Con la prossima presidenza di Joe Biden andrà in scena la restaurazione degli assetti internazionali parzialmente messi in crisi da Donald Trump. E’ lo stesso futuro inquilino della Casa Bianca ad averlo chiarito in un articolo su “Foreign Affairs” dello scarso marzo nel quale ha scritto che “il presidente Trump ha sminuito, indebolito e abbandonato alleati e partner, e abdicato alla leadership americana, come presidente farò immediatamente passi per rinnovare le alleanze degli Stati Uniti e far sì che l’America, ancora una volta, guidi il mondo”. Si torna quindi all’interventismo Usa e alla ferma volontà di controllare tutte le dinamiche geopolitiche del pianeta, considerate, senza eccezione, come interesse nazionale degli Stati Uniti.
L’America first di Trump, pur nella sua contraddittorietà, era una strategia notevolmente diversa, prevedendo una supremazia statunitense da tutelare nelle occasioni in cui si riteneva fosse insidiata, ma senza la pretesa di infilarsi da ospite-padrone nelle aree geografiche in cui toccava ad altri attori statali dettare le regole. Il ritiro dai due grandi accordi commerciali con l’Asia e con l’Europa è stato la testimonianza di una superpotenza che non intendeva usare il multilateralismo come strumento di egemonia universale. Così come lo sono state le frequenti e aspre critiche del presidente alla grande organizzazione multilaterale, la Nato, e, da ultima, la decisione di alleggerire la presenza militare in Europa con il ritiro di 12mila soldati dalla Germania. La notevole eccezione in tale strategia è stato l’Iran verso il quale Trump, ossessivamente, ha mantenuto un atteggiamento aggressivo sconfinante nel terrorismo, pur non essendo in gioco alcun interesse diretto statunitense in quel Paese.
La programmata restaurazione di Biden manda in sollucchero gli europei che, considerandosi alla stregua di persone interdette per incapacità intendere e volere, si sentivano abbandonati dal protettore-padrone d’oltreatlantico. Esultando per il cambio di guida ai vertici degli Stati Uniti, tutte le maggiori personalità politiche del continente hanno sottolineato come si stia per rafforzare nuovamente l’ ”indispensabile legame transatlantico”. Si tratta di una formula che viene ripetuta e creduta come un mantra senza che ci sia dia la briga di giustificarla. Indispensabile perché? Dal punto di vista economico e commerciale, statunitensi ed europei, con produzioni di qualità e generi simili, sono ovviamente concorrenti, come del resto capiscono bene i primi che usano le loro imponenti agenzie di informazione per lo spionaggio industriale nel Vecchio Continente a danno delle aziende locali.
Si dice però che la presenza militare Usa, attraverso la Nato, è l’unica garanzia per la sicurezza dell’Europa. Anche in questo caso, sicurezza nei confronti di quali minacce? Quali sono i pericoli che gravano sull’Europa? Il sottinteso che gli occidentalisti non dicono apertamente, forse per tema del ridicolo, è che vi sarebbero potenze ostili contro le quali occorre l’aiuto dello zio Sam? C’è qualcuno in grado di sostenere, senza mettersi a ridere, che la Russia aspetti solo di veder sparire le truppe statunitensi per invadere l’Europa? O che dalla profonda Asia, la Cina abbia in mente di scagliarci contro l’Esercito Popolare? E’ del tutto evidente che queste due potenze mirano a difendere i propri interessi nelle aree geopolitiche in cui sono inserite e, anche a voler parlare di scenari assurdi, non saprebbero che farsene di una conquista militare dell’Europa.
La verità è che la Nato non serve per niente agli europei. Basterebbe ricordarsi che la prima guerra della sua storia, vergognosamente, l’ha fatto contro una nazione europea, la Serbia. O meglio, a qualcosa l’organizzazione militare transatlantica serve, ovvero a impedire definitivamente che nasca una forza militare autonoma continentale. La storia dell’esercito europeo, fin dall’abortita Comunità europea di difesa dei primi anni Cinquanta, è una patetica sequela di sterili conati, ampollose affermazioni di principio, limitati passi in avanti con obiettivi molto modesti. Anche recentemente, il presidente francese Macron ha ribadito la necessità di una forza militare comune, rispondendo alla ministra della Difesa tedesca Karrenbauer che, con crudo realismo, aveva dichiarato che “è meglio che la Ue dica fine alle illusioni di autonomia strategica europea”. Ma si sa come sono i capi francesi a proposto delle grandi questioni continentali: roboanti dichiarazioni alle quali non seguono mai i fatti.
Sappiamo ovviamente che il Trattato di Lisbona prevede la possibilità per alcuni Stati di rafforzare la cooperazione militare, che alcuni passettini in questa direzione vengono programmati, che c’è qualche piccola missione militare europea in giro per il mondo, ma si tratta di briciole in confronto a quanto servirebbe. Inoltre, in tutti i progetti per una difesa continentale viene ribadito che essa deve rimanere all’interno e al servizio della Nato. E questo è l’elemento che rende vana ogni ipotesi perché la Nato è un’organizzazione mastodontica la cui operatività militare può essere decisa, in ultima analisi, solo dal senior partner statunitense che, come ci spiegano gli analisti militari, è l’unico a disporre dei mezzi e delle infrastrutture per metterla in azione.
Alla difesa europea servirebbe invece un autonomo concetto strategico che individui i compiti principali, le aree di interesse e calibri in questo senso le forze a disposizione. Se pensiamo che gli Stati dell’Unione europea, complessivamente, sono secondi al mondo, dopo gli Usa, per le spese della difesa, ma certo non possiedono la seconda forza militare, ci rendiamo conto di come tante risorse vadano sprecate in duplicazioni di sistemi d’arma, frammentazione delle risorse, insufficiente collaborazione industriale.
Al nostro continente non serve, come agli Stati Uniti, un esercito enorme capace di proiettarsi in qualsiasi area del globo. Non avendo ambizioni di dominio fuori dal proprio territorio, gli europei dovrebbero dotarsi di una potenza proporzionata alle proprie esigenze. Sarebbe, per esempio, utile nel controllo dell’immigrazione illegale o, per citare un caso recente, come credibile forza dissuasiva: la Turchia, nella questione del controllo delle acque intorno a Cipro, avrebbe per esempio avuto un atteggiamento più cauto verso la Grecia se dietro di essa vi fosse stata una forza militare continentale. L’obiettivo sarebbe assolutamente all’altezza delle risorse finanziarie e delle capacità tecnologiche degli europei, se non mancasse l’elemento fondamentale, ovvero un’univoca volontà politica di realizzarlo. Manca questa e manca anche una politica estera veramente comune che scelga gli scenari in cui impiegare lo strumento militare.
Pensiamo solo se la situazione in Libia precipitasse al punto di rendere necessario un intervento europeo, agli ordini di chi si metterebbe l’esercito continentale? Seguirebbe le indicazioni della Francia, che aveva scatenato una guerra contraria agli interessi italiani, o si schiererebbe dalla parte del nostro governo che, in quel Paese, ha tuttora degli interlocutori che sono diversi e nemici di quelli di Parigi? Nel nostro continente, molto, anche troppo, è stato messo in comune, ma non ci sono speranze credibili che ciò avvenga per i settori che sarebbero veramente utili, come la difesa e pure gli investimenti nella ricerca, per ridare un autonomo ruolo da protagonista all’Europa. E così i liberali occidentalisti possono continuare a invocare la subordinazione agli Stati Uniti, sventolando la grottesca minaccia dei cosacchi che abbeverano i loro cavalli nelle fontane di piazza San Pietro.
I francesi non hanno alcuna credibilità. Cento volte meglio una alleanza, una difesa che ha Washington come santo patrono, piuttosto di Parigi, storico nemico dell’Italia….