
La pellicola nordamericana è stata presentata il 30 agosto 2019. La distribuzione del film negli Stati Uniti, ad opera di Walt Disney Studios Motion Pictures, è iniziata lo scorso 15 novembre. In Italia il giorno prima.
Inizialmente avrebbero dovuto essere scelti come interpreti Tom Cruise e Brad Pitt, con la sceneggiatura affidata a Jason Keller, ma il progetto non è decollato. A febbraio 2018 è stato annunciato che James Mangold avrebbe diretto la pellicola. Le riprese sono iniziate il 30 luglio 2018 e si sono svolte in California, a New Orleans, ad Atlanta, a Savannah, a Statesboro, ed in Francia a Le Mans. Il film ha ottenuto quattro candidature ai Premi Oscar 2020, nelle categorie Miglior Film, Miglior Montaggio, Miglior Montaggio Sonoro, Miglior Sonoro. Una eccellente pellicola drammatica. Attori: Christian Bale, Matt Damon, Jon Bernthal, Caitriona Balfe, Noah Jupe, Josh Lucas, JJ Feild, Tracy Letts, Ray McKinnon, Marisa Petroro. Sceneggiatura di Jez Butterworth, John-Henry Butterworth, Jason Keller; fotografia di Phedon Papamichael; musiche di Marco Beltrami e Buck Sanders.
Le Mans ’66. La grande sfida (Ford v Ferrari, titolo originale) racconta la gran rivalità sportiva tra Ford e Ferrari, in particolare per quanto allora concerneva la famosa 24 Ore di Le Mans. Detroit, 1966. La Ford, uno dei Big Three dell’auto USA, è in crisi di vendite, nonostante il lancio ed il successo commerciale della Mustang nel ’64. Henry Ford II, succeduto al timone della Company alla morte del nonno, nel 1947, chiede ai suoi manager di non ripresentarsi al lavoro se non con un’idea vincente. Lee Iaccocca, artefice della Mustang, una ‘sportiva economica’ che nel primo anno battè ogni record di vendita, sfidando lo scetticismo generale, suggerisce di costruire un’auto per vincere la 24 Ore di Le Mans, la corsa più famosa al mondo, in modo da rilanciare l’immagine del marchio Ford; ma ci sarà da fare i conti con quel coriaceo, inaffondabile Enzo Ferrari, che con le sue straordinarie vetture lì vince ininterrottamente dal 1960, che ha già rifiutato nel maggio 1963 l’offerta americana di acquisto del pacchetto di maggioranza.
La mitica Le Mans era da anni diventata territorio riservato della scuderia italiana, al punto che Ford, con una battuta, dichiarò che sarebbe stato più economico acquistare la Ferrari piuttosto che mettere in piedi un team in grado di batterla! In realtà nel 1963 la Ford Motor Company contattò Enzo Ferrari, in difficoltà finanziarie, che ricevette dalla voce di Lee Iacocca una proposta allettante d’acquisto della maggioranza, che venne però rifiutata nel momento in cui
Ferrari (cosa per la verità un po’ ovvia) capì che avrebbe perso ogni potere decisionale sul reparto corse. È un periodo d’oro per il ‘cavallino rampante’, che vince la 24 Ore nel 1958 ed in seguito si impone dal 1960 al 1965. Fu questo “sgarbo” del Drake di Maranello all’aristocrazia dell’auto a stelle e strisce a dare inizio a quella che è stata definita la ‘Guerra Ferrari-Ford’ (non a caso il titolo originale del film è Ford v Ferrari) ed a schiudere le porte al successivo accordo di Enzo Ferrari con la Fiat, finalizzato nel 1969. Il rifiuto dell’offerta, e gli apprezzamenti personali che gli sono riferiti dai collaboratori, rendono furioso Henry Ford II – fautore delle competizioni come mezzo pubblicitario per le proprie vetture – che incita i propri collaboratori a creare finalmente un’auto vincente. La questione era divenuta personale. Per il magnate nordamericano, Ferrari lo ha gabbato per ‘alzare’ il prezzo della sua creatura verso altri interessati, a partire dagli Agnelli.
