‘The Humboldt Forum will open on 17th December 2020’ annunciava, in inglese ed in altre lingue, oltre il tedesco, il sito web del Foro Humboldt nel ricostruito, antico Berliner Stadtschloss della capitale tedesca. Un’apertura ad oltre un anno dal previsto, in coincidenza con il trentennale della Caduta del Muro, il 9 novembre 1989, per ragioni burocratiche, tecniche (compreso un incendio nel cantiere, presto controllato) e poi per la pandemia del Covid. La stessa che converte l’annunciata apertura al pubblico in una una “apertura digitale”. Per ora.
Un grande progetto culturale, su di una superficie di 42 mila metri quadrati. Sviluppato nell’ultimo decennio su un sito storico chiave nel cuore della città, l’Isola dei Musei, è concepito come uno spazio che riunisce le arti e le scienze in un dialogo contemporaneo, unico in Europa. Ispirato ed informato dallo spirito di Alexander von Humboldt (1769-1859) e di suo fratello, Wilhelm von Humboldt (1767-1835), grandi pensatori liberali tedeschi che si occuparono di educazione, diffusione della cultura, scienze naturali, il Forum conterà su quattro partner che collaboreranno con la Fondazione dello stesso al fine di offrire al visitatore un’esperienza senza eguali: la Stiftung Preußischer Kulturbesitz (Fondazione Prussiana per il Patrimonio Culturale); i Kulturprojekte Berlin (Progetti Culturali di Berlino); lo Stadtmuseum Berlin (Museo della Città di Berlino) e la Humboldt-Universität zu Berlin (Università Humboldt).
Hartmut Dorgerloh, Direttore Generale del Forum, aveva dichiarato settimane addietro:
“Siamo lieti di poter annunciare i nostri piani per l’anno inaugurale, insieme alle nostre istituzioni partner, che si svilupperanno progressivamente nel corso del 2021. Abbiamo pensato a mostre ed eventi, visite guidate e conferenze, contributi di danza e film, oltre a garantire ai visitatori la semplice opportunità di esplorare l’edificio e tutto ciò che offre. Il programma sarà incentrato su temi socio-politici di attualità che rispecchiano fin dall’inizio i tre temi centrali del Forum Humboldt: la storia e l’architettura del sito, i fratelli Humboldt, il colonialismo ed il dibattito su di esso”.
La Museuminsel (Isola dei Musei) è un complesso di cinque musei costruiti tra il 1824 e il 1930 sulla piccola isola della Sprea. L’idea che portò a realizzare nell’area un articolato complesso espositivo scaturì dalla visione, insieme romantica ed illuministica, di Federico Guglielmo IV di Prussia, che volle dar vita a un “rifugio” per l’arte e la scienza paragonabile al forum dell’antica Roma. Luogo di enorme valore culturale ed architettonico, questa “acropoli dell’arte” concentra l’evoluzione della concezione museale e raccoglie opere e reperti di seimila anni di arte e di storia. Molte provengono dalle collezioni private degli Hohenzollern e dal 1918 sono amministrate dalla Stiftung Preußischer Kulturbesitz (Fondazione del Patrimonio Culturale Prussiano).
(Cfr.https://es.wikipedia.org/wiki/Universidad_Humboldt_de_Berl%C3%Adn;https://it.wikipedia.org/wiki/Isola_dei_musei; https://www.visitberlin.de/it/humboldt-forum; https://www.humboldtforum.org;
https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Berlino;http://www.lfmagazine.it/sara-larchitetto-franco-stella-a-ricostruire-il-castello-degli-hohenzollern-a-berlino; http://www.francostella.eu/home-it.html).
L’Altes Museum (Museo Antico) si affaccia sul Lustgarten, di fronte al Duomo di Berlino ed al nuovo Humboldt Forum. Con la sua apertura opere d’arte di grande rilevanza storica furono accessibili al pubblico di Berlino. Karl Friedrich Schinkel, l’architetto più importante della Prussia, progettò l’edificio. Nel giro di 100 anni su questo sito sarebbero sorti un totale di cinque musei. Dalla fine degli anni Settanta del XIX secolo l’area viene chiamata Isola dei musei. Nel 1855, su progetto di Friedrich August Stüler, fu costruito un secondo imponente edificio: il Museo Reale Prussiano, l’odierno Neues Museum (Museo Nuovo). Nel 1876 apre i battenti la Alte Nationalgalerie (Antica Galleria Nazionale), una struttura che ricorda i templi greci e che incorpora il disegno di Stüler. Bisognerà attendere l’inizio del XX secolo perché il complesso sia ultimato. Nel 1904, sulla punta dell’Isola, venne inaugurato il neobarocco Kaiser-Friedrich-Museum, l’odierno Bode-Museum (dal suo primo direttore, Wilhelm von Bode). E nel 1930, durante la Repubblica di Weimar, aprì il Pergamonmuseum (Museo di Pergamo).
