Colazione da Tiffany con Speranza. Per riassumere con un tweet d’ironia lo strano caso del libro “Perché guariremo” (Feltrinelli) – senza una virgola dopo la congiunzione e senza nemmeno un punto interrogativo dopo il verbo – apparso nelle librerie poi ritirato e di fatto rimasto nel guado. Roberto Speranza è Holly alla ricerca del suo posto nel mondo (della politica) che lo metta a riparo dalle sue “paturnie” e lo trova nel governo di Giuseppe Conte come ministro della Salute. Purtroppo non scrive Truman Capote, ma un politico che sognava la Holden e quando arriva una pandemia coglie l’occasione per scrivere il libro che desiderava da tempo: ci mette dentro l’Erasmus, il sogno d’Europa, Capossela, Guccini, le partite della Roma e «la resilienza del popolo italiano», mentre ci racconta il dramma dello scorso marzo. Insopportabili le descrizioni del paesaggio, del Palazzo, e dei momenti. Il più sbagliato degli instant-book, dove alterna un diario delle riunioni di governo e degli incontri con tutte le sue ordinanze – che tornerà utile per le prossime commissioni d’inchiesta che ci saranno quando tutto finirà – ma senza ironia andreottiana: «Chiudere non è stato facile. Fin da subito, so che riaprire sarà difficilissimo». Attraverso le pagine di Speranza – il nome purtroppo evoca una attesa fiduciosa che viene disattesa nella realtà – scopriamo cose ormai storicizzate come la cattiva distribuzione delle mascherine per le scuole: «a settembre saremo l’unico Paese al mondo che, con la riapertura delle scuole, consegna a ogni studente, agli insegnanti e a tutto il personale 11 milioni di mascherine chirurgiche al giorno» (sicuro?); i buoni sentimenti dei suoi colleghi di governo, «un serio gioco di squadra», con elogio anche alle esterne Mara Venier e Barbara D’Urso «per l’appoggio»; le sue passeggiate per Roma col ministro della Sanità cinese, Ma Xiaowei, parlando di Federico Fellini – era solo novembre –; e soprattutto delle previsioni rosee che non si sono avverate, dei giudizi lusinghieri per il commissario Arcuri – che in realtà si stava avvitando sui bandi per le nuove terapie intensive – «esercita con risolutezza tutti i poteri che la legge gli ha attribuito, senza avere paura di assumersi enormi responsabilità» (come se fosse uno che passava di là per caso). C’è un candore bambino e una inopportunità gigantesca. Ogni italiano sogna di allenare la nazionale, di vincere Sanremo o di diventare la Ferragni, già meno di scrivere un libro, Speranza, tra questi ultimi, non ha resistito alla proposta di Feltrinelli e si è consegnato a un vicolo cieco. «Ciascuno può star bene solo se anche gli altri sono messi nelle condizioni di star bene». C’è quel nesso del chiacchiericcio, come direbbe Moravia, tra Speranza e Holly: parlare di tutto, senza dire assolutamente niente o dirlo male, come quando racconta di essere finito in una indagine di sieroprevalenza del ministero su un campione omogeneo di italiani: «Speranza Roberto? È stato selezionato per un’indagine del ministero della Salute».
Non essendo Truman Capote abbiamo avuto un libro di ambizioni letterarie irrisolte e punte di realismo magico: «l’Italia ha una delle sanità pubbliche migliori del mondo e lo ha dimostrato», veramente? Anche la ricerca del vaccino con il giro di telefonate ricorda l’infallibile ispettore Clouseau: «a maggio, siamo ancora fermi al palo».O quando nel giro di due pagine si loda per il Nobel Paul Krugman che elogia l’Italia (per attaccare Trump) sulla gestione, ma chiude con «poi arriva l’estate, la stagione dei balli e degli abbracci. E la curva comincia a risalire», in fondo come diceva qualche capitolo prima: «siamo una nazione con il senso delle priorità e dei valori. Un paese sano». Ci sono anche gli auspici del ministro, i suoi progetti che scrive «sono già realtà»: «ospedali di comunità, uno ogni 50mila abitanti, con 20 posti letto ciascuno, presidi poco diffusi ma ad alto potenziale proprio perché destinati a colmare, in particolare, il vuoto tra rete ospedaliera e le comunità» (a pagina 202 c’è l’autoassoluzione per i tagli negli anni Novanta, quando il suo partito inseguiva gli orizzonti del welfare blairiano e Ken Loach lo diceva in ogni festival italiano che erano errori enormi), le «centrali operative territoriali» per smistare le richieste, un «ammodernamento senza precedenti di tutte le nostre strutture ospedaliere. Parliamo di cose concrete», tutta la pagina 218 è un capolavoro da “E.R. – Medici in prima linea”, smentita dalle storie che riportano i giornali ogni giorno. Speranza ci regala pure una regola confuciana fondamentale alla quale nessuno aveva pensato: «La sanità funziona così. Più investi in prevenzione oggi, più risparmierai domani su tutto il resto». A parte il punto al posto dei due punti che crocifigge l’editor, se la sua squadra di “fortissimi” (come direbbe il maggior antropologo italiano, Checco Zalone) lo avesse letto, gli avrebbe sconsigliato la stampa, ma anche una moglie, un fratello, un amico: «Robe’, lassa perde». Invece, la narrazione ha vinto, su tutto, anche sulla realtà della curva dei contagi. «Calma, ce la faremo, quando ne usciamo vivi cambiamo tutto e faremo i conti con tutto». Era marzo a pagina 134. (da Il Mattino)
I nostri ministri non perdono mai una occasione per vergognarci di loro!