Riprendiamo alcuni stralci di un interessante e bellissimo articolo scritto da Alberto Giannoni e pubblicato da Il Giornale in merito alla tremenda strage della scuola di Gorla, a Milano. Un atto scellerato, una follia disumana che costò la vita a 184 bambini la cui unica colpa fu quella di trovarsi a studiare, tra i banchi di scuola, nel bel mezzo di una guerra senza regole né umanità. Giannoni ha il merito di aver restituito voce ai sopravvissuti di una strage dimenticata. Il perché non è difficile intuirlo.
Era una bella giornata, la guerra pareva quasi finita, ma l’incursione aerea alleata di una formazione partita da Foggia, una volta mancati i suoi obiettivi, invece di scaricare l’arsenale in aperta campagna o nel mare Adriatico decise di sganciarlo su case, negozi e officine della periferia di Milano. Erano le 11.29 quando una bomba cambiò per sempre la vita di questo pezzo di città, colpendo la scuola elementare «Francesco Crispi» e uccidendo 184 bambini, i loro insegnanti e alcuni genitori accorsi per portarli in salvo.
Una delle testimonianze
Giancarlo Novara aveva 7 anni ed è l’unico a essersi salvato fra quanti si trovavano nella scuola. «Eravamo sulle scale e suonò il primo allarme – ricorda – ci hanno inquadrati per portarci in salvo. Arrivati all’uscita suonò il cessato allarme e in quel momento bombardarono. Una bomba passò dal tetto ed entrò nei rifugi, mi estrassero dalle macerie dopo le 2 del pomeriggio, la gente di Gorla scavava e un capo pompieri aprì con un piccone la parete. Mi caricarono su un motocarro portandomi in Francesco Sforza. Mi misero in mezzo ai morti ma un prete che passava si accorse che ero vivo. Portato in sala operatoria, avevo i denti inchiodati dallo shock e un sasso che mi soffocava. I calcinacci mi avevano bruciato le palpebre, tanto che pensavano che sarei rimasto cieco. Mi svegliai dopo 5 giorni di coma».
Un altro sopravvissuto ha ricordato
Anche Sergio Francescatti aveva 7 anni. Tornò su a scuola per recuperare il suo cappotto e questo gli valse la vita. Incontrò uno scolaro più grande che lo aiutò: «Con il soprabito sul braccio e la cartella nell’altra mano comincio a scendere le scale al suo fianco. Si chiamava Ambrogino». Seguirlo fu la sua salvezza.
Fa male l’oblio. Fa malissimo. I sopravvissuti hanno spiegato
Le storie di piccoli martiri sono strazianti, e per troppi anni la strage è rimasta in un limbo fra dolore e oblio, a rischio d’essere dimenticata: «Per parecchio – racconta Francescatti – è stata considerata come una delle tante cerimonie, presa un po’ sottogamba, ignorata dalle autorità, mandavano qualcuno del Comune e finiva lì. Per Marzabotto o altre vicende era diverso. Noi volevamo solo che fosse ricordata non meno delle altre. Solo con l’impegno di questi ultimi anni ci siamo riusciti». Una delusione è la cancellazione della cerimonia davanti al monumento: «È sempre, sempre, sempre stata fatta» osserva Novara. «Il nostro ricordo è indelebile – osserva Graziella – Io magari dimentico una cosa di due minuti fa, ma non questo, ricordo tutto. Ho sempre detto che avrei voluto più attenzione dalle autorità a Roma – riflette – Ma già dall’altra parte di Milano non sanno cos’è successo. Nel nostro piccolo abbiamo fatto il possibile».