L’Isola, uscita devastata dai bombardamenti della WWII, è una stupefacente opera d’arte di per sé: i cinque musei di fama mondiale, con l’aggiunta della discutibile, recente James-Simon-Galerie, formano una straordinaria area espositiva. Dopo la caduta del Muro di Berlino (l’Isola si trovava nella parte orientale della città divisa), si deliberò un restauro complessivo dell’area, il Masterplan Museumsinsel. La collezione di antichità classiche è una delle più importanti raccolte di arte greca e romana al mondo. L’opera più famosa è l’altare romano di Pergamo. Il Museo di Pergamo è, tuttavia, ancora in fase di ristrutturazione, fino al 2024. La ricostruzione del Neues Museum ha richiesto dieci anni. Dalla riapertura, nel 2009, l’edificio ha ospitato mostre selezionate del Museo egizio e della Collezione dei papiri, del Museo di storia antica e preistorica e della Collezione di antichità classiche. Il famoso busto di Nefertiti è presentato in una sala ottagonale sotto la cupola nord. Al centro del Lustgarden (Giardino del Piacere) svettava una grande statua equestre di Federico Guglielmo III di Prussia, di Albert Wolff, che venne fusa nel 1944 per il fabbisogno dell’industria bellica. Peraltro, Hitler e Speer avevano altri piani per l’area!
Il castello di Berlino (Berliner Schloss o Berliner Stadtschloss) era posto nel pieno centro della città e della stessa Museumsinsel. Rilevante opera monumentale, imponente edificio in stile prevalentemente barocco, sormontato da una grande cupola, fu residenza dei Principi Elettori di Brandeburgo, dei Re di Prussia e degli Imperatori tedeschi, ed era considerato il cuore fisico e morale di Berlino e dello Stato. La costruzione del Castello cominciò nel 1443. Nei secoli l’edificio fu continuamente ampliato, con il contributo dei maggiori architetti ed artisti dell’epoca.
Dal suo balcone il Kaiser Guglielmo II aveva annunciato l’inizio della Grande Guerra, il primo agosto 1914; da un altro, il 9 novembre 1918, Karl Liebknecht proclamò la fondazione della “Repubblica socialista”, due mesi prima di essere ucciso con Rosa Luxemburg. Dopo numerosi, intensissimi ed indiscriminati bombardamenti anglo-americani nel 1944 e ’45, fu combattuta tra i tedeschi ed i sovietici, dal 16 aprile al 2 maggio 1945, la “battaglia aerea di Berlino”, 7.500 aerei sovietici contro 1.700 della Luftwaffe. Danneggiato nel corso dei duelli d’artiglieria tra la Wehrmacht e l’Armata rossa, e dai bombardamenti a volo radente degli Ilyushin Il-2 ‘Shturmovik’, lo Stadtschloss, pur ferito, sopravvisse.
Dopo la fine del conflitto, le rovine del castello furono utilizzate come scenografia per un film di natura epica e rivoluzionaria “La caduta di Berlino” di Mikheil Chiaureli (1894 – 1974) attore e regista georgiano, nel quale i colpi di artiglieria e dei carri armati erano reali e compromisero ulteriormente i ruderi. Fu la dittatura stalinista di Walter Ulbricht, nel 1950, a decidere di demolirlo – anziché restaurarlo come altri regimi comunisti (polacco e ungherese) fecero, invece, per rispetto alla memoria nazionale con i castelli reali di Varsavia e Budapest – in quanto considerato “simbolo del militarismo prussiano”.
Così vennero pure ottusamente distrutti dai comunisti della DDR, per odio ideologico, il Kaiser-Wilhelm-Nationaldenkmal (Monumento all’Imperatore Guglielmo I), il Potsdamer Stadtschloss, il castello della città di Potsdam nel 1960 – poi parzialmente ricostruito dopo la riunificazione tedesca, nel 2013 – la Garnisonkirche di Potsdam, una parrocchia protestante (luterana e calvinista) barocca, dove la Famiglia Reale degli Hohenzollern assisteva alle funzioni religiose fino al 1918.
L’ampia area ricavata dalla demolizione fu ribattezzata Marx-Engels-Platz ed utilizzata come spazio per sfilate ed eventi di massa, fino alla costruzione, nel 1976, sul lato est, nel sito del distrutto Castello, del Palast der Republik, un greve monolito in stile razionalistico-brezneviano che ospitava la Volkskammern (Camera del Popolo), e pure un teatro, gallerie espositive, ristoranti e discoteche di Berlino Est. Dopo la riunificazione, il Palazzo, contaminato dall’amianto usato in gran quantità, è stato demolito, nel 2006.
Si aprì allora un acceso dibattito nell’opinione pubblica tedesca e nelle sedi politiche sul destino dell’area. Il Bundestag (il Parlamento Federale) ha alfine deciso la ricostruzione delle facciate esterne ed una struttura moderna per l’interno, adatta ad ospitare un museo. Si decise così di procedere al rifacimento del Castello come ‘Centro delle Culture del Mondo’. Nel 2007 una giuria di noti architetti internazionali e di autorità, presieduta dall’architetto Vittorio Magnago Lampugnani, romano, professore ordinario di storia dell’urbanistica all’ETH di Zurigo, ha scelto il progetto dell’architetto italiano Franco Stella (Thiene, 1943), affidandogli il compito della ricostruzione. Stella ha disegnato il rifacimento, fedele all’originale, di tutte le facciate barocche dello Stadtschloss, ovvero delle tre facciate rivolte verso la città e di quelle rivolte verso le corti interne. Le facciate “classico-moderne di mia invenzione”, disse Stella, “sono la facciata esterna verso il fiume Sprea e le facciate rivolte verso i cortili-piazza (uno ricostruito e due di mia invenzione) che si trovano all’interno dell’edificio”. La costruzione, alta 30 metri, si articola su quattro piani per un totale di oltre 40 mila mq. di superficie utile; un piano sotterraneo, esteso a tutto il lotto, ed il piano sottotetto sono destinati agli impianti tecnici. Il rilevante costo complessivo dell’opera supera i 600 milioni di Euro (pare 645 ad oggi). Oltre i costi della scalinata che collegherà l’edificio alla Sprea (2021). Nel 2013 venne posata la prima pietra dell’Humboldt Forum. La sezione espositiva, dedicata all’arte extraeuropea, includerà una collezione proveniente da due istituzioni statali di Berlino: il Museo d’Arte Asiatica e il Museo Etnologico.
La Humboldt-Universität zu Berlin (l’Università Humboldt di Berlino), dal canto suo, è la più antica Università degli Studi della capitale tedesca. Ha servido como modello per varie Università europee. Fu fondata da Wilhelm barone von Humboldt nel 1810, con funzioni, ma non rango, di Ministro dell’Educazione di Prussia, come Universität zu Berlin. Simultaneamente egli fondò il Museo di Storia Naturale. Per l’ateneo son passati 29 Premi Nobel e molti dei maggiori intellettuali e scientifici degli ultimi due secoli: Johann Gottlieb Fichte, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Arthur Schopenhauer. Ed anche Karl Marx, Albert Einstein, Heinrich Heine, il leader della fazione radicale dell’SPD, e dell’insurrezione spartachista del gennaio 1919, Karl Liebknecht.
Al ricostruito Stadtschloss è stata abbinata un’idea, un po’ balzana, per riempire lo spazio di fronte alla cupola, a suo tempo occupato dal Monumento a Guglielmo I Re e Imperatore: il Monumento alla Libertà e Unificazione, deciso nel 2007 con un voto del Bundestag, forse per dare un contentino a certa opinione antimonarchica e liberal, preoccupata per la ricostruzione dell’antico Castello! Il concorso per il progetto esecutivo risale al 2011, quando vinse l’idea degli architetti Milla&Partner: un gigantesco dondolo d’ acciaio a forma di insalatiera, montato su un piedistallo sull’ asse Est-Ovest. A seconda di dove la gente prenderà posto (fino a 1400 persone), il piatto, lungo 55 metri e pesante 330 tonnellate, potrà oscillare verso Oriente o Occidente… La idea è che il Memorial onori gli uomini e donne che, nella rivoluzione pacifica del 1989, provocarono la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania. Per questo la stramba opera invita i visitatori a comunicarsi e procedere assieme. Proposta che vorrebbe sottolineare l’aspetto variabile e soggettivo della memoria, un gioco di equilibrî tra stabilità ed instabilità… Definita da qualcuno ‘La dimensione performativa della memoria’, a mio modesto avviso una sciocchezza pseudo ludica, pseudo artistica, post-avanguardista politically correct…
Lo scorso 29 ottobre 2019 scriveva Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”, sotto il titolo, ‘Berlino peggio di Gotham city: i pipistrelli adorano la captale tedesca, ma ora creano problemi perché hanno eletto a propria dimora il monumento alla riunificazione’:
“Sul monumento, la scritta Wir sind das Volk, wir sind ein Volk, noi siamo il popolo, noi siamo un popolo, ricorderà i giorni della Wende, la svolta. Ribattezzata ‘l’ altalena dell’ unità’, la mega ciotola sarà collocata sul lungofiume nel cuore cittadino, proprio a lato dell’ Humboldt Forum, dominato dalla ricostruzione critica del castello degli Hohenzollern, opera dell’ italiano Franco Stella. Entrano in scena i pipistrelli. Non chirotteri qualunque, ma rari Myotis daubentonii, volgarmente detti pipistrelli di Daubenton, specie riconoscibile per le piccole orecchie e le minuscole dimensioni. Una sessantina di loro ha infatti da anni eletto dimora proprio negli spazi cavernosi sottostanti il posto dove dovrebbe sorgere il piedistallo. Animalisti e ambientalisti sono in rivolta e si sono rivolti a un giudice per chiedere di sospendere i lavori”.
Comunque, il 28 maggio 2020 è simbolicamente iniziata la costruzione del monumento con la collocazione della prima pietra, alla presenza del Presidente del Bundestag, Norbert Lammert, del predecessore Wolfgang Thierse e del Ministro della Cultura, Monika Grütters.
Deutsches Eck (Angolo Tedesco) è il nome di un promontorio, a Coblenza, dove la Mosella confluisce nel Reno. Ivi sorgeva dal 1897 un monumento al sovrano unificatore della Germania, Guglielmo I il Grande. Fu distrutto durante la WWII, restando solo il piedestallo. Dopo la riunificazione una replica della statua equestre fu ricollocata nel 1993, dopo aspre polemiche dei soliti pacifisti, ‘antinazionalisti’ tedeschi ed ‘antifa’ d’Europa e d’Oltreoceano…
Similmente, il progetto di ricostruzione del Berliner Stadtschloss è stato criticato da settori di opinione pubblica ‘progressista’. Critiche riflesse, pur nella loro faziosa, preconcetta infondatezza, dai sentimenti di coloro che erano timorosi, dal 1990, del “Quarto Reich prossimo venturo”, colmo di fantasmi:
“La decisione di utilizzare quest’area rivela tutta la fragilità dell’apparato politico davanti alla complessità della propria storia. I tedeschi, forse più di altri cittadini europei, hanno una relazione particolarmente disarticolata con il loro passato, e la ricostruzione dell’emblema del potere monarchico prussiano, nel vuoto lasciato dall’edificio simbolo del popolo della Repubblica Democratica tedesca, ne è la prova eccessiva e morbosa. Una scelta sintomatica che incanala la paura del vuoto lasciato dal passato recente, forse spaventoso, perché più espressivo di qualunque pienezza, e che, invece di guardare dritto verso il futuro, ha il potere di far rivivere solo una parte della storia, quella più rassicurante”, ha scritto, ad esempio, nel 2014, Isotta Bitti Ricci, con molta approssimazione, come se il futuro non esistesse senza il passato, riecheggiando tali paure nel Berlino Magazine. La tesi è semplicistica. Lo Stadtschloss è considerato dai suoi fautori il legame con un’epoca di filosofi, con la grande cultura tedesca; per i suoi detrattori simbolizza il potere imperiale nella stagione del militarismo e dell’espansionismo coloniale che condussero, per conseguenza, ai massicci bombardamenti ed alla distruzione del Castello stesso nel ’45. E la proccupazione che il ricostruito Palazzo inneschi inquietanti nostalgie, strumentalizzate dall’estrema destra, chissà, per un’epoca nella quale la Germania fu grande, ma covava in sé i germi degli orrori successivi. Il NYT scriveva, nell’ottobre 2018, di un manifestante berlinese che gridava al microfono, indicando la grande facciata di pietra del ricostruito palazzo, che il museo sarebbe sempre stato associato al sangue dell’Impero, sarebbe anzi divenuto un omaggio all’Era coloniale (come se l’ ‘Arsenale della Democrazia’ non avesse versato e fatto versare abbondante sangue per il proprio imperialismo, quello sì vincente)! Al contrario, lo scrivente pensa che lo Stadtschloss rende a Berlino la sua vecchia apparenza, ridefinisce e completa il centro storico, permette alla città di recuperare il soprannome di “Atene sulla Sprea”, concilierà alla fine la grande maggioranza di cittadini con la sua ricostruzione. L’Humboldt Forum si propone al servizio delle arti e delle scienze, luogo eccezionale accanto ai musei dell’Isola, all’Università Humboldt, alla biblioteca. La capitale offrirà un palco straordinario per il dialogo tra i popoli e le culture all’epoca della mondializzazione. Costituirebbe, insieme, una salvaguardia della memoria storica. Potrebbe infrangere, softly, il ruolo di ‘Disneyland del politicamente corretto‘ della città.
Infine, per ora almeno, Pierluigi Panza, il 23 settembre scorso, a seguito delle recenti esternazioni di Daniel Barenboin, pianista e direttore d’orchestra argentino, nazionalizzato spagnolo, israeliano e palestinese, nato a Buenos Aires 78 anni fa, direttore della Staatskapelle, sul fatto che “La Germania ha fatto i conti con il proprio passato. Spagna e Italia no”, ha replicato:
“E no, caro Barenboim. La Germania ha rimosso il proprio passato e, per vederlo facilmente con i tuoi occhi, Ti basta che fai due passi fuori dal teatro di Berlino, che dirigi. Berlino, proprio nel suo centro, ha cancellato, ha rimosso (non fatto i conti, bensì il contrario) tutti i segni sia delle due Guerre (perse), quelli della distruzione dovuta alla sconfitta del nazismo e anche tutti i segnacoli della successiva Guerra Fredda, che Berlino e il suo Muro hanno incarnato. A seguito di una esplicita volontà politica, il centro di Berlino è ritornato ad essere quello della capitale della Prussia, prima delle guerre e della Guerra Fredda. Il progetto dell’Humboldt Forum dell’italiano Franco Stella è la ricostruzione di un falso storico, di un castello pseudo Hohenzollern che – mutato nei secoli – era stato distrutto causa guerra nazista. A Berlino si è scelto di cancellare la traccia della storia proprio per non fare i conti con quel vuoto inquietante che ricordava il nazismo. Si è preferito ricostruire una Prussia immaginaria che non c’era. Davanti all’Humbold Center, presso l’Altes Museum, si è costruito un nuovo ingresso (la Simon Gallery di Chipperfield) nello stile dei Propilei ateniesi, quell’Atene mito della Germania ottocentesca, quella prima delle Due Guerre perdute e rimosse.(…) Caro Baremboim, la Germania ha scelto di nascondere la polvere del passato sotto il tappeto. Non vuole fare i conti seriamente, è passata alla sostituzione con ciò che c’era prima: una Prussia dominante in Europa”.
(cfr.https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/09/23/news/barenboim_spagna_franchismo-268140695)
Una vera e propria intemerata, sconclusionata, non solo discutibile (il centro di Berlino non tornerà mai ad essere quello della capitale della Prussia!), contro il sacrosanto diritto dei tedeschi di oggi di recuperare la loro memoria storica che pervicacemente, e solo a loro, 75 anni dopo la fine della WWII, o 102 dal crollo dell’Impero, continua ad essere negata dalle narrazioni mainstream sull’altare del sempiterno ‘I vinti hanno sempre torto’; rafforzato dall’idea che la nostalgia nazionalistica tedesca (dove? chi? se sono il popolo forse meno nazionalista del continente, d’uno Stato senza le chiavi, peraltro, degli impoveriti arsenali militari) metterebbe a repentaglio la sicurezza collettiva… Gli anni del nazismo furono 12 anni tragici per la Germania ed il mondo, nessuno lo nega. Ma pur sempre 12 anni in una storia millenaria. Alla quale la Germania ha dato apporti fondamentali, dalla cultura filosofica, alla umanistica e scientifica, alle arti. Guglielmo II – a parte la scarsa diplomazia e le gaffes – nel 1914 non volle la Guerra Mondiale, ma vi fu trascinato da Austria-Ungheria, Russia, Francia (e indirettamente dal Regno Unito). Le bombe su Berlino, sulle altre città tedesche, non caddero, nella Seconda Guerra Mondiale, per colpa di Guglielmo I (che prese parte alla battaglia di Waterloo nel 1815!) o del nipote Guglielmo, che semmai non riuscì ad opporsi, come nel 1911 per il Marocco o negli anni successivi pei Balcani, all’entourage militare, del quale faceva parte anche il figlio, il Kronprinz.
Tali tesi, peraltro, circolano pure in Italia, a destra come a sinistra. Credo che la Germania non si dovrebbe vergognare della sua identità nazionale, WWI compresa, tanto meno della sua (relativa) salute economica odierna, il che non significa un’egemonia sul continente. Da noi, forse qualcuno ha mai seriamente chiesto di abbattere la “Macchina per Scrivere” del Vittoriano a Roma? Perchè non hanno ricostruito con il Castello anche il Monumento a Guglielmo I distrutto dall’Armata Rossa, per ‘cancellare’ il militarismo prussiano? Invece del gigantesco dondolo che ne prenderà il posto e che ricorda un piattone d’insalata più che la Riunificazione della patria? Quando il militarismo, a mio avviso, esisteva in Germania come altrove (semmai la sua colpa fu di autocelebrarsi troppo e poi di essere sconfitto) e Berlino nell’800 fu la grande capitale europea della cultura, più di Parigi, Londra, Vienna. Per tale ragione i tedeschi non dovrebbero rimuovere l’opera unificatrice di Bismarck e degli Hohenzollern e pagare un’eterna ‘espiazione’ collettiva per la Shoa, rinnegando altresì le proprie radici culturali, spirituali, ideali. Tale atteggiamento si è andato rafforzando a partire dagli anni ’70 (forse dopo il massacro di Monaco, 1972), mentre era più diluito negli anni ’50 e ’60, a causa della Guerra Fredda e della divisione della nazione…
Thomas Mann disse una sciocchezza, nel 1914, proclamando che la Germania non apparteneva alla cultura occidentale, illuministica. Quella era la propaganda anglo-francese della guerra, la Civilisation opposta alla Kultur! La Prussia era un Paese insieme conservatore e riformatore dal tempo di Federico II il Grande, il primo sovrano europeo a varare l’istruzione gratuita ed obbligatoria. Come Federico II, Guglielmo I era anch’egli massone, del resto…Ed i simboli qualcosa contano; anche per questo han fatto bene i tedeschi che han voluto ricostituire l’Isola dei Musei. Sarebbe logico (ma quasi impossibile) ch’essi recuperassero con l’orgoglio della Riunificazione del 1990 pure quello dell’Unificazione del 1871, quando smise d’essere ‘Un’accozzaglia di Stati insignificanti sotto insignificanti prìncipi’, come noi italiani, pur sconfitti, lo sentivamo un tempo con i nostri intatti monumenti al primo re, Vittorio Emanuele II, a Umberto I, i corsi, vie e piazze intitolati a membri insigni di Casa Savoia (vabbè, lo sappiamo, l’8 settembre ’43 ha facilitato le cose in tal senso…). Piuttosto, è evidente che l’opinione mondiale progressista, multietnica, immigrazionista, vorrebbe eternizzare la Germania nella colpevolizzazione e nella demonizzazione. E Berlino, ombelico dell’ Europa, in una capitale che accoglie tutti:
“Testimone di come la convivenza fra i popoli è possibile, senza barriere e senza confini. Testimone di come si possa vivere insieme, pacificamente, anche se si appartiene a culture differenti o si fugge da guerre e dalla fame. Ognuno ha diritto di esprimere il proprio pensiero. Una città per giovani. Piena ovunque di giovani che vi accorrono numerosi da ogni parte del mondo. Creativi e intraprendenti, sono loro i protagonisti della sua realtà dinamica, in continua trasformazione. Berlino libertaria, libera, poliedrica, accogliente, multietnica, multireligiosa e multiculturale che non si ferma mai. Neppure di notte. Sempre in “marcia”, ecologista, con tante biciclette, con una numerosa e attiva comunità LGBTIQ, la cui storia è raccontata nel Schwules Museum (Museo Omosessuale) dove si allestiscono mostre temporanee come quella dedicata al riconoscimento del matrimonio egualitario, legge approvata nel giugno 2017. Il Denkmal Fur Die Im Nationalsocialismus Verfolgten Homosexuellen (Monumento agli omosessuali perseguitati dal nazismo), all’inizio del Tiergarten, vicino alla Porta di Brandeburgo, costituito da un blocco di cemento grigio alto quattro metri, ricorda l’olocausto gay. Poco più avanti vi è il Memoriale dedicato alla strage dei Sinti e dei gruppi di zingari dell’Europa dell’Est: un semplice specchio d’acqua con una targa nel mezzo. Mentre di fronte si apre il metafisico ed inquietante labirinto dell’Holocaust Mahnmal, inaugurato nel 2005. Costituito da 2711 blocchi di cemento grigio di varie altezze e dimensioni, simili a sarcofagi, 19.000 metri quadrati di superficie, testimonia il genocidio di sei milioni di Ebrei perpetrato spietatamente dai nazisti”.
(Pietro Tarallo, Berlino grande capitale d’Europa, 15.1.2018, in http://www.terreincognitemagazine.it).
Naturalmente gli unici dimenticati, in questa ossessiva esaltazione di vittime, nell’operazione di rielaborazione di una memoria storica collettiva (forse dovrebbe essere definita ‘recupero selettivo della memoria’), a parte i congiurati del 20 Luglio 1944 dell’Operazione Valchiria, sono i milioni di donne violentate, assassinate (come del resto di uomini e bambini tedeschi, civili non militari) nel ’45 in Prussia, Polonia, Sudeti, cioè le vittime dalla parte dei vinti.
A proposito del trentennale della Caduta del Muro, e di come essa viene ora percepita, notava acutamente Flavia Perina, un anno fa, in ‘Non siamo tutti berlinesi’:
“Il Muro, la divisione tedesca, l’antica ‘ferita nel cuore dell’Europa’, furono a lungo un caposaldo della narrazione delle destre. Perché perdere questa buona occasione per ricordare agli italiani e al mondo la primogenitura nella battaglia contro la Cortina di Ferro, la segregazione dell’Est, la crudele divisione del Vecchio Continente con il filo spinato? Il sovranismo ha fatto pace con l’idea di ‘Muro’ aborrita per mezzo secolo dalle destre, anzi l’ha trasformata in cosa propria. Così, se solo trent’anni fa si componevano canzoni in favore dei popoli imprigionati dietro il cemento, con le piattaforme armate di mitragliatrici e i vopos all’erta per sparare sui disobbedienti, adesso quell’immagine ha cambiato segno. Non evoca più segregazione, barbarie, diktat comunista, ma legittima protezione e difesa. Trent’anni hanno stemperato pure l’antica avversione per l’Orso russo e per la cifra illiberale e autocratica del Cremlino pre e post-Gorbaciov, così come l’antica idea che le nazioni europee avessero un comune destino realizzabile soltanto con la riunificazione del Vecchio Continente, oltre la doppia sudditanza agli Usa e all’Urss. Le vecchie immagini del check point di Bornholmer Straße, il primo aperto al traffico, con i berlinesi dell’Est e dell’Ovest che si abbracciano, ridono, brindano ancora increduli, non commuovono più. Risultano anacronistiche. Il ribaltamento di prospettiva ha trasformato l’Europa in nemico, la Germania in disprezzata potenza continentale: che senso ha celebrare le elettrizzanti giornate dell’89? Berlino non è più il richiamo romantico e fané di una volta…” (https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/04/caduta-muro-berlino-celebrazioni/44211).
Il Muro proteggeva, però, la grande truffa:
“Caduto quello, il re sarebbe stato irrimediabilmente nudo e inutile. Il comunismo non sarebbe stato rifondato da nessuna parte in Europa. Non avrebbe retto nemmeno quello più democratico del PCI né l’Eurocomunismo occidentale. In Cina e nel Sud Est asiatico era un’altra storia. E Cuba era un’isola: avrebbe vissuto più lentamente e più languidamente l’eclissi fisica di Fidel e la trasformazione del suo regime. Ma nessuno di questi comunismi avrebbe più avuto la pretesa di essere un faro per l’umanità“, ha ricordato Ugo Tramballi, all’epoca corrispondente da Mosca de Il Giornale, nel 2009.
Sull’argomento della ‘memoria storica’ ha scritto efficacemente Luca Steinmann, (analista geopolitico di Limes) in La reinvenzione di Berlino, il 4 luglio 2016, sul Giornale: “La Porta di Brandeburgo ed il Reichstag sono tra le uniche costruzioni il cui stile faccia riferimento al passato della nazione prima del 1945. Il complesso di edifici governativi, parlamentari e imprenditoriali sorti al loro fianco dalle macerie dei bombardamenti bellici sono minimalisti, essenziali, razionali, quadrati e spesso di colore bianco. Essi trasmettono un’idea di competenza, di trasparenza, di equilibrio e di affidabilità che è in netto contrasto con la pomposità maestosa delle antiche costruzioni classiche. La classe dirigente berlinese non vuole più trasmettere l’idea di potenza e di centralità come nel passato, vuole invece sostituire gli elementi ‘tipicamente tedeschi’ con i simboli dell’avvenuta occidentalizzazione del Paese. I tantissimi esercizi commerciali che colonizzano il centro sono infatti soprattutto grandi shop center di note marche di abbigliamento multinazionali o ‘caffetterie’ provenienti da oltreoceano, come Starbucks o McDonalds. L’appariscenza dei prodotti venduti contrasta con la sobrietà degli edifici che le ospitano. Di riferimenti alla cultura tedesca quasi non ce ne sono. Neanche una bandiera nazionale sventola in tutto il centro della capitale, se non quella sul parlamento, affiancata da una più grande dell’UE. La reinvenzione del centro di Berlino rispecchia il tentativo da parte della classe dirigente tedesca di sciogliere la propria identità nazionale all’interno di quella europea e occidentale. Le tragedie del passato, infatti, hanno lasciato nelle elites della Repubblica Federale un senso di colpa così profondo da spingerle a voler abbandonare ogni riferimento alla propria storia”.
Scelta minimalista, fondamentalmente pacifista, per seguitare ad essere ‘un nano politico’ internazionale. Vendere molte auto e fare tante vacanze (Covid permettendo), per semplificare al massimo. Per Steinmann, la Germania si fonda sulla “Cultura del ricordo delle vittime dell’Olocausto” e sul riconoscimento della propria responsabilità: “la memoria e la percezione del passato sono però due concetti assai relativi, la cui percezione è soggetta alle influenze delle élites. Per questo che il futuro di Berlino e della Germania, quindi dell’Europa, è più incerto che mai”.
Dopo le immani distruzioni belliche, dopo essere stata il simbolo della Guerra Fredda, la città ha cercato di riacquistare la grandezza di una capitale. Ma il secolo era ormai americano. Come scriveva su Repubblica, nel 1997, Franco Volpi, filosofo e germanista, Berlino “crogiolo in cui speranze, disillusioni, avanguardie, sperimentazioni, utopie, catastrofi del nostro secolo si sono concentrate più che in qualsiasi altra città europea, un luogo in cui la storia si è rappresa e fatta spazio, ha cercato come una salamandra di rinnovare la sua pelle”. Non credo, 23 anni dopo, che l’operazione sia complessivamente riuscita. Penso sia mancata, nella politica e nella società tedesca, diventata edonista, la tempra dei tempi di Adenauer, Schmidt, Kohl. Sui sensi di colpa inoculati dai vincitori del ’45, in dosi gigantesche, non si rielabora poi compiutamente la memoria storica di una nazione. Ben venga ora l’Humboldt Forum, ciò che esso rappresenta, ma l’ubi consistam del futuro di Berlino (e della Germania) dipendono da altri, ben più rilevanti fattori.