Ci sono libri che ci fanno comprendere che niente sarà come prima dopo la relativa lettura. Libri che, acutamente, segnano i cammini nelle storie letterarie di ognuno di noi. Sono esperienze di lettura che continuano a vivere dentro. Come l’esperienza che il Saggiatore ci permette di fare con la recente pubblicazione di Milo de Angelis, ‘Millimetri’ ( Giugno 2013, pagg.72, euro 12). Per chi si impegna a capire i destini della poesia contemporanea, la raccolta di De Angelis, già stampata nel 1983, assume oggi differenti significati.
Soprattutto riconosciamo che, con ‘Millimetri’, ha principio la post-poesia. Cioè, con quest’opera, molti scrittori/lettori di versi comprendo che non vi è la possibilità di un altro inizio per la storia della poesia. Ma qual è l’origine di tale conclusione? Solo una risposta: La manifestazione poetica di questo autore milanese sublima la disgregazione semantica e celebra la forma letteraria senza alcun obbligo di comunicazione.
Anche per chi considera con distacco critico ‘Millimetri’, questa raccolta indica che i luoghi della poesia sono ormai inabitabili. E la lingua dei versi è ormai priva di vita. Tuttavia, queste considerazioni, provate leggendo le poesie di de Angelis, non fanno tacere in noi l’urgenza di partorire nuove condizioni antropologiche del ‘fare poesia’. Da qui, la ricerca di ‘andare oltre’ il magistero poetico di De Angelis; oltre per focalizzare disparate condizioni intellettuali/linguistiche all’interno della vulva arrossata e frenetica della crisi contemporanea.
Non ci sono prospettive consolatorie nell’ opera di De Angelis. Ed è la sua stessa formazione a confermarcelo, da sempre. Il suo Nietzsche, i suoi poeti, da Hölderlin a Rimbaud, hanno costruito in lui la consapevolezza di un tempo pietrificato e di una parola sorprendentemente disfatta. In questo senso, un’altra sua opera che canta la decomposizione, quella fisica, è il ‘Tema dell’addio’ (2004) in cui lo sgretolarsi dell’esistenza appare definitivo.
Così continuiamo a rileggere attentamente De Angelis nel quadro della contemporaneità. Lo facciamo perché la sua opera rappresenta un apice della poesia a cui però vorremmo mettere di fronte un altro picco elevato. Ma tra le pagine della contemporaneità non scorgiamo altre esperienze liriche, cioè esperienze che ci dicano che il ventesimo secolo è andato ed è giunto invece il momento in cui dare voce alla vita di un secolo, il ventunesimo, il quale sta gridando e chiedendo la difesa degli alberi e dei cieli tersi; il racconto del lavoro e delle passioni dei giovani; le parole della giustizia e del coraggio.
La poesia non può che rinascere ritornando all’assolutezza della vita, vale a dire all’assolutezza dell’ esperienza. De Angelis, all’opposto, costruisce ‘Millimetri’ proprio bruciando il rapporto vitale arte/vita/esperienza.
In questa raccolta di versi ripubblicata, l’arte della parola si presenta come un segno stupendamente algido. Ciò nonostante, in noi, uomini fluidi mangiatori nell’ osteria popolare del web, l’arte della parola dovrebbe rinascere attraverso il racconto in versi della rabbia individuale e della partecipazione collettiva .
Leggete ‘Millimetri’. Per comprendere il dramma della poesia contemporanea. Leggetelo, ma con la speranza di non essere coinvolti dalla destrutturazione sublime delle parole/contenuti di questo grande poeta. Leggetelo. E un attimo dopo aver letto questi versi, pensate alla seduzione infinita dell’ avventura artistica della parola, “La goccia pronta per il mappamondo/ e per i più sconosciuti/ nomi di ventura/ ha raggiunto finalmente una scorciatoia/ a colpi di lima/ appoggiato il bicchiere/ su un solo dito, fratello/ della prima volta. Tutto/ il campo, con le/ sue biciclette sepolte, sguizza/ parola di ventriloquo: / metà alla vittoria, metà/ all’erba in trappola. / In noi giungerà l’universo,/ quel silenzio frontale dove eravamo/ già stati.”
Questa la voce di De Angelis. Con dei versi inafferrabili. Versi che non concedono neanche l’ombra di un’ eredità minima. Così continuiamo a sentirci orfani. Come degli orfani arlecchini.