Che la situazione ambientale sia grave – basti pensare agli eventi climatici estremi che hanno interessato gli Usa quest’anno e, aggiungiamo, caratterizzano ormai anche l’Europa – e che di tempo per intervenire non ce ne sia più tanto non lo dicono più soltanto gli scienziati e gli ecologi. Perfino i grandi leader mondiali cominciano a preoccuparsene. Obama sembra voglia una svolta ecologica. Sarà capace di passare dalle intenzioni ai fatti?
A fotografare la gravità di questa situazione è sempre valida la storiella di quel tale che si butta dal decimo piano di una casa e che, mentre passa davanti alla finestra del secondo piano, a qualcuno che gli chiede: “come va?”, risponde: “per ora tutto bene!”. Crisi economica, riscaldamento globale, scarsità di combustibili fossili, inquinamento: la nostra civiltà si sta avvicinando rapidamente alla fine di un ciclo.
La stessa specie umana è minacciata. Lo ribadisce in un saggio di recente pubblicazione, “La terza rivoluzione industriale” (Mondadori), Jeremy Rifkin, economista dai toni solitamente misurati e impregnato di pragmatismo anglosassone, consulente della Commissione europea. Ci sono cambiamenti climatici che stanno avvenendo con “una grande accelerazione” che fanno temere “il rischio di estinzione di tutte le specie entro la fine del secolo”. Lo scenario non ha precedenti: “se la temperatura dell’acqua aumenterà di 3 gradi Celsius, si arriverà a una situazione di 3 milioni di anni fa, al Pleocene e saremo a rischio estinzione, sarà la fine della civiltà umana”. Purtroppo, come ammette lo stesso Rifkin, c’è una colpevole sottostima del fenomeno da parte di tutti. In un’intervista di qualche mese fa ha dichiarato senza mezzi termini: “Il 99,5 % di tutte le specie che hanno vissuto su questo pianeta si sono estinte. Sarebbe in qualche modo arrogante pensare che vivremo perpetuamente. E penso che questo sia un momento di crisi. Ora stiamo pagando il conto per 200 anni di rivoluzione industriale basata sui combustibili fossili, abbiamo disperso troppo biossido di carbonio, metano ed azoto nell’atmosfera… Stiamo assistendo ad un fondamentale cambiamento delle materie chimiche presenti sulla Terra… Saremo in grado di cambiare strada? Penseremo al cambiamento climatico? Possiamo creare un’economia più sostenibile? Siamo in una corsa contro il tempo.” (fonte: Euronews).
C’è una soluzione e quale può essere? Riprendendo tesi già in parte espresse nei precedenti libri (soprattutto in “Economia all’idrogeno”), Rifkin propone una Terza rivoluzione industriale: centinaia di milioni di persone in tutto il mondo produrranno energia verde a casa, negli uffici e nelle fabbriche e la condivideranno con gli altri, proprio come adesso condividono informazioni tramite Internet. Questo nuovo regime energetico, non più centralizzato, ma distribuito e condiviso si fonda su cinque pilastri: la definitiva scelta dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili; la trasformazione del patrimonio edilizio in impianti di microgenerazione; l’applicazione dell’idrogeno e di altre tecnologie di immagazzinamento dell’energia in ogni edificio; l’unificazione delle reti elettriche dei cinque continenti in una inter-rete per la condivisione dell’energia; la riconversione dei mezzi di trasporto, pubblici e privati, in veicoli ibridi elettrici e con cella a combustibile. Ovviamente, avverte Rifkin, “ognuno di questi elementi da soli non valgono nulla, sono inutili. Ma quando si mettono i cinque pilastri insieme, in ogni città, quartiere o zona rurale, creano un’infrastruttura. Questo insieme di elementi rappresenta una rivoluzione economica. Rappresenta il potere nelle mani del popolo.”
Questa “democratizzazione” dell’energia, tuttavia, per essere efficace dovrà essere accompagnata da una rivoluzione culturale: “Solo quando cominceremo a pensarci come un’estesa famiglia globale, che non include solo la nostra specie, ma anche tutti i nostri compagni di viaggio nel cammino evolutivo della terra, saremo in grado di salvare la nostra comune biosfera e rinnovare il pianeta per le future generazioni”. Questa terza rivoluzione avrà anche ricadute economiche positive. Si potranno creare, infatti, occupazione utile e mestieri verdi. In Europa, peraltro, a guidare la classifica europea dei mestieri verdi ci sono Germania, Spagna e Danimarca per l’eolico, Germania e Spagna per l’energia solare. Spicca l’assenza dell’Italia, che sotto il profilo ambientale, è la pecora nera d’Europa! Non manca di rilevarlo lo stesso Rifkin: “l’Italia è l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili! Ci sono così tante e distribuite energie rinnovabili nel vostro Paese! Mi meraviglio quando vengo nel vostro Paese e vedo che non vi state muovendo nella direzione in cui si muove la Spagna, aggressivamente verso le energie rinnovabili. Per esempio, voi avete il Sole! Avete così tanto sole da Roma a Bari. Avete il Sole! Siete una penisola, avete il vento tutto il tempo, avete il mare che vi circonda, avete ricche zone geotermiche in Toscana, biomasse da Bolzano in su nel nord Italia, avete la neve, per l’idroelettrico, dalle Alpi. Voi avete molta più energia di quella che vi serve, in energie rinnovabili! Non la state usando… umilmente, quel che posso dire al governo italiano è: a che gioco volete giocare? Se il vostro piano è restare nelle vecchie energie, l’Italia non sarà competitiva e non potrà godere dell’effetto moltiplicatore sull’economia della terza rivoluzione industriale… Se invece l’Italia deciderà che è il momento di iniziare a muoversi verso la terza rivoluzione industriale, le opportunità per l’Italia e i suoi abitanti saranno enormi” (fonte: Rinnovabili.it). Solo passando dalla “geopolitica” alla “biopolitica” e facendo in modo che ognuno “abbia il diritto assoluto di accesso all’energia” è possibile superare le tre crisi, ambientale, finanziaria ed energetica, che si alimentano reciprocamente.
Le argomentazioni di Rifkin sono in gran parte condivisibili. Energia, economia ed ecologia possono andare di pari passo. L’idea di una rete energetica simile alla rete internet, capace di creare energia dove ce ne sia bisogno, certo è suggestiva. Resta però un problema di fondo: può il capitalismo emendare sé stesso? Sia pure sotto la spada di Damocle dei cambiamenti climatici e del raggiungimento del picco del petrolio? Se gli USA si convertiranno sulla strada dell’ecologia, quando verrà il turno della Cina e dell’India? Non sarà troppo tardi? La svolta ecologica dell’economia per Rifkin è motivata dalla convenienza economica. È questo un pregio, ma anche un limite della sua analisi. Autorevoli esponenti dell’ecologismo dubitano delle capacità delle società democratiche di prendere tutte le misure che la crisi impone, perché, da un lato c’è un capitale sempre più anonimo, dall’altro c’è la schiavitù dorata e volontaria delle moltitudini manipolate accortamente dalla pubblicità. Tanto che alcuni si spingono ad auspicare, come il filosofo Rudolf Bahro, un “principe ecologista”, una sorta di dittatura globale in nome del bene comune dell’umanità per piegare i comportamenti non ecocompatibili. Il piano economico di Rifkin è senz’altro ambizioso. Non sappiamo se potrà essere efficace. Quel che è certo è che stiamo assistendo al tramonto del nostro modello di economia.