A capo della squadra arriva Carroll Shelby (1923-2012), progettista, ingegnere, ex corridore, titolare dell’omonima scuderia, vero creatore della famosa ‘Cobra’, vincitore a Le Mans nel 1959 con l’Aston Martin, costretto quindi ad abbandonare le piste a causa di una patologia cardiaca. Al suo fianco c’è il fidato collaudatore Ken Miles (1918-1966), pilota inglese dal carattere difficile. I due sviluppano un modello ambizioso, innovativo, in contrasto con i vertici aziendali, ma potendo contare con l’appoggio decisivo di Ford. Nasce così nata la Ford GT40*. Quella che viene narrata nel film è un’impresa storica, con la Ford, dopo una complessa e mai terminata ‘messa a punto’, che riuscì finalmente a porre fine al dominio della Ferrari a Le Mans, sul Circuit de la Sarthe, a 185 km al sud-ovest di Parigi, il 19 giugno 1966; dopo 360 massacranti giri, collocando tre vetture ai primi tre posti; che lo stesso Henry Ford volle, con tipica tracotanza yankee, giungessero assieme al traguardo, come prova di forza verso l’odiato ‘moscerino’ italiano Ferrari… Ford si aspettava una vittoria ex aequo – la GT40 dei neozelandesi Chris Amon e Bruce McLaren, e quella pilotata da Ken Miles e Denny Hulme – ma il trofeo fu invece assegnato al primo dei due equipaggi: quello che dei due era partito più indietro sulla linea di partenza, a termini di regolamento e, quindi, aveva percorso una maggiore distanza a parità di tempo. Sconfitte irrimediabilmente le Ferrari 330 P3.
Il critico Federico Gironi ha commentato in Le Mans ’66. La Grande Sfida. La recensione: un western automobilistico, con la piste al posto della Frontiera:
‘Raccontando una pagina dello sport automobilistico entrata nella leggenda, tutta vista dal punto di vista degli americani, James Mangold parla di un conflitto tutto insito nella cultura statunitense, fin dalla sua fondazione: quello che tra l’individuo e le sue pulsioni individualiste e anarchiche, e la società organizzata.’
James Mangold, che forse confeziona il suo film migliore, addentrandosi in una storia di passione e ambizione, ove il sistema alla fine vince, per il bene di tutti, ma premiando il merito dei singoli, per Gironi è:
‘un bravo affabulatore, uno che porta avanti con coerenza un’idea classica e romantica di cinema, e l’attenzione all’elemento umano – quello che oramai, nel mondo delle corse, è infinitamente meno influente di allora – la dimostra anche nel modo in cui sceglie e dirige gli attori. (…) Firma un film intriso di benzina e olio motore. Altro che Ford contro Ferrari, come suggerito dal titolo originale. La Ferrari c’entra pochissimo, ha un ruolo più che marginale, e lo stesso vale per il suo fondatore, il commendator Enzo. Ma d’altronde, questo è un film di americani e americano, americano fino al midollo. Tanto americano da aver portato il genere cinematografico americano per eccellenza, il western, negli anni Sessanta del Ventesimo secolo, tra auto da corsa, piste, prototipi, chiavi inglesi, benzina e pneumatici. Il conflitto di Le Mans ’66. La Grande Sfida è quella tra i due protagonisti Carroll Shelby e Ken Miles – piloti, meccanici, appassionati di velocità, ma soprattutto veri cowboy che hanno scambiato i cavalli con le auto da corsa – e il mondo spietato del capitale incarnato nella Ford, nella grande corporation, nel suo pingue titolare e nei suoi innumerevoli executives, tutti (o quasi) pronti a ogni nefandezza per difendere le logiche dell’industria, della pubblicità e del marketing. E non è un caso che, invece, la domanda che risuona all’inizio e alla fine del film riguardi invece l’identità, l’intimo del soggetto’.
