cfr. Marta Garde, Claude Lelouch cierra un ciclo con la secuela de “Un hombre y una mujer”, in https://www.eldiario.es/cultura/claude-lelouch-cierra-secuela-hombre_1_1539883.html).
Poi, quasi un anno di silenzio ed ecco, l’ottobre scorso, improvvisa, la chiamata di Trintignant al vecchio amico Charles Berling, direttore del Teatro Liberté di Tolone: «Sono pronto» dice l’ attore. E pochi giorni dopo di nuovo sotto le luci della scena, quasi cieco, su di una sedia a rotelle, a recitare Prèvert, a dialogare sui versi del Bateau Ivre di Arthur Rimbaud.
In carriera, Trintignant ha interpretato oltre 120 ruoli, ha collaborato con i più grandi registi. In teatro ha recitato tragedia e commedia, declamato Prèvert almeno due mila volte, superato tutti gli interpreti della sua generazione ed è certamente rimasto nel cuore degli spettatori per film memorabili. Il suo commiato, quello d’un attore celebre e di un uomo sommesso, malinconico, intimidito tra la folla, che non ama il glamour, le esibizioni rituali, le cerimonie di premiazione, il gossip – e per questo ama il teatro, perché di fronte ad una platea può dare tutto sé stesso e ringraziare il pubblico per condividere con lui l’emozione – sarà in fondo quello dei versi Soyez polis di Prévert, poeta che anche la mia generazione, da giovane, ha amato, nella sua semplicità anti-intellettualistica. Quelli recitati da Jean-Louis Trintignant l’11 ottobre scorso, come detto.
Commiato di un sobrio, vecchissimo signore perbene, d’altri tempi, amante di sottane, ma senza ipocrisie, con il quale da parecchio tempo io ho sistemato antiche antipatie:
‘Soyez polis avec les femmes
Et avec les enfants
Soyez polis
Avec les gars du bâtiment
Soyez polis
Avec le monde vivant.
Il faut aussi être très poli avec la terre
Et avec le soleil
Il faut les remercier le matin en se réveillant
Il faut les remercier
Pour la chaleur
Pour les arbres
Pour les fruits
Pour tout ce qui est bon à manger
Pour tout ce qui est beau à regarder
À toucher’.