Nella realtà attuale le grandi narrazioni, centrali sulla scena politica del secolo scorso, sono state spazzate via dalla visione mercatista, che ha assunto le fattezze: «di unico indice di valutazione della realtà» (p.7). A ricordarlo è Gennaro Malgieri, nella Prefazione ad un libro di Luigi Iannone, Roger Scruton, pubblicato nella collana Profili da fergen editore (per ordini: info@fergen.it, pp. 122, euro 10,00). Si tratta di un libretto snello, atto a presentare l’opera di uno dei più significativi pensatori conservatori contemporanei, Roger Scuton. Alcuni dei suoi lavori sono già tradotti nella nostra lingua, per cui il volume di cui discutiamo, in fondo un’autobiografia intellettuale del poliedrico intellettuale inglese, può svolgere il ruolo di guida ed introduzione al suo mondo ideale. Cosa può significare «conservare» in un mondo centrato sulla mercificazione universale, in una realtà sociale ed economica in cui ogni limes, confine ed identità, vengono abbattuti? Questa è, in sostanza, la domanda che il nostro autore si pone nelle sue opere. La risposta che egli fornisce a tale quesito è semplice: «conservare», in una realtà siffatta, è azione spontanea, naturale, consustanziale alla difesa della nostra umanità.
Scruton ha sviluppato una visione, a tutto tondo, sul mondo e la vita, ricorda Iannone. Pur vivendo in una fattoria nella campagna del Wiltshire, ha trasformato la sua residenza in luogo di incontri e di promozione culturale delle proprie idee, che nel tempo, hanno avuto ampia articolazione. I suoi interessi spaziano dalla filosofia alla musica, dalla politologia all’arte, dal vino alla danza. Si è occupato perfino, data la passione per la caccia alla volpe, dei «diritti degli animali», rilevando in tema come sia in atto una progressiva umanizzazione della vita degli animali, parallela all’animalizzazione della vita umana. A suo dire, gli animali non sono latori di diritti, ma sono esseri che vanno rispettati in quanto ci accompagnano nel nostro iter di vita. E’dirimente, nella prospettiva conservatrice di Scruton, il tema dell’identità. In sua difesa, egli si è speso non solo nelle opere scritte, ma in una serie di conferenze ed incontri pubblici, durante i quali è riuscito a richiamare l’attenzione su di sé, in forza della «chiarezza epigrammatica» del suo eloquio e della sua prosa. La fama che lo accompagna è quella di rappresentante insigne del «politicamente scorretto». Sostiene, infatti, che è indispensabile ripartire dal recupero del «senso comune», di vichiana memoria, al fine di ricostruire la comunità.
Le appartenenze scaturiscono: «dalla cultura, dalla nazione e da Dio» (p. 42). L’identità va pertanto difesa dall’universalismo omologante, attraverso una modulazione dei: «valori antichi con la realtà fattuale e mitigando tutto con il “buon senso conservatore”» (p. 43). In tal senso, come ricorda Malgieri, la modernità non può più essere declinata in termini antitetici alla Tradizione: è necessario pensare, oltre ogni forma di attardato illuminismo, un’altra modernità. La Tradizione, nell’ottica di Scruton, è processo dinamico. La cosa è implicita nell’etimo stesso della parola, nella quale non si palesa solo la necessità del conservare ciò che proviene dal passato, ma le è consustanziale anche la dimensione dell’oblio, vale a dire abbandonare l’accessorio, l’inessenziale delle consuetudini. Conservare opportunamente significa porre in connessione l’eredità del passato, con i presenti e con i venturi: un conservatorismo non passatista, ma del futuro, quello del pensatore anglosassone. Esso è centrato, contro il narcisimo imperante e al di là di ogni esaltazione dell’Io, sul primato del «noi», su un’etica della comunità.
Scruton individua, inoltre, nella nazione e nello Stato-nazionale punti di forza imprescindibili per un’effettiva difesa delle identità, e al fine di superare l’empasse in cui si dibattono gli organismi sovranazionali, quali l’Unione Europea. L’Europa potrà svolgere un ruolo significativo sotto il profilo culturale, spirituale e politico quando gli Stati nazionali che la costituiscono daranno luogo a nuove alleanze, assemblate secondo le norme della «forma Trattato». In esse, ogni Stato: «mantiene la propria sovranità, ci si accorda per la difesa comune, ma i cittadini hanno maggiori margini di libertà e, se insoddisfatti, possono sempre votare per rescindere tale contratto» (p. 48). Un’Europa federata sul modello Imperiale, come nelle corde della proposta evoliana. Su questo concordiamo pienamente: un’istituzione politica siffatta agevolerebbe il recupero della partecipazione politica degli Europei, che la governance, da tempo, ha fatto venir meno. Ci convince meno, al contrario, il riferimento di Scruton agli Stati nazionali. Essi storicamente sono stati lo strumento di cui, in una prima fase, si è avvalso il liberalismo mondialista per affermarsi. Per la qual cosa, riteniamo che il «conservare» non possa venir declinato in senso liberale e/o nazionale. Si tratterebbe di una contraddizione in termini.
Riconosciamo appieno il valore di diversi punti del Manifesto della nuova Europa (di cui Iannone dice nell’ultimo capitolo del libro), redatto nel 1917 da Scruton, Brague, Spaemann, Joch ed altre personalità del pensiero controcorrente. Non pensiamo però che il liberismo possa trovare negli Stati nazionali, degli strumenti raffrenanti rispetto al perseguimento della dismisura, che gli è consustanziale, come in, Critica del liberalismo, ha mostrato Alain de Benoist. Al contrario, siamo del tutto concordi con il filosofo inglese nell’individuare nella cultura condivisa l’humus unificatore di qualsivoglia comunità. La cultura: «è connessa col bisogno umano di appartenenza e descrive un patrimonio condiviso di un gruppo sociale […] un patrimonio di arte, letteratura e pensiero che ha superato la prova del tempo» (p. 72). Essa suscita una conoscenza emozionale che fonda relazioni sociali e sentimenti condivisi. Scruton si sofferma sul declino dell’arte nel mondo contemporaneo, leggendolo quale chiaro segno dei tempi. L’arte deve tornare ad essere: «bellezza, forma e redenzione»: manifestando l’essenziale dell’ethos dei popoli europei, ci accompagnerà, segnando di sé la nostra presenza nel mondo. Un conservatorismo cosciente delle proprie radici, ribadisce del resto, con Scruton, Iannone, non può che porsi quale strenuo difensore della natura, della sua bellezza e dei suoi ritmi, stravolti dall’apprensione impositiva della Tecno-scienza.
Compito ineludibile questo, per chi pensi il mondo in termini di Tradizione, di trasmissione: non può essere lasciato, quale cavallo di battaglia, ai «gretini» di turno, al servizio permanente effettivo del globalismo.
Lo Scruton è un “green conservative” ossia un conservatore verde. Essere per la difesa dell’identità nazionale e dell’ambiente, è quanto di più coerente possa esserci. A Scruton si deve inoltre l’elaborazione del termine “oicofobia”, che è una delle più grandi malattie di cui sono afflitti i popoli occidentali, e soprattutto i partiti politici europei, soprattutto quelli filo-UE. La sinistra in particolare è afflitta da oicofobia, altrimenti non si spiega perché è immigrazionista.