Ho letto un libro affascinante. L’autore è Marco Risi, il bravissimo regista di, tra l’altro, Mery per sempre (1989), Ragazzi fuori (1990) e Tre tocchi (2014). Il libro s’intitola Forte respiro rapido (Mondadori, pp. 253, euro 18). È un racconto della sua vita col papà Dino, uno dei genî del nostro cinema, nato nel 1916 e morto nel 2008. Un rapporto lungo – si sono visti anche il giorno della morte di Dino, subitanea – e caratterizzato da una legge dal papà imposta al figlio, che la manifestazione dell’affetto doveva essere minimizzata, passata sotto understatement, quanto più esso fosse profondo.
“Questo era tipico suo ed è anche tipico mio: a qualcosa di serio, di pensoso, mai dar seguito con qualcosa di ancora più serio e pensoso, ma alleggerire con uno sberleffo, con una battuta. Non, come si potrebbe pensare, per accantonare, per allontanare, ma per rendere questo pensiero, proprio nel contrasto, ancora più profondo.” E battute di Dino il libro ne riporta formidabili.
Ricordiamo intanto alcuni dei principali films di Dino; almeno i miei preferiti. Il vedovo (1959), con Alberto Sordi e Franca Valeri; Il mattatore (1960), con Vittorio Gassman; Una vita difficile (1961), con Alberto Sordi; Il sorpasso (1962), intensamente tragico, con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant; La marcia su Roma, con Gassman e Ugo Tognazzi; I mostri (1963), con Gassman e Tognazzi; Il gaucho (1964), con Gassman; Operazione San Gennaro (1966), con Totò e Nino Manfredi; In nome del popolo italiano (1971), con Tognazzi e Gassman; Profumo di donna (1974), con Gassman; La stanza del vescovo (1977), con Tognazzi e Ornella Muti; episodî di films a più voci, tra i quali I complessi (1965) e I nuovi mostri (1977). La semplice, e parziale, enumerazione, è probante.
Marco Risi non si limita al racconto del papà: vario, ampio, complesso: per esempio, di quando, negli anni tardi, Dino incominciò a venir scambiato per Gianni Agnelli, e di come giuocava sull’equivoco. Narra di Alberto Sordi, del quale smentisce la leggendaria avarizia, rivaluta l’umana sensibilità e che giustamente giudica, dopo Totò, il più grande di tutti. Fa un vero ritratto della storia del cinema degli ultimi decennî. Per esempio, parla di Anita Eckberg, del suo amore col papà poi finito male. Poi dice della mamma, rampolla della nobiltà svizzera, la quale negli ultimi anni si ammalò di demenza senile e non riconosceva nemmeno i figli. Dino, grande donnaiuolo, la tradiva spessissimo: ella lo scacciò di casa e Dino abitò per trent’anni in un residence. Racconta degl’incubi infantili, della sua stessa vita erotica, dello zio Nelo, del fratello Carlo…
L’ho letto due volte, questo libro, tanto piacere mi dà.
*Da Il Fatto Quotidiano del 30.8.2020