La lettura de I demoni di Fëdor Dostoevskij mi ha impegnato per due settimane, ben 883 pagine nella edizione dei classici Feltrinelli. L’autore scrisse il romanzo tra il 1870 e il 1872 pubblicandolo a puntate sulla rivista “Il messaggero russo”. I demoni è uno straordinario romanzo corale. Al suo valore artistico-letterario si somma il suo valore filosofico. I personaggi, non solo quelli maggiori, ma anche la folla dei personaggi minori, sono ritratti con grande efficacia, a tutto tondo, sono vivi, palpitanti.
Attraverso le parole del cronista/narratore il lettore si immerge nell’atmosfera storica, sociale, culturale della Russia di fine Ottocento e segue, come in un film, i loro dialoghi, le loro azioni, i loro pensieri più riposti. Non è un caso se la profondità della sua analisi psicologica fu apprezzata dal filosofo Nietzsche al punto che ne Il crepuscolo degli idoli scrisse che Dostoevskij «è l’unico psicologo da cui avrei qualcosa da imparare». Nietzsche, comunque, lo considerava “un suo valido avversario” (Gianlorenzo Pacini). La sua morale aristocratica non poteva non opporsi alla morale cristiana del romanziere russo. La figura di Cristo, nei cui confronti il filosofo tedesco aveva un rapporto di amore-odio, lo legava però con un filo sottile a Dostoevskij. Non aveva questi messo in bocca al personaggio di Satov (che si rivolge a Stavrogin) la sua stessa professione di fede? Quel «ma non è stato lei a dirmi che, se le fosse stato matematicamente dimostrato che la verità era fuori di Cristo, lei avrebbe preferito restare con Cristo piuttosto che con la verità?» Ma è soprattutto il grande tema del nichilismo a interessare Nietzsche, che aveva ricopiato su un quaderno vari passi de I demoni, in particolare quelli riguardanti Stavrogin, in cui vedeva rappresentato il perfetto nichilista. Così ne parla forse con una lieve nota ironica Kirillov nel romanzo: «Stavrogin se crede, non crede di credere. Se invece non crede, non crede di non credere.» In un commento al personaggio di Stavrogin Nietzsche aveva scritto: «La coerenza appartiene al nichilista. Intorno a questo tempo egli si abbandona alla dissolutezza. Non si sottovaluti la logica di ciò, bisogna essere filosofi per capirlo. Le idee sono illusioni, le sensazioni sono la realtà ultima… È la suprema fame di verità che consiglia la sregolatezza».
Nel romanzo Dostoevskij affronta il tema del nichilismo non in astratto, non teoricamente, ma incidendolo, per così dire, nella carne e nel sangue dei personaggi, uomini tormentati, dominati da una loro parziale unilaterale verità. Il nichilismo è la perdizione di chi ha perso Dio. C’è, per il romanziere russo, una filiazione diretta tra il pensiero liberale e progressista e il nichilismo. L’essenza che li accomuna è l’individualismo. L’individuo, che non riconosce alcunché sopra di sé, che si arroga il diritto di legiferare sul mondo e non ammette limiti, non è forse il prototipo del perfetto nichilista? «È la nostra stessa idea – dice nel romanzo Stepan Trofimovic, padre del nichilista Pëtr Stepanovic – quella che noi per primi abbiamo seminato, coltivato, preparato, e cos’altro potrebbero dire di nuovo questi altri, dopo di noi? Ma, Dio mio, com’è espresso tutto ciò, com’è stato travisato e mutilato!»
Il nichilismo nel romanzo
Nel romanzo sono rappresentati tre aspetti del nichilismo. C’è il nichilista “politico”, quello “filosofico” e quello etico-esistenziale. Il primo è raffigurato in Pëtr Stepanovic, il rivoluzionario privo di scrupoli, che non arretra dinanzi all’omicidio, che antepone a tutto la propria ambizione e la propria volontà di potenza e concorda col dottrinario Sigalëv che l’unica soluzione al problema del futuro assetto sociale, se si vuole garantire l’eguaglianza e impedire agli uomini superiori di emergere, è data da un illimitato dispotismo: «Tutti sono schiavi e sono uguali nella schiavitù. Nei casi estremi si ricorre alla calunnia e all’omicidio, ma l’essenziale è l’uguaglianza. (…) Gli uomini superiori (…) bisogna scacciarli o giustiziarli. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato» È qua prefigurato il terrore stalinista. Il nichilista “filosofico” è Kirillov, che tutta la vita è stato tormentato dal problema dell’esistenza di Dio e conclude per la negazione di Dio e per l’affermazione della libertà dell’uomo: «Ci sarà un giorno l’uomo nuovo, felice e superbo. L’uomo nuovo sarà quello a cui risulterà indifferente vivere o non vivere (…) L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per vivere e per non uccidersi, in questo sta tutta la storia dell’umanità fino ad oggi.» Ma la conclusione che ne trae è in un certo qual modo aberrante: solo il suicidio metafisico può provare la “verità” della sua negazione di Dio. Notiamo tra parentesi come l’incipit de Il mito di Sisifo, del romanziere e filosofo esistenzialista Camus: «Vi è solo un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio», è un esplicito tributo al ragionamento di Kirillov.
La figura tormentata indifferente contraddittoria di Stavrogin rappresenta infine il nichilista etico-esistenziale. È lui l’ispiratore degli altri nichilisti per la sua coerenza di fondo. La sua cifra è l’indifferenza. Non è caldo né freddo (con una bella espressione del dialetto barese diremmo “fridd in pitt”, cioè freddo di cuore). Nulla lo entusiasma: «posso desiderare – scrive nella lettera a Dar’ja Pavlovna, poco prima del suicidio – di compiere una buona azione e ciò mi procura piacere; al tempo stesso desidero compierne una malvagia e anche in questo caso provo piacere. Ma sia l’uno che l’altro sentimento, adesso come prima, sono sempre troppo meschini, e non capita mai che siano forti.» Così nel duello risparmia la vita a Gaganov, che lo odia ferocemente, mancando appositamente i colpi di pistola, ma non si perita poi di confessare nella lettera confessione che consegna al monaco Tichon, (tra le pagine più sconvolgenti del romanzo per la loro crudezza, ed infatti furono rifiutate dalla redazione della rivista per timore della censura), le peggiori abiezioni come lo stupro di una ragazzina indifesa e il mancato intervento per impedirne il suicidio. E a nulla giova il bonario rimprovero del vescovo Tichon che gli dice: «al contrario, l’assoluto ateismo è più rispettabile dell’indifferenza mondana.» Stavrogin ha abbandonato da tempo la ricerca di qualcosa di divino o di trascendente nell’uomo, ovvero «l’aculeo angoscioso e salutare della ricerca» (Benito Mussolini). Dostoevskij a questo proposito usa una bella metafora: «la strada maestra è qualcosa di interminabilmente lungo, di cui non si vede la fine, proprio come la vita di un uomo, o come il sogno di un uomo. Nella strada maestra è contenuta un’idea, ma che razza di idea può esserci in una vettura di posta?».
La figura di Satov
Un’ultima annotazione riguarda la figura di Satov, lo studente che dopo aver professato idee socialiste e averle rinnegate per abbracciare le teorie slavofile viene per questo assassinato dai suoi compagni capeggiati da Pëtr Stapanovic. Dostoevskij nel tratteggiare questo personaggio si era ispirato a fatti realmente accaduti, all’affaire Necaev, il rivoluzionario russo che aveva messo su un’associazione clandestina ispirata alle idee di Bakunin con lo scopo dichiarato di sovvertire l’ordine costituito. Lo scrittore russo guarda con una certa simpatia a questo personaggio. Non a caso gli mette in bocca la sua professione di fede in Cristo e il suo “credo” politico: «colui che perde il legame con la sua terra, perde anche i suoi dei, e cioè tutti i suoi scopi.» Con tutte le cautele del caso potremmo annoverare Dostoevskij tra i sovranisti. Ma l’onda lunga del nichilismo non risparmia nemmeno Satov, il suo fervore slavofilo si spinge oltre fino a fare di Dio (nel quale probabilmente non crede) uno strumento di potenza del proprio popolo.
Il tema del nichilismo sarà poi ripreso da Dostoevskij e troverà la sua più compiuta espressione nel suo capolavoro I fratelli Karamazov, cui lavorò dal 1887 al 1881 (anno della morte dello scrittore). Stavrogin anticipa potentemente Ivan Karamazov. Il nichilismo però nel frattempo da teoria di piccole èlite è diventato la “religione” di massa del nostro tempo.
Il nichilismo è la rappresentazione esasperata dei nostri tempi venuta fuori a causa della paura e angoscia di perdere il nostro destino. Bellissima recensione. Acutissima e non facile riflessione del testo e dei personaggi del romanzo. Dostoevsky grande autore universale. Lodevole studio del lettore.
Bell’articolo. Complimenti.
Il nichilismo è presente tanto nel Liberalismo quanto nel Progressismo, ed è più moderato e contenuto nel primo, radicale e più spinto nel secondo. Di sicuro però è molto presente nel Liberismo. Ambedue le ideologie sono chiaramente contrarie alla morale cristiana, che è la migliore fra tutte quelle espresse dalle altre religioni. E l’Europa odierna, avendo rinunciato alla morale cristiana ed essendo perciò infettata di nichilismo, è sull’orlo della sparizione per questo.