La chiesa cattolica con il mezzo cinematografico ha avuto un rapporto labile, diffidente a parole ma disteso nei fatti. Non da ultimo, l’esperimento sorrentiniano di serializzare il papato creando una serie di icone laiche e pop ha dato i propri frutti. L’icona più pop e paradossale ma al tempo stesso eterna è il Don Camillo tratto dai romanzi di Guareschi. Il parroco di Brescello è una figura autentica, sempreverde icona del Cattolicesimo sociale, ancorato però alla tradizione, realista e pragmatico.
Cambiano i tempi. Pasquale Squitieri, infatti, seguendo un’onda fin troppo entusiasticamente sessantottina, con il film d’esordio Io e Dio delinea il ritratto di un prete scisso tra tradizione, istanze sociali e questioni affettive, realizzando, nonostante tutto, un affresco degno di Pellizza da Volpedo.
Un altro ritratto del mondo ecclesiastico in cambiamento è Don Giulio, interpretato da Nanni Moretti nel film orso d’argento al festival di Berlino La Messa è finita. Nanni, molto prima di Habemus Papam, offre la voce e il volto ad un prete intrappolato in una rete di inquietudini esistenziali ma non per questo refrattario alla ricerca di un senso.
Il cinema fa da sponda, dunque, al racconto dell’intimo e del reale. E questo fattore, infatti, la Chiesa sembra averlo capito bene, soprattutto tramite esponenti del calibro di Angelo Arpa, non solo sacerdote ma anche instancabile critico cinematografico ed esperto di cinema. Se avesse un altro curriculum sarebbe tranquillamente definito come “agitatore culturale”. Gesuita amico e sostenitore (cosa non di poco conto, visto il contesto di provenienza) di Federico Fellini, insegna Filosofia presso l’Istituto scolastico dei Gesuiti. Sue sono le idee dei primi cineforum, compresa la fondazione del cineforum di Genova.
Padre Angelo Arpa scopre che la propria vocazione può esplicarsi anche attraverso la frequentazione da diverse latitudini del cinema, visto come uno strumento che origina simultaneamente uno specifico linguaggio in alcuni casi con i connotati di una specifica forma d’arte. Il cinema non è solo immagine, ma anche un mezzo per scandagliare le profondità, arte figurativa che descrive i sommovimenti culturali del quotidiano. Il mezzo cinematografico sviscera l’antropologia umana e, al tempo stesso, ne forgia una potenzialmente nuova. Il cinema italiano, proprio grazie al neorealismo, in maniera effervescente sincronizza il proprio spirito con la descrizione dell’esistenza.
Il canone di rappresentazione del sociale sembra dunque aver trovato il proprio canale di trasmissione e Arpa non sembra affatto sordo a questo richiamo, traducendo in dibattito vivo le intuizioni derivanti dallo schermo.
Non si è di certo risparmiato. Ha prodotto in maniera avventata e avventurosa Era notte a Roma di Roberto Rossellini. È stato consulente per la versione cinematografica dell’opera di Umberto Eco, In nome della rosa, per la regia di Jean Jacques Annaud.
Il rapporto con Genova si esplica anche nella persona del Cardinal Siri, con cui ha sorvegliato l’integrità artistica della Dolce Vita, l’affresco felliniano sul boom economico, la rapida evoluzione della società dei consumi a metà tra il clima plumbeo e piallato di una Roma divisa tra nobiltà decaduta, società dello spettacolo e affreschi clericali. Come preambolo disse al Cardinal Siri, giocando d’anticipo: << (…) Eminenza, non è un film facile. Per certi versi è un film inquietante, ma nuovo per lo stile e le suggestioni. È imprevedibile l’impatto che avrà sulla gente, ma il pubblico andrà a vederlo in massa (…)>>. Durante lo scandalo conseguente all’uscita del film, Arpa ha difeso il maestro di Rimini, rendendosi inviso, pare, a certe gerarchie Vaticane.
La poliedricità della sua figura, del suo sguardo fugge ogni rivolo moralistico e ideologico a dimostrazione del fatto che il cinema è un mezzo di analisi ma anche di richiamo artistico e spesso lo scandalo che deriva da una determinata modalità di fare arte non solo è figlia del proprio tempo ma è anche, altrettanto spesso, negli occhi di chi guarda.