L’omologazione culturale, i salotti radical-chic, gli approfittatori con la tessera di partito, il Moravia noioso, una massa spinta a pensare nella stessa maniera, i potentati culturali, i falsi miti, l’ammucchiata di preti e politici. Ecco, Flaiano. Ecco i suoi versi intimi. Ed ecco una pagina di letteratura satirica. Chi parlerà ai giovani di Flaiano o di Guareschi, ossia di autori ironici, senza peli sulla lingua, cani sciolti di un’intellighenzia alternativa, i figli di un Altro Novecento. Dentro questi sprezzanti versi piace riconoscere lo spirito seicentesco di François La Rochefoucauld. Cioè, signore e signori, è inutile riempirsi la bocca di virtù: il più delle volte le virtù sono vizi camuffati. Con questo ritroviamo i versi di Flaiano, pubblicati con tutta la loro graffiante intensità.
Ennio Flaiano è attualissimo. Quando scriveva, “…leggiamo gli stessi libri, scriviamo gli stessi romanzi”, riempie il cuore. Così egli ricordava che l’originalità artistica fu svenduta. Oggi Flaiano avrebbe scritto versi pungenti su quei scrittori che non possono mica essere criticati, quelli che pubblicano un romanzo all’anno, quelli che balzano da uno studio televisivo all’altro. Scusate la presunzione, ma proviamo una ‘corrispondenza di amorosi sensi’ verso Ennio. Perché abbiamo letto a diciotto anni il suo ‘Tempo di uccidere.’ Perché non abbiamo preso tessere di partito. Perché, da libere cattedre, insegniamo che esiste un Altro Novecento e che una cultura intelligentemente provocatoria, fatta da intellettuali come Prezzolini, Longanesi, Montanelli e Flaiano, rimane tanto viva.
Cos’è rimasto di Flaiano? Poco. Però questa riproposizione di versi vuol dire che Ennio sapeva dove andare: voleva dirigersi verso la sincerità. E con sincerità raccontare tutta l’Italia: anche quella del 1922, con i fascisti in marcia verso Roma. Come ha scritto Marcello Veneziani, pochi anni fa, “Flaiano fu portatore sano d’italianità. Raccolse in versi nel fatidico 1968 una sequela di luoghi comuni che sono rimasti ancora intatti, del tipo Venezia è da salvare, l’edilizia è in crisi, le acque sono inquinate, i treni ritardano, gli ortofrutticoli danneggiati dall’Unione europea (allora Mec), la famiglia in crisi, il comune di Roma aumenta il disavanzo. Sembra oggi ed era mezzo secolo fa.”
(a cura di Renato de Robertis)
Ritrattino
Sessualmente confuso playboy di sinistra
legge il Vangelo e si identifica con Gesù.
Non aveva dodici anni, non frequentava donne pentite,
non abitava forse nei villaggi dei pescatori,
non prometteva ai poveri di spirito del suo partito
che il regno di questa terrà sarà loro,
il consumo, il benessere e l’industria culturale?
*
Il molto trionfa, il poco passa,
loschi sociologhi adorano la massa.
Ormai si passano la parola:
di massa ce n’è una sola.
*
Sale sul palco sua Eccellenza.
Esalta i valori della Resistenza.
S’inchina a Sua Eminenza.
La funzione è finita.
L’organo suona Bach
E il cardinale ossequiato
Riparte in Cadillac.
Che tempi tristi, disse il vecchio
e dagli occhi gli cresce
una Lacrima Christi.
Sai chi ho incontrato a Ponza?
La monaca di Monza.
Stava con il suo amico,
il cardinale Federico.
A chi può interessare
Sinceramente, le piace la merda?
Sì, qualche volta, tanto per cambiare.
Qualche volta disgusta. È meglio sempre.
Venite, su, che la merda si fredda.
*
C’era un giovane stolto di Acireale
che scriveva un romanzo sperimentale
Quando l’ebbe finito – per indice ci mise il dito
e dovettero portarlo all’ospedale.
C’era un redattore dell’Espresso
Che s’era innamorato di se stesso
Andò dal direttore e gli disse: Dottore,
vorrei fare un’inchiesta sul mio sesso.
(…)
C’era uno scrittore di Agrigento
Che voleva fare del cinema-verità.
Mangiava pesce crudo – andava in giro nudo
Per afferrare meglio una certa realtà.
C’era un poetessa oltremodo stitica
Ch’era sul letto in posizione critica.
L’amante le stava dietro – ma ella esclamo: De retro!
Il culo è riservato alla critica.
(…)
C’era un dongiovanni di stanche voglie
Che per cambiare aveva preso moglie.
La vide nuda a letto – e disse: Ci scommetto
che finirò per chiavarmela, mia mogli.
(…)
C’era un dantista pieno di cultura
che un giorno volle correre l’avventura
a letto con un pittore – si accorse dell’errore
ahi! quant’a dir qual era è cosa dura!
Venga da noi dopo cena, vuole?
(slow-fox)
Afro, Consagra, Corpora, due pupi siciliani,
un Turcato, un Maccari, angolosi divani,
l’Espresso, la moquette, la lampada svedese,
il tavolo parmense trovato a Porta portese,
un Planète, l’affiche di Toulouse-Lautrec,
le opalines ed i libri negli scaffali di tek.
Nel migliore dei mondi possibili
vivono le persone sensibili.
Questo sasso? Da Delfi. La tromba? Americana.
Guarda la signora come fa la puttana
E come fissa dritto gli uomini ai pantaloni.
Un Rosai, un Gadda, Proust, l’Oeil, Sorrisi e canzoni,
cinema, integrazione, pederastia, un wishy.
Vivaldi gira intanto sul piatto del giradischi.
Nel migliore dei mondi possibili
vivono le persone sensibili.
Ci conosciamo tutti, andiamo agli stessi pranzi,
leggiamo gli stessi libri, scriviamo gli stessi romanzi.
Ah, un’isola deserta, calda, con donne nude,
tenere un bel diario, fare la vita rude.
Flamenco? Jazz? Buzucki? Il discorso si sposta
sul sesso. E la signora accanto sembra disposta.
Nel migliore dei mondi possibili
vivono le persone sensibili.
Da ‘Tre lettere’
Mino, ricordi la marcia su Roma?
Io avevo dodici anni, tu ventuno.
Io al collegio tornavo e tu a Roma
Guidavi la squadraccia dei Trentuno.
Mino, ricordi? Alle porte di Roma
Ci salutammo. Avevi il gagliardetto,
il teschio bianco, il pugnale tra i denti.
Io m’ero tolto entusiasta il berretto
E salutavo tra un gruppo di studenti.
Mino, ricordi? Tu eri perfetto
Nella divisa da capitano.
Io salutavo agitando il berretto.
Tu andavi a Roma, io andavo a Milano.
da ‘Autobiografia del blu di Prussia’, Rizzoli, 1974