L’anno scorso le Edizioni di Ar hanno dato alle stampe, con testo originale a fronte, un volume insolito sin dall’autore, che in effetti non è un uomo ma un codice di leggi, precisamente il Codice Teodosiano, opera gigantesca del V secolo e.v. che prende il suo nome dall’imperatore romano d’Oriente Teodosio II. Ovviamente non di tutto il Codice si tratta, ma solo di parte del libro XVI, che riguarda in particolare la repressione dei culti ‘pagani’. Da qui il nome completo dell’‘autore’: “Codice teodosiano XVI”. Anche il titolo, Dementi e insani, riprende un’espressione contenuta nel celeberrimo Editto di Tessalonica del 380, compreso sempre nel libro XVI del Codice. E a proposito della già ricordata repressione del ‘paganesimo’, essendo ovviamente i cristiani ben consapevoli che per colpirlo al cuore bisognava vietarne i riti sacrificali, è quello che fecero con leggi via via più restrittive, tutte appunto riportate nel volume.
Ma a sua volta il sacrificio apre l’immane orizzonte del sacro, le cui manifestazioni sono irriducibilmente sfuggenti, in quanto metamorfiche, molteplici e variabili, come testimoniava Eliade che, studiandone la fenomenologia, osservava che forse alla lettera tutto – oggetti, gesti, funzioni fisiologiche, giochi, eccetera – era una ierofania o poteva diventarlo. D’altronde, non a caso presso i Greci poteva sacrificare chiunque lo desiderasse e avesse i mezzi per farlo, “anche casalinghe o schiavi” (Burkert), tranne che nelle cerimonie ufficiali e pubbliche. E in quanto ai luoghi, ogni spazio poteva diventare un santuario, uno hieròn; bastava che gli venisse riconosciuto un carattere sacro, per la particolare bellezza o numinosità del paesaggio o per la presenza di qualche segno che manifestasse il divino (tombe, alberi, rocce, sorgenti), e anche la casa privata era un luogo di culto.
Ora, è un dato di fatto che la persecuzione della prassi sacrificale abbia sancito il tramonto del ‘paganesimo’. La “fine del sacrificio” (Stroumsa) segna l’avvenuto trionfo della rivoluzione cristiana e, insieme, il sequestro del sacro da parte della religione. Pertanto, c’è desacralizzazione solo dalla prospettiva religiosa, che confisca il sacro pretendendone il monopolio e confinandolo nel trascendente, dove oltretutto finisce per ipostatizzarlo, per ridurlo a un feticcio intoccabile e indiveniente. In altre parole, è soltanto la pretesa di rinchiudere il sacro nel trascendente a desacralizzare l’immanente. Per cui, ogni declino della religione libera il sacro, al contrario di chi invece, sbagliando, ritiene che la desacralizzazione sia provocata proprio dal collasso della religione. Ma c’è di più, perché in realtà, una volta che ci si pone fuori da ogni prospettiva religiosa, ci si accorgerà che il sacro non è mai veramente scomparso, e la stessa eclissi del sacro, data già per imminente negli anni Sessanta del secolo scorso (ne parlava Sabino Acquaviva), era nient’altro che una illusione prospettica, dovuta al fatto di continuare a pensare al sacro in termini di religione e di trascendenza, e – cosa ancora più grave – di non riconoscerne la natura ubiquitaria e inafferrabile, che di conseguenza, come notava Elvio Fachinelli, fa sì che il sacro sia sempre ai margini della propria possibile eclissi e, insieme, aggiungo io, sempre sul punto di ricomparire, di manifestarsi nuovamente. Per un nuovo inizio del sacro.
Damiano, forse si capisce di più’ il testo in latino che il tuo commento in italiano “colto”. Puoi tradurre cortesemente, per gli sfortunati incolti che hanno letto il tuo articolo con interesse, il testo di questo pezzo in italiano corrente? Si intuisce, se non ho capito male, che parli di cose interessanti. Grazie