Il grande paradosso del western e del ‘Mito della Frontiera’ è: ‘sempre stato quello di aver esaltato e reso fondativi dell’essere americani un individualismo che il sistema è alla fine in grado di incanalare dentro le sue esigenze e le sue logiche. E quindi, ecco che il film di Mangold, raccontando una pagina di sport divenuta mito e storia, racconta esattamente questa contraddizione: l’attrito tra l’individualismo anarchico del singolo, e le esigenze di un sistema altrettanto individualista, e spietato con chi vuole contraddirne i meccanismi e compromettere le esigenze. Non c’è però da spaventarsi: James Mangold è sempre stato prima di tutto un grande narratore di storie e di personaggi, e alla fine Le Mans ’66 funziona anche se, messe quelle riflessioni da parte, si guardano solamente loro, i protagonisti, gli uomini, gli esseri umani. Funziona nel raccontare l’ossessione di chi ha scelto la velocità come mestiere, che si traduce in una ricerca quasi mistica di perfezione. Funziona nel ritrarre un momento di grande epica sportiva senza mai scadere nella retorica a buon mercato’.
(https://www.comingsoon.it/film/le-mans-66-la-grande-sfida/55792/video/?vid=31958).
Il focus principale è rintracciabile nella sfida contro il tempo e sé stessi dei due straordinari protagonisti principali, il furbo, capace, esperto designer Carroll Shelby (vincitore egli stesso di una 24 Ore in terra di Francia, come accennato) di Matt Damon e lo scorbutico, arrogante, grande conoscitore di motori, non giovane (47 anni), ma di eccezionale talento, il britannico Ken Miles di Christian Bale. Che Shelby, dopo aspri contrasti, riesce a far accettare come uno dei piloti della Scuderia Ford nelle competizioni ufficiali, prossima Le Mans inclusa.
Gli americani sono bravissimi a raccontare le loro favole cinematografiche. Hollywood da sempre palesa la tendenza a manipolare le storie, nel tentativo di renderle più spettacolari. Del resto, al cinema, come nel Far West, tra la leggenda e la realtà, deve vincere la leggenda. Film questo su Le Mans 1966 non epocale, ma dignitoso, godibile, molto professionale, con buon ritmo, ottima fotografia, dialoghi essenziali, efficaci, con dosi di drammatismo non esasperate. Tuttavia, i caratteri degli interpreti risultano un po’ tetragoni, per nulla sfumati; ‘filologicamente disinvolto’, secondo le consuetudini di Hollywood, con le semplificazioni – ad esempio, Enzo Ferrari, peraltro non ben ritratto, non era mai presente sui circuiti all’epoca e non poteva esserci alla 24 Ore del ’66; le GT40 non arrivarono allineate al traguardo, cosa che poi fecero ‘per vendetta’ le tre Ferrari 330 P4 sul traguardo di Daytona, disposte in parata all’arrivo della 24 Ore di Daytona del 6 febbraio 1967 ecc. – e certe forzature del linguaggio cinematografico, dei meccanismi di significazione e di comunicazione.
Film, in sintesi, di passioni forti, pervaso dal molto ‘american’ senso della sfida, della competizione, della tensione per il successo, della lotta aspra all’interno della stessa struttura; e per vincere, ove la scienza motoristica pura (o la diplomazia) non sia sufficiente, è ammesso il ricorso alla ‘forza bruta’ (argomento che a noi europei non può piacere), la cui epitome è un po’ il grosso, potentissimo motore V8 di 7 litri di cilindrata della Ford GT40 Mk II, che si aggiudica quattro edizioni consecutive della 24 Ore, anche se la vettura risulta pesante, poco maneggevole, i freni troppo sollecitati si surriscaldano, l’enorme coppia scaricata al suolo (la ‘forza bruta’) provoca problemi di aderenza ecc. Questioni meccaniche irrisolte che, forse, condurranno alla morte proprio uno dei due eroi dell’impresa del 1966, Ken Miles.
