In Bolivia c’è stato davvero un colpo di Stato? Evo Morales è vittima di una macchinazione dell’imperialismo americano oppure è l’ennesimo “caudillo” che ha provato a forzare il voto popolare per prolungare il proprio potere? E l’esperimento boliviano (che in oltre un decennio, va ricordato, ha ottenuto tangibili risultati in campo economico e sociale) è un modello alternativo al turboliberismo oppure un pasticcio il salsa indigenista? Domande che restano senza risposta, soprattutto perché sui mass-media italiani è difficile trovare articoli che vadano al di là della semplice cronaca dei fatti oppure delle rimasticature dei giornali statunitensi.
Anche negli ambienti che per comodità definiamo sbrigativamente “sovranisti”, la confusione è grande. Si oscilla fra chi rimpiange Evo Morales, visto come esponente della “terza posizione”; e chi invece strizza l’occhio ai golpisti di Santa Cruz, considerati patrioti che si sono opposti alla deriva neo-marxista, un po’ come Bolsonaro nel vicino Brasile. Barbadillo, come sempre, non ha in tasca certezze incrollabili e allo slogan preferisce l’analisi. Perciò offre ai suoi lettori due punti di vista di chi segue la crisi boliviana molto più da vicino, rispetto a noi italiani. Due personaggi che per motivi diversissimi fra loro sentiamo comunque affini alle nostre idee e che ci offrono uno sguardo differente su scenari poco conosciuti.
Il primo contributo è l’articolo di Rodrigo Mas, politologo argentino che fa parte del Collettivo Nomos, un centro studi di Buenos Aires che si occupa di filosofia, geopolitica e relazioni internazionali e che traduce e diffonde, fra gli altri, testi di Alain De Benoist, Alexandr Dugin e Diego Fusaro.
Il secondo contributo arriva invece da una figura leggendaria del peronismo ortodosso, Jorge Rulli, militante negli “anni bui” della resistenza giustizialista dopo il golpe contro Peròn e fra i primi intellettuali, in Argentina, ad abbracciare la causa dell’ambientalismo e della tutela dei popoli indigeni.
Mas e Rulli ci offrono due interpretazioni schiette e originali dei recenti fatti avvenuti in Bolivia, che di sicuro non troverete sui media italiani.
Giorgio Ballario
CRISI POLITICA E COLPO DI STATO IN BOLIVIA di Rodrigo Mas *
pubblicato l’11 novembre sul quotidiano La Tercera (Argentina)
Questo risultato è una conseguenza della crisi politica scoppiata dopo le elezioni presidenziali che si sono svolte il 20 ottobre scorso. Il partito al potere (il MAS di Evo Morales, ndt) doveva ottenere una vittoria chiara, che impedisse un ballottaggio nel quale, a seguito dell’estrema polarizzazione tra governo e opposizione, quest’ultima si sarebbe unita per sconfiggere il presidente uscente.
I primi risultati elettorali diffusi dal governo hanno sancito la vittoria di Evo Morales con un vantaggio di circa l’8% dei voti su Carlos Mesa, il principale candidato dell’opposizione, ma ciò non avrebbe impedito un secondo turno. Il successivo scrutinio e diffusione dei risultati finali, che secondo alcuni media avrebbe registrato diverse “irregolarità”, ha portato a una risicata vittoria elettorale di Morales al primo turno.
A quel punto i principali partiti dell’opposizione hanno denunciato frodi e non hanno riconosciuto i risultati elettorali. Non solo, hanno incoraggiato le proteste di strada che hanno assunto un’importanza crescente nel susseguirsi dei giorni e si sono diffuse in diverse regioni del paese. L’intervento dell’Organizzazione degli Stati americani (OEA) e la sua valutazione delle elezioni hanno contribuito fortemente a delegittimarle. L’ammutinamento di alcuni settori delle forze di polizia e l’atteggiamento delle forze armate, che non hanno riconosciuto le autorità costituzionali, hanno generato una situazione di virtuale colpo di stato. La crisi ha provocato le dimissioni di Evo Morales, del suo vice presidente Álvaro García Linera e di alcune delle principali figure politiche del governo.
Che cosa deriva da una lettura più approfondita dei fatti sopra menzionati? Il governo di Evo Morales, che guida la Bolivia da più di un decennio, si è dimostrato uno dei fenomeni politici più interessanti del Sud America negli ultimi anni.
Al di là degli innegabili limiti e delle sue contraddizioni, Morales ha offerto un modello di crescita economica e di distribuzione del reddito partendo da una maggiore partecipazione dello Stato nell’economia – di cui il punto più alto è stata la nazionalizzazione della produzione di idrocarburi – e che consentiva un innegabile miglioramento ai settori svantaggiati nell’accesso alla redistribuzione del reddito in uno dei Paesi storicamente più poveri della regione.
Evo ha messo in atto una strategia autonoma, che l’ha posto in contrasto con gli Stati Uniti e gli ha permesso una relativa indipendenza dall’imperialismo USA. Queste politiche gli sono però valse una netta contrarietà dei settori più potenti della società boliviana, eterni complici di potenze straniere e principali beneficiari della Bolivia povera e sottomessa. La crisi scatenata dal 20 ottobre – che evidentemente rispecchia processi politici e sociali molto più profondi – aggravata dalla mancanza di riflessione politica del partito al potere in un momento chiave, sembra sfociare nel ripristino di un vecchio ordine per mano di un eterogeneo gruppo di avversari, guidato da settori neoliberisti, evangelici, conservatori e atlantisti (cioè filoamericani, ndt).
Nonostante le differenze che possiamo avere con l’esperimento boliviano (di Morales, ndt), la sua sconfitta implica una chiara battuta d’arresto per qualsiasi progetto di liberazione sudamericano. Il riallineamento geopolitico, da una posizione di relativa autonomia vicina a Russia, Cina, Venezuela e Cuba verso un altro di completa sottomissione agli Stati Uniti, è altamente probabile. Le importanti risorse naturali strategiche della Bolivia, come gas e litio, rappresentano il “piatto forte” per gli interessi americani.
Restano questioni importanti sulle quali continuare a riflettere: i limiti dei governi sudamericani progressisti e nazional-popolari; il problema relativo alla democrazia liberale di fronte ai processi di liberