Un tunnel senza fine. Sono trascorsi 10 anni dall’ultimo trionfo italiano nella massima competizione europea, estemporanea conquista d’un calcio nostrano, già da tempo, con le spalle al muro. Ricercare le cause d’una tale inversione di marcia richiederebbe un’impegnativa analisi che esula dal semplice campo, basti allora dire che le dinamiche soggiacenti al gioco sono quelle stesse che hanno modificato irrimediabilmente la nostra società. I vari Moratti e Berlusconi sono lontani ricordi e il preponderante ingresso di capitali e proprietà straniere stanno tratteggiando un nuovo ordine, sicuramente ancora troppo giovane per dirsi stabile. Un dato, però, è certo: le squadre italiane non spaventano più nessuno. Un gioco prevedibile, imprigionato da dettami tattici troppo spesso paranoici, una mancanza di fiducia nell’estro e nella freschezza, un ambiente incapace al cambiamento e all’autocritica, ma sopratutto una lentezza imbarazzante nelle gambe e nel pensiero, fanno di noi degli avversari innocui. Servirebbe una rivoluzione, ma quando se ne è tentata una (Sarri), è stata immediatamente soffocata dall’incompetenza di tutte le pedine del sistema.
L’Atalanta non basta. Per quanto sia l’unica società a sforzarsi di proporre bel gioco, incontra inevitabilmente le sue carenza storiche ed economiche. Lo 0-5 subito dai Reds ne è sintesi evidente. La filosofia proposta da Gasperini resta in ogni caso seria. I Bergamaschi stanno segnando la strada da seguire rifuggendo le logiche dominanti, ma le regine del nostro calcio non sembrano volerla seguire.
Gli spiragli di luce sono sempre meno, e se la Juventus del fermo condottiero di Livorno sprizzava certezze, queste si dissolvevano in un nonnulla al cospetto dell’ennesima squadra al servizio del talento. Il ‘predestinato’ Andrea Pirlo sta mostrando più confusione che altro, cambiando modulo ossessivamente e non valorizzando le pedine a sua disposizione. Dare in mano ad un assoluto emergente una squadra che ambisce a vincere tutto è l’ennesimo tentativo disperato di rinascita. Il grande regista ha già deluso profondamente l’ambiente con scelte al limite dell’assurdo: Bernardeschi terzino, privare il centrocampo di una mente, sostituzioni in corso d’opera improvvisate ed infine un Dybala spaesato, alla ricerca perenne d’uno spazio che sia suo.
La mancanza di soldi e quindi di qualità hanno portato ad un’estremizzazione del controllo, unica soluzione che pareva poter soddisfare la brama incontentabile di trofei del tifoso medio italiano. Il 3-5-2 di contiana fattura ne è il più fulgido esempio, assolutamente senza scrupoli nel perpetrare la sua vocazione all’abbattimento di ogni tensione estetica (vd. Eriksen). L’Inter ha raccolto pochissimo e, con la sconfitta rocambolesca contro questo fragile Real, è a un passo dall’ennesimo insuccesso. Conte s’è mostrato nel post partita quieto e rassegnato, come se la Champions sia terreno di ovvie sconfitte. La sua logica inaccettabile del ‘ristorante da 10 euro’, tristemente, non è cambiata d’una virgola.
Il modo di stare in campo è spesso specchio del popolo che lo propone, come sosteneva Gianni Brera. Nel quadrato di gioco gli Italiani si sono fatti Tedeschi: rigidi, calcolatori, torvi, ed i Tedeschi si sono fatti Italiani: estemporanei, fantasiosi, al servizio del presente. Un’unica differenza: loro, nell’esserlo, non temevano nulla. La nostra paura si fiuta in tutta Europa, dalle calles assolate dell’Andalusia sino ai grigi shipyard di Liverpool. La fragilità dell’organismo si rende assolutamente evidente dalla mancanza di orgoglio del sistema stesso, che, vedendo una Lazio di ritorno con due pareggi da Brugge e San Pietroburgo, grida al miracolo. Impossibile mettere in dubbio le tante assenze che falcidiano sistematicamente gli aquilotti, ma questa non può divenire scusante e poi motivo d’elogio, soprattutto contro compagini, siamo franchi, mediocrissime. Il PSV versava in condizioni disastrose quando ha battuto il Napoli, e nessuno se ne è stupito.
Si deve imparare a convivere con questa pandemia, traendone nuova forza, linfa vitale e non deprimente rassegnazione ed alibi continui.
Si deve abbandonare questa mentalità reazionaria ed abbracciare il cambiamento dimostrandosi capaci di adattamento al divenire, perché, come insegna l’evidenza, è proprio la stasi il primo sintomo d’una morte imminente.