La ‘Shelby American’ riprese, infatti, dopo quell’edizione di Le Mans, il lavoro di collaudo e sviluppo con Miles come capo collaudatore. La ‘J-car’ presentava diverse innovazioni aerodinamiche, una sezione posteriore tronca ed un rivoluzionario telaio formato da pannelli a nido d’ape, che avrebbero dovuto alleggerire ed irrigidire la monoposto. Il 17 agosto 1966, dopo una giornata intera di prove al Circuito di Riverside, nel caldo clima estivo del deserto della California meridionale, Miles si avvicinò alla fine della pista di 1,6 km, percorrendo la discesa ad una velocità di circa 320 km/h, quando perse il controllo dell’auto che uscì di pista, ribaltandosi e prendendo fuoco. Morì sul colpo.
A raccontare la rivalità tra Ferrari e Ford in quegli anni sono stati pure un libro di A.J. Baime “Go Like Hell”, pubblicato nel 2009, ed un documentario del 2016 “The 24 Hour War”, diretto da Nate Adams e Adam Carolla. Del 1971 è il celebre “Le 24 Ore di Le Mans”, diretto da Lee H. Katzin; il film fortemente voluto da Steve McQueen (grande appassionato di auto, moto, velocità, collezionismo) nella parte del pilota Michael Delaney, al volante di una Gulf Porsche 917. Per l’occasione alcune cineprese furono installate su di una Porsche 908. L’auto guidata nel film da McQueen era la Gulf Porsche 917K, n. 20. Il film ebbe scarso successo al botteghino e costituì un fiasco, ma a distanza di anni è ricordato come una stringente testimonianza su uno dei più intensi periodi della storia motoristica e su una delle gare più famose; uno tra i migliori film di corse automobilistiche mai girati, soprattutto per il suo notevole realismo. Perfetto McQueen.
Il mondo delle gare motoristiche tramanda le gesta di eroi senza paura, di macchine leggendarie, di sofferenza, di gloria, di epica, di vittoria, di morte. La 24 Ore di Le Mans riassume tutto ciò meglio di ogni altra corsa e la sua storia ci ricorda una fatica immensa, tragedie, sfide, trionfi di caparbietà al limite del sovraumano, sin dagli anni Venti, quasi 100 anni fa, quando dominavano le Bentley, le Lorraine-Dietrich, le Alfa Romeo, le Bugatti, fino alle ultime edizioni dominate dalle ibride Toyota e Porsche.
La ‘Triplice Corona’ (The Triple Crown of Motorsport) è un trofeo immateriale, ma più ambìto di ogni altro nel settore. Significa vincere, nella carriera, le tre corse leggendarie: il Grand Prix di Monaco, le 500 Miglia di Indianapolis, la 24 Ore di Le Mans. Graham Hill (1929-1975) è l’unico che finora c’è riuscito, tra i 19 che hanno gareggiato nelle tre compertizioni. Tra i piloti in attività, potrebbero farcela Juan Pablo Montoya e Fernando Alonso, ai quali manca una vittoria.
La 24 Ore, organizzata dal francese Automobile Club de l’Ouest (ACO), è oggi la gara più importante del ‘Campionato del Mondo Endurance’. La prima gara si svolse il 26 e 27 maggio 1923. Vinse una Chenard & Walcker ad una media di poco superiore ai 92 Km/h. Nel 2010 una Audi R15 TDI ha percorso ben 397 giri, alla media di 225,446 Km/h**. Record, per ora.
La gara si disputa su un tracciato semi-permanente della lunghezza di oltre 13 chilometri, utilizzando per buona parte strade aperte alla normale circolazione per tutto il resto dell’anno. Nel corso degli anni diverse sezioni appositamente costruite hanno sostituito le strade normali, in particolare le Curve Porsche che escludono la vecchia e pericolosa parte della Maison Blanche. Il Circuito Bugatti è la parte permanente del tracciato. Gareggiano contemporaneamente vetture di vario tipo, suddivise in diverse classi. Oggigiorno, ogni auto dispone di una squadra di tre piloti. Prima del 1970 erano permessi solo due piloti per auto, e nei primi tempi era permessa anche la partecipazione a piloti solitari. La gara prendeva il via con quella che è diventata nota come la “partenza Le Mans”: le auto allineate, a spina di pesce, su un lato della pista, i piloti sull’altro. Quando la bandiera francese si abbassava i piloti attraversavano di corsa la pista, entravano nelle auto e partivano. Questa procedura divenne rischiosa dopo l’introduzione delle cinture di sicurezza. Perciò la tradizionale pratica venne interrotta nel 1970, quando i piloti partirono già seduti nelle auto, con le cinture saldamente allacciate. Successivamente, la partenza dal lato della pista venne sostituita da una partenza in corsa, come a Indianapolis, con la pace car. (Da https://it.wikipedia.org/wiki/24_Ore_di_Le_Mans; Mario Donnini, Le Mans. 24 ore di corsa. 90 anni di storia, 2013).
Il ‘Campionato del Mondo Endurance FIA’ (FIA World Endurance Championship) è un campionato per vetture Sport Prototipo e Gran Turismo impiegate in gare di durata, organizzato dall’Automobile Club de l’Ouest (ACO) di Francia, e disciplinato dalla Federazione Internazionale dell’Automobile.
Questa competizione ha sostituito a partire dal 2012 la precedente Intercontinental Le Mans Cup, disputatasi nel 2010 e nel 2011. Nel 1992 si disputò l’ultima stagione agonistica del soppresso ‘Campionato del Mondo sport prototipi’. Il primo campionato di ‘resistenza’ a livello mondiale fu detto Campionato Mondiale sport prototipi, in Italia definito il ‘Mondiale Marche’. Nacque nel 1953 e comprendeva le 24 Ore di Le Mans e Spa, la 12 Ore di Sebring, ma anche importanti gare stradali; la Mille Miglia e la Targa Florio in Italia, la Carrera Panamericana in Messico. Nel corso degli anni a questo campionato hanno partecipato varie Case automobilistiche e numerosissimi piloti con una gran varietà di auto: prototipi, vetture sport, gran turismo ecc. Dal 1972 entra in vigore un regolamento che privilegia i prototipi con cilindrata limitata a tre litri, denominati ‘Sport Gruppo 5’. Questo tipo di vettura, per decisione della FIA, è molto vicino alle monoposto di Formula 1 con cui condivide parti strutturali e motori: protagoniste di questo periodo sono la Ferrari, la Matra, l’Alfa Romeo e la Mirage. Nel 1991, però, la FIA impone nuovi regolamenti: macchine da 750 kg. con motori aspirati da 3.500 cm³. L’intento era di ridurre i costi, ma il risultato fu completamente l’opposto. Nel 1993, dati i pochissimi iscritti al mondiale, la Federazione soppresse il mondiale. La 24 Ore di Le Mans si continuò comunque a disputare, ma per vent’anni non ha fatto parte di nessun Campionato. Nel 2012 rinasce ufficialmente il ‘Campionato del Mondo Endurance’.
(Da https://it.wikipedia.org/wiki/Campionato_del_mondo_endurance)

Nonostante i grandi successi sportivi, la Ferrari cadde in una grave crisi in seguito all’abolizione delle corse su strada, dopo il disastro durante la 24 Ore di Le Mans del 1955 – con 84 vittime e 120 feriti è l’incidente più grave nella storia dell’automobilismo – e la tragedia di Guidizzolo del 1957 – con la morte del pilota spagnolo Alfonso de Portago, del copilota statunitense Edmund Gurner Nelson e di nove spettatori – che pose fine alla ‘Mille Miglia’. L’eliminazione di tali gare ridusse la clientela della Ferrari, principalmente composta da facoltosi gentleman-driver , che si contendevano la ridottissima produzione di vetture da competizione con lo stemma del cavallino. A parte Roberto Rossellini, che nel ’54 regalò una Ferrari 375 MM Speciale Coupè, carrozzata Pinin Farina, alla moglie Ingrid Bergman, non erano certo molti che usavano le Ferrari come ‘automobili per tutti i giorni’! In tale contingenza, Henry Ford II decise di acquistare la Ferrari in modo da farne la ‘Squadra Corse’ della Ford. Condotta da Lee Iacocca, nel maggio 1963 la trattativa si arenò sulla conditio sine qua non posta da Ferrari già ricordata. Il naufragio delle trattative innescò un’aspra contesa tra la Ferrari ed il colosso statunitense. La FIAT intervenne nel 1965 annunciando la collaborazione tra le due aziende allo scopo di attuare un comune programma per la costruzione di propulsori sportivi che decretò la nascita del nuovo marchio ‘Dino’. Gianni Agnelli aveva sempre avuto un debole per l’Ing. Enzo… In quel modo la Ferrari trovò il necessario appoggio per la produzione in piccola serie delle sue vetture da turismo. Nel 1969 la Ferrari entrò a far parte del Gruppo Fiat, ma mantenne comunque la propria autonomia nella “Gestione Sportiva”, fino al decesso del medesimo Ferrari, nel 1988.

Nel 1961, nel tentativo di diminuire le velocità per le macchine di Formula 1, la cilindrata fu ridotta da 2.5 a 1.5 litri, non sovralimentati (essenzialmente le allora vigenti regole per la Formula 2), una formula che rimarrà invariata nei successivi cinque anni. Ferrari dominò nella stagione 1961, l’anno della tragedia di Monza e della morte di Von Trips, quando i team britannici furono sconfitti dalla maggior potenza del motore italiano. Phil Hill divenne il primo pilota statunitense ad aggiudicarsi il titolo mondiale, vari anni dopo seguito da Mario Andretti. Emersero nuove tecnologie (le auto di F1 erano fino ad allora rimaste quasi le stesse dell’anteguerra). Nel 1962, la Lotus mise in pista la Lotus 25, spinta dal nuovo motore Coventry-Climax FWMV V8. L’automobile era dotata di un telaio composto dalla monoscocca in alluminio. Questo rappresentò un notevole passo in avanti tecnologico, a partire dall’ introduzione del motore centrale. Non appena vettura e motore divennero affidabili, iniziò l’era della Lotus e di Clark. Jim vinse il titolo per due volte in tre anni, nel 1963 e nel 1965.
La stagione 1966 vide un “Ritorno di Potenza” in Formula 1, dato che cambiarono le regole per i motori ancora una volta, ammettendo motori di 3.0 litri aspirati o di 1.5 litri sovralimentati. Quegli anni di ‘piccole cilindrate’ segnarono però come un divorzio definitivo tra le corse nordamericane ed europee. Anche se le successive collaborazioni non mancarono, così come l’interscambio di tecnologie e conoscenze (basti pensare ai telai Dallara della IndyCar Series), anche se Chinetti continuò ad importare negli USA Ferrari per attori e finanzieri (oggi con prezzi da capogiro), ognuno aveva preso la sua strada. Diverse tradizioni motoristiche, realtà industriali, priorità, mentalità, gusti (al di là della preferenza statunitense per i grandi circuiti ovali…). Il Campionato sport prototipi e la sfida Ford-Ferrari contribuirono a mantenere per qualche anno viva la fiamma di una competizione. In effetti, anche come ricordo personale, quegli anni dal 1965 al 1972, con l’ingresso in forze della Porsche (e della Matra), rimasero straordinari. Poi Ford
e Ferrari, quest’ultima nel 1974, si ritirarono dalla massima categoria endurance. Anche se il motore Ford Cosworth equipaggiò poi un paio di vetture vincenti.
Sopravvenne pure la crisi energetica in quegli anni, che condizionò negativamente ed infine condannò la ‘Canadian-American Challenge Cup’, la CanAm. Un altro vano intento di coinvolgere le realtà industriali e sportive di America, Europa, Giappone. Una categoria di gare di velocità disputate tra Canadà e Stati Uniti dal 1966 al 1974 e poi dal 1977 al 1986. Lola Racing Cars, McLaren, poi Porsche e Shadow dominarono la categoria. BRM, Ferrari, Ford e March pure parteciparono alla CanAm. Peraltro, gli anni ’70, pur tra difficoltà, inevitabili alti e bassi, furono complessivamente anni straordinari per la Casa di Maranello, che tornò al vertice dopo la vittoria di John Surtees nel 1964. Niki Lauda vinse il Campionato di F1 nel 1975 e ’77 e la Ferrari si aggiudicò tre titoli costruttori.
In ogni caso, ravvivata dalle immagini del film di James Mangold, in noi, oggi anziani, permane viva la nostalgia di quando i meravigliosi, eccitanti bolidi rossi sfrecciavano ad oltre 350 Km/h. sui lunghi vialoni di Le Mans (le Porsche 917 toccarono i 400…), in quei favolosi anni della ‘Guerra Ford-Ferrari’ e poi della intensa rivalità Ferrari-Porsche, che legioni di appassionati guardavano e commentavano a lungo. La saga infinita delle auto col ‘cavallino rampante’…
NOTE
* La Ford GT40 è una vettura da corsa prodotta dalla Ford dal 1964 al 1969. Pensata come rivale della Ferrari nelle gare di durata, vinse per quattro volte di seguito, dal 1966 al 1969, la 24 Ore di Le Mans. Henry Ford II, il presidente della Company di Detroit, all’inizio degli anni sessanta decise che la sua azienda si sarebbe dovuta confrontare con la concorrenza sui campi di gara. Pertanto nel 1962 dapprima appoggiò la scuderia di Carroll Shelby nelle gare statunitensi, scontrandosi anche con la Scuderia Ferrari nelle gare statunitensi valevoli per il mondiale per vetture sport e notando che la piccola azienda italiana era molto più vincente e godeva di ottima attenzione da parte della stampa. Resosi conto del tempo e dei costi necessari a raggiungere il livello della Ferrari, su suggerimento di uno dei suoi dirigenti di punta, l’italoamericano Lee Iacocca, decise di acquistare la casa italiana e farne il “reparto corse” della Ford ma, dopo l’interruzione della trattativa venne deciso di produrre una propria vettura, dando inizio a quella che i cronisti sportivi dell’epoca denominarono la Guerra Ferrari-Ford. Per questo scopo venne creata una piccola sussidiaria in Gran Bretagna, la ‘Ford Advanced Vehicles’, con sede a Slough. Si cominciò anche a trattare con la Cooper, la Lola e la Lotus. La Cooper non aveva maturato esperienze nelle corse Gran Turismo e nella realizzazione di prototipi. Inoltre in quel periodo le sue prestazioni in Formula 1 stavano calando. La Lotus propose il suo progetto Europa. Alla fine venne scelta la proposta della Lola. La ‘Lola Racing Cars’ è stata una casa di automobili da corsa fondata negli anni cinquanta da Eric Broadley a Bromley, South London, nel Regno Unito; successivamente, nel 1970, la sede venne spostata a Huntingdon. Ad effettuare i test furono i veterani delle corse americane Carroll Smith e Carroll Shelby che preferirono il progetto di Eric Broadley che puntava all’adozione di un motore V8. La Ford cominciò a lavorare a stretto contatto con la Lola e alla fine ne risultò una vettura che venne denominata GT40. L’acronimo “GT”, in quanto pensata per la nuova Gran Turismo, sebbene poi non verrà mai omologata per tale categoria ed il numero “40”, pari ai pollici di altezza della vettura misurata al parabrezza (1,02 m), come richiesto dal regolamento. Per motorizzare l’auto vennero usati diversi motori con cilindrate che andavano da 4,2 L (lo stesso usato dalla Lotus 34 e Lotus 38 alla 500 Miglia di Indianapolis) fino a 7 L (di derivazione NASCAR). La nuova sportiva della Ford venne presentata all'”Auto Show” di New York del 1964: il modello iniziale era dotato di un V8 di 4,2 litri derivato dalla serie. Nel frattempo, alla Lola (incaricata della progettazione dello chassis) ferveva il lavoro per approntare le due vetture da schierare alla 1000 km. del Nürburgring, poi portate a tre per la 24 Ore di Le Mans; in entrambe le occasioni senza successo: il progetto presentava gravi carenze aerodinamiche e strutturali, al punto che durante la 24 Ore di Le Mans emerse la tendenza del corpo vettura a generare portanza ed a sollevare verso l’alto l’asse anteriore alle alte velocità. Nel 1965, la GT40 fu completamente riprogettata in migliaia di particolari, e fu dotata di un V8 di 4,7 litri più potente ed affidabile; si era sulla strada giusta: la GT si aggiudicò la prima vittoria, conquistando la 2000 km. di Daytona. Con l’esperienza acquisita, l’anno successivo, nel 1966 la GT40 Mk II (con cilindrata elevata a circa 7000 cm³ ed una migliore affidabilità) dominò la 24 Ore di Le Mans e conquistò tutti e tre i gradini del podio, superando per la prima volta la media dei 200 km/h sull’arco delle 24 ore di gara. Nel 1967 partecipò alla gara la versione Mk IV, frutto di un progetto nuovo, con telaio e carrozzeria differenti rispetto alle versioni precedenti, vinse nuovamente la 24 Ore di Le Mans, toccando anche una punta velocistica di 343 km/h, la più alta sino ad allora. Alla gara parteciparono, oltre a 4 Mk IV, anche 3 Mk II e 3 Mk I; la sua più seria avversaria, la Ferrari 330 P4, non riuscì a contrastarla. Nel 1968 un cambio nel regolamento limitò la cilindrata delle vetture Sport a 5,0 litri richiedendo la costruzione di almeno 50 esemplari: ritornarono in auge le vecchie Mk I con cilindrata aumentata fino a 4942 cm³ e potenza di circa 415 CV. Nel 1968 partecipò, e vinse, alla 24 Ore di Le Mans una Mk I da 4,9 litri di cilindrata portata in pista dalla scuderia ‘J.W. Automotive Engineering Ltd’., che gareggiò contro le auto della categoria prototipi, il cui motore era limitato per regolamento a 3.0 litri di cilindrata, ma che potevano contare su un peso più contenuto. L’anno seguente si rinnovò la sfida tra le GT40 e i prototipi, i motori di cubatura minore impiegati da questi ultimi, non riuscirono a contrastare il poderoso motore V8 Ford, la GT40 condotta da Ickx e Jackie Oliver vinse la corsa in volata per pochi secondi sulla Porsche 908, mentre le velocissime ma ancora acerbe Sport Porsche 917 furono carenti di affidabilità. Nell’edizione successiva, 1970, dominata dalla Porsche 917, la GT40 si dimostrò ormai obsoleta.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Ford_GT40)

FOTO 6
(Ford GT40 Mk I, road version, 1965)
FOTO 7
(Ferrari 250 LM, V12, 3285 cm3, l’ultima auto italiana a vincere a Le Mans, 1965, scuderia NART di Chinetti)
FOTO 8
*già ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay