Dopo la recente tournée realizzata in Argentina e Uruguay e dopo la prima nazionale andata in scena martedì 19 novembre a Udine (nel prestigioso Teatro Nuovo Giovanni da Udine), lo spettacolo “Hermanos” prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo è arrivato in Abruzzo, questa volta con due spettacoli programmati nel Teatro Studio di Lanciano a Treglio in via Abbazia.
La storia a Buenos Aires
“Hermanos” è la storia di due giovani emigranti che tra loro si chiamano fratelli, non perché siano consanguinei, ma perché sono entrambi orfani, orfani di una terra che era anche la loro madre. Siamo negli anni ’50, i due hermanos vivono in un quartiere operaio e porteño di Buenos Aires, lottano ogni giorno per non dimenticare le loro radici e per radicarsi in questo nuovo orizzonte. I due fratelli sono molto diversi l’uno dall’altro, uno è viscerale ed istintivo, l’altro è razionale e cerca di avere il controllo su tutto. L’Italia del dopoguerra ha generato e poi lasciato al proprio destino due creature così diverse: il fradi friulano e lu fratell abruzzese. I due hanno in comune la passione per la boxe e il desiderio di affermarsi. Ma il destino li metterà uno contro l’altro, il destino li farà innamorare della stessa ragazza e come altri celebri fratelli, uno si affermerà sull’altro, con il sangue. In scena Giuliano Bonanni, Chiara Donada, Rossella Gesini e Stefano Angelucci Marino. Scenografie di Claudio Mezzelani. Maschere a cura di Brat Teatro e regia di Giuliano Bonanni e Stefano Angelucci Marino. Quattro personaggi incrociano le loro vite segnate dallo sradicamento e dalla perdita di identità. Sofferenze, povertà, sogni, desideri di riscatto sociale, invidie, soprusi, paure…tutte condizioni che si avvicendano in questa particolare narrazione umana, a sottolineare che ai nostri giorni viviamo il fenomeno dell’emigrazione o dell’immigrazione (tutto dipende dal punto di vista da cui si osserva l’evento) in modo globale, dimenticandoci le singole storie, le persone e la loro individualità. Una struttura che richiama il ponte trasportatore Nicolás Avellaneda, il manufatto in ferro sul fiume Riachuelo che costituiva una sorta di porta di ingresso alla città di BuenosAires per i migranti che lì vi sbarcavano. Una pedana che raffigura un ring da boxe. Dei pannelli che rappresentano i conventillos, ovvero quella particolare edilizia urbana fatta di piccole abitazioni improvvisate con materiali di recupero, che fungevano da alloggi per i numerosissimi immigrati. Quattro maschere antropomorfe che permettono la trasfigurazione, rendendo i personaggi della vicenda dei caratteri universali. Un particolare codice espressivo nato dalle suggestioni create dai murales e dai “bamboloni” della Boca, il celebre barrio porteño contraddistinto da una forte impronta italiana. L’utilizzo di diversi linguaggi, il Friulano, l’Abruzzese e il Cocoliche (lo spagnolo italianizzato degli emigranti), a confermare gli incontri-scontri culturali e territoriali. Dialoghi semplici, diretti, scarni di persone troppo impegnate a sopravvivere. Questi gli elementi formali scelti per raccontare una storia di emigrazione ambientata negli anni ’50 del secolo scorso in Argentina, a Buenos Aires. Una vicenda che trae spunto da avvenimenti reali, ma che rifugge da velleità documentaristiche e da note nostalgiche. Un racconto crudo di accadimenti che normalmente vengono sottaciuti, perché troppo dolorosi e negativi.