Ancora prima che concetto filosofico, il ritorno alla terra sta diventando una possibilità economica, professionale e culturale per legioni di (più o meno) giovani. La grande città sembra aver cannibalizzato tutto, a partire dal dibattito politico. Lo iato tra centri urbani e periferia è alla base di una delle contraddizioni più evidenti degli ultimi anni, il sistema economico basato sul terziario non è riuscito ad assorbire la manodopera in uscita dalla fabbriche.
In quei posti lontano dalle capitali, in quelle aree interne che ciclicamente ritornano nei libri dei sogni proposti dalla politica, si affronta un vero mostro: quello dello spopolamento che va assumendo una dimensione sempre più drammatica. L’Italia non è il Paese dei grandi raccordi anulari e nemmeno quello delle circonvallazioni: ma dei campanili. E questi stanno morendo; ma forse qualcosa può cambiare.
Rinascita per l’agricoltura?
Non è un mistero che l’agricoltura – che per decenni ha subito l’ingiusto destino di esser confinata a lavoro non proprio appetibile – si stia riprendendo una seria rivincita. Non fosse altro, come ha scritto Pietrangelo Buttafuoco, perché in un mondo caduco e tremulo di precarietà può offrire la solida certezza dell’alternarsi delle stagioni, del lavoro che non può finire né fermarsi mai. Nemmeno se c’è il virus.
Ma che lavoro è, oggi, quello dell’agricoltore? Cercheremo di parlarne con chi, alla terra, ha dedicato e continua a dedicare la sua esistenza. Il viaggio di Barbadillo parte, non a caso, dalla Basilicata, nell’azienda agricola di Emilio Vesia.
“Conduco un’azienda agricola convenzionale situata nella collina materna, vocata in prevalenza alla cerealicoltura. L’azienda si estende su quasi duecento ettari, tra conduzione e proprietà, su cui sono coltivati i cereali fondamentali per l’alimentazione: grano, orzo, avena, oltre alla parte destinata a maggese nudo per le rotazioni. Purtroppo produciamo pochissimi legumi, ma si tratta di una scelta forzata. Dato che i nostri terreni insistono su colline che sono in prevalenza argillose, non abbiamo grossissime rese. Si attestano su medie che vanno dai 25/40 q ettaro per il grano, 30/50 per l’orzo e 25/30 l’avena. Ma in compenso abbiamo un ottimo prodotto, che viene maturato in maniera naturale dal sole che da queste parti a giugno la fa da padrone. Inoltre pratichiamo, per la maggior parte, minima lavorazione non finanziata, così da garantire il minor impatto ambientale possibile”.
L’amore per la terra non è un luogo comune
Ma quali valori ispirano il lavoro dell’agricoltore?
“Prima di tutto l’amore per la terra; e che sia un amore sconsiderato che ti permetta di perdonare anche le mancanze, le delusioni. La natura non è una macchina, la terra certe volte si ribella e nonostante le cure, il lavoro profuso e l’impegno dedicato, non dà i frutti sperati. Ma bisogna superare lo scoramento e per farlo non c’è altra soluzione che amare la terra, nonostante tutto. L’amore per la terra è un sentimento che a me è stato trasmesso da bambino ma che va portato avanti man mano che si cresce. Da solo, però, non basta. La natura va rispettata, la terra non può essere trattata senza le dovute attenzioni. Il rispetto è fondamentale. Che sia riguardo ai tempi delle stagioni e delle lavorazioni, che sia dovuto la terra stessa o a chi occupa e condivide con con te quella stessa terra e mi riferisco alla fauna e la flora. Anche se talora è un po’ troppo invasiva e, per inciso, va detto che le istituzioni dovrebbero fare di più per regolamentare e diminuire i problemi causati, per esempio, dagli ungulati. In certe zone questa è una vera piaga che costringe troppi ad arrendersi”.
“Infine, vanno tenuti in grossa considerazione altri due valori che per forza debbono accompagnarci nel lavoro che svolgiamo: parlo di fede e speranza, valori profondi e troppo difficili, talvolta, da spiegare”.
L’equilibrio è tutto
Tanto è cambiato negli ultimi decenni. Quale è il ruolo dell’agricoltura oggi?
“Il ruolo dell’agricoltura è sempre stato fondamentale per il genere umano. Oggi, a differenza del passato in cui tutti erano, più o meno, agricoltori e quindi in grado di soddisfare il fabbisogno di cibo mantenendolo integrale e genuino, siamo sempre di meno. Siamo rimasti in pochi a sfamare il mondo e l’agricoltura è dovuta cambiare proprio per sopperire a questo bisogno. L’agricoltura è dovuta diventare intensiva e questa è stata una vera e propria metamorfosi. Se da una parte è stata la soluzione dal punto di vista quantitativo, dall’altra ha recato danni all’ambiente e al consumatore, nonché anche agli agricoltori stessi. Ecco perché è necessario trovare il giusto equilibrio tra quantità e qualità prodotte. Purtroppo dobbiamo costatare che le leggi, sia nazionali che comunitarie, purtroppo non sembrano dare il giusto valore al settore agricolo. Questo è il ruolo “principale”, ma ce n’è un altro che è meno visibile anche se è, in moltissime zone del nostro Paese, assolutamente fondamentale: noi agricoltori siamo i manutentori, i custodi dei territori. Sopperiamo a troppe mancanze. Ecco perché forse andrebbe fatto di più per le aree interne”.
Una miniera inesauribile
L’agricoltura può rappresentare una piattaforma utile al rilancio dell’economia, e quindi del riscatto, delle aree interne?
“Certo! E ciò va sempre rimarcato e ricordato anche a chi fa orecchie da mercante. Il ruolo dell’agricoltura nelle aree interne e svantaggiate è fondamentale. Unisce molteplici aspetti che servono a conservare quello che purtroppo l’urbanizzazione selvaggia e lo spopolamento delle campagne hanno fatto perdere. Mi riferisco al contatto con la natura, davvero a 360 gradi, alla cura e alla salvaguardia degli ecosistemi. Ma pure al rilancio di quelle produzioni sane e autoctone che purtroppo stiamo perdendo e che, insieme a un sostegno concreto al turismo (vedi agriturismi) potrebbero aiutarci a ricucire quei rapporti umani e quell’approccio alla vita più naturale e semplice che rischiamo di perdere. I danni della frenesia moderna, non è un luogo comune ma è proprio un dato di fatto, possono essere curati solo se riusciamo a rivalorizzare le aree rurali del nostro Paese”.
“Credo che debbano essere premiati la fatica e il coraggio di chi ancora regge e non abbandona tutto. Andrebbero presi a esempio, per il bene di tutti. Se si trovano il giusto equilibrio e nuovi stimoli concreti, l’agricoltura marginale, offre, insieme a quella più intensiva, uno sbocco economico che accontenterà pochi ma che riuscirà, come fa da sempre, a sfamare tanti”.