Vasco Rossi contro i radical chic. Su Robinson del 18 luglio 2020, la popolare rock star si schiera contro i falsi militanti, e rivendica il suo anarchismo libertario. Quest’ultimatraccia era stata in passato evidenziata da un corsivo di Angelo Mellone sulle colonne del Secolo d’Italia.
Questa volta, sull’inserto culturale di Repubblica, Vasco – intervistato da Luca Valtorta – si sofferma su come ha attraversato gli anni Settanta. E offre un racconto senza filtro, intenso, vero, scevro dal bisogno di essere riconosciuto dalle lobbies progressiste passate dalle barricate studentesche al camerierato verso i nuovi potenti.
“Insieme alla Paola, la mia prima storia seria, facevamo parte di un gruppo di teatro di strada. Eravamo gli Indiani metropolitani: ci ispiravamo al Living Theatre e creavamo le nostre pieces con dei deliri vari. Poi ho incominciato a leggere i libri di Bakunin. Facevo parte degli anarchici a quei tempi, non ero con Potere Operaio, LottaContinua, cose così, perché secondo me, chiamarsi Potere Operaio e fare lo studente aveva qualcosa che non tornava…”. E poi spiega le ragione del suo dissenso rispetto a queste organizzazioni che si distinguevano per settarismo e odio verso gli avversari politici: “Stessa cosa Lotta Continua: Lotta Continua finché vai a scuola e basta, la lotta finisce”.
Contro i radical chic del tempo
“Io avevo dei compagni che si mettevano la giacca per andare all’università, poi tornavano a casa, si cambiavano, si mettevano i vestiti da fricchettoni con le borsone e andavano a vendere le collanine in mezzo alla strada. Capisco: era tutto molto divertente ma era molto anche un gioco e allora chiamarsi Lotta Continua mi sembrava sinceramente esagerato… Per questo non ho mai condiviso le loro lotte, le loro idee”.
La spinta per il cambiamento
“Noi invece pensavamo che dovevamo cambiar e noi stessi per essere migliori, per aver autocontrollo”.
Il sogno da paracadutista
“Pensa che quando sono andato a fare la visita per il militare avevo indicato i paracadutisti perché volevo vedere se avevo l’autocontrollo per riuscire a buttarmi giù da un aereo. Non me ne fregava niente del fascismo latente che poteva esserci in mezzo. Da anarchico che si autolimita da solo, senza bisogno che ci sia la polizia, volevo mettere alla prova le mie capacità: la mia libertà finisce dove inizia la tua. Pensieri che ai tempi vivo in maniera molto forte e convinta. Chiaramente un’utopia”.
Il credo di Vasco
Poi crescendo le visioni cambiano anche se di fondo mai completamente: sto sempre dalla parte di quelli che hanno bisogno e non di quelli che sfruttano. Libertà, autocoscienza e responsabilità; queste sono le cose in cui credo”.
Impossibile arruolare dunque Vasco nelle truppe cancellate del conformismo. Meglio ascoltare le sue note e inebriarsi della sua esortazione a vivere in pieno la libertà del proprio tempo.