
Con la pandemia abbiamo assistito a cose inenarrabili, calcisticamente parlando. All’inizio la curiosità di vedere partite con gli spalti vuoti era forte e lasciava scordare il disagio. Poi, dopo un po’, la scena degli stadi vacanti metteva solo ansia e tristezza. Come un brutto film horror. Vennero così le animazioni e gli spettatori virtuali, le scenografie con gli sponsor paganti; quindi gli effetti sonori in tv, stile Pes e la pezza fu peggiore (e ancora più inquietante..) del buco.
Intanto è accaduto di tutto: squadre che non si sono presentate alle partite, come in Terza Categoria, altre falcidiate dal virus costrette a perdere a tavolino, manco in Terza Categoria. Come una danza macabra, il carosello è stato costretto a girare sempre più vorticosamente sennò sarebbe caduto il giocattolo che, pieno di debiti, economicamente insostenibile, sarebbe andato in mille pezzi.
L’ad dell’Inter Marotta ha detto che il football è sull’orlo del crac. Dovremmo provarne dispiacere? Ma manco per idea.
Sarà forse perché il pallone ha perso ogni credibilità dal momento che per vendere un prodotto – che sia l’abbonamento alla pay-tv o una (terza) maglia scrausa e improbabile oppure un bel conto sul sito delle scommesse – ormai, tranne poche e ostinate eccezioni, a fronte di uno spettacolo sempre meno divertente, il racconto sportivo s’è trasformato in un lungo e interminabile, noioso e iperbolico ben oltre i confini del ridicolo, storytelling. Che è parola inglese che sta per marchetta. O trastola. Una roba che pretende di maneggiare i sentimenti, impastarne le emozioni del lettore\ascoltatore per piazzargli un prodotto. Quale che sia. E basta, via!
Insomma, il pallone di carta e di web è quasi tutto immondizia Creepypasta di Ibra e Cr7 mentre noi, poveri fessi, cerchiamo ancora Lovecraft e Edgar Allan Poe.
E manco più nel passato possiamo rifugiarci. La celebrazione dei bei tempi che furono, ultimo rifugio dei “romantici”, è diventata un terreno pure peggiore. Si ara sempre sugli stessi prati che furono fioriti (quanti link avrò cliccato sulla storia di Giggirriva che riscatta l’orgoglio della Sardegna, sulla trasfigurazione di Maradona al San Paolo?) e lo si fa sempre alla stessa maniera sdolcinata e diabetica. Oppure si scivola nel particolarismo, nel localismo più estremizzato, con i processi di canonizzazione postumi di oscuri pedatori di ultraprovincia. “Oggi quello giocherebbe di sicuro in serie A, oggi l’Ardeatinese starebbe in Champions League”. Ma se il terzino destro era più chiatto di Aldo Fabrizi! Ma lui sì forte, altro che Roberto Carlos o Ignazio Abate.
Ora mi si chiede di scrivere del bacio che il capodelegazione della nazionale, Gianluca Vialli, ha stampato sul pallone durante una delle ultime partite dell’Italia più amorfa da quando mi ricordi. La storia di un campione, della sua malattia e via discorrendo al servizio di una nazionale che non eccita più manco il più scalcagnato tifosetto da parrocchietta e che l’ultima volta che è andata “virale” è stato perché lo sponsor tecnico s’era inventato la scemità della maglietta verde (ricordate quante accuse a chi osava criticare, tacciato di ogni delitto, dal razzismo fino al “passatismo”?).
Sinceramente, credo che non si possa essere complici di questo sistema mediatico e sportivo. Non si tratta di retorica pseudo ultras che, diciamolo sottovoce, ha stufato (alla grande) pure lei. E’ perché viviamo già in un’epoca abbastanza tele-rincoglionita da credere che i Simpsons facciano satira o addirittura facciano qualcosa, che Diletta Leotta sia una giornalista (e no, non lo è, lo ha detto pure l’Ordine), non me la sento proprio di infierire sulla tele-cretineria web-generalizzata. Me ne astengo. Per rispetto a quello che è stato Vialli, sia chiaro e perché mi sono talmente stufato della retorica attorno, contro, dentro, fuori, circa, intorno, da ogni lato del calcio che non ne posso più.
Non si può offrire a questo mondo di magliari l’ennesima foglia di fico dietro cui continuare a vivacchiare e guadagnare piazzando, con la scusa della “passione” (degli altri) ciarpame da comprare; non se ne può più di gente che ti dice quali siano le emozioni giuste da provare, di cosce, seni, super-hot-gallery, di tamponi prima e aeroplani poi di Lotito, santificazioni dell’ennesimo bimbo prodigio a cui stroncare la carriera in nome dei clic, dei soldi subito, degli “ahò semo d’a Roma“, delle “(sotto)Scale del Calcio”. E’ già abbastanza triste vedere Totti prestarsi ai siparietti per vendere detersivi e Del Piero fare il simpatico appresso agli uccellini.