La metà celeste di Manchester (e non solo quella) è a lutto. Si è spento, nei giorni scorsi, alla veneranda età di 89 anni, il mitico Bernard Carl Trautmann la cui parabola umana e sportiva costituisce uno dei miracoli più belli che il calcio sia riuscito a compiere.
Da odiato crucco nazista a Ufficiale dell’ordine dell’Impero Britannico: idolo della folla che si era letteralmente rivoltata contro l’ingaggio del lungagnone germanico, inserito di diritto nella Galleria delle Glorie del football d’oltremanica, il portiere tedesco ha scritto alcune delle pagine più epiche e gloriose del Manchester City. Guadagnandosi sul campo, rispetto e ammirazione da chi, fino a poco tempo prima, stava dall’altra parte della barricata della Seconda guerra mondiale.
Trautmann, nato a Brema nel 1923, come tanti giovani della sua stessa epoca ritenne di aderire al Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler. Per lui, così come per i suoi conterranei, il nazismo era l’unica strada da percorrere per risollevare la Germania dall’onta della pace di Versailles che chiuse la prima guerra mondiale. Ha combattuto in Ucraina e più volte venne decorato con l’ambita Croce di Ferro, tra le massime onoreficenze militari tedesche. Poi, con il suo reparto, venne inviato a presidiare il fronte occidentale dove, dopo tutta una lunga serie di peripezie (avrebbe evitato persino la fucilazione in modo rocambolesco) venne catturato dagli inglesi che lo spedirono nel campo di prigionia di Ashton-in-Makerfield.
Liberato tre anni dopo la fine del conflitto, dopo essersi fatto notare sui campi polverosi della periferia inglese, battuti tenacemente dagli osservatori del club più prestigiosi, arriva ad indossare la casacca celeste dei Citizens. Il suo ingaggio, però, provoca una rivolta popolare: no, nessuno – a pochi anni dalla fine della sanguinosa seconda guerra mondiale – vuole che a presidiare la porta citizens ci sia quel lungagnone nazista. La società e la dirigenza tennero botta, resistettero alla tensione popolare. E furono ampiamente ripagati. Quindici anni di carriera, oltre 540 partite giocate, perle irripetibili, bocconi di leggenda da consegnare direttamente alla storia: nel 1956 giocò gli ultimi quindici minuti della finalissima per la Fa Cup contro il Birmingham City con il collo rotto. O meglio, con una vertebra incrinata a causa di uno scontro di gioco contro l’attaccante avversario Peter Murphy. Si rialzò, tornò tra i pali e chiuse la porta all’assedio degli avversari con tutta una serie di parate decisive non meno dei tre gol siglati fino a quel momento dai Citizens.
Si ritirò a metà degli anni ’60, precisamente nel 1964, e venne celebrato anche dal Manchester United, da Best, Law e Bobby Charlton. Poi si è dedicato a fare l’allenatore. Nel 2004 venne insignito della nomina ad Ufficiale all’ordine dell’impero britannico. Mica male per uno che, da giovane, teneva una collezione di Croci di Ferro. Con Trautmann se ne va un calcio miracoloso: capace di trasformare un prigioniero di guerra tedesco, nazista e per di più portiere (mica il solito ‘attaccante’…) in un ufficiale di sua Maestà britannica. Questa sì che è una favola di integrazione nel nome dello sport. Altro che divieti, fughe, politicamente corretto, schedature. Platini e compagnia, prendete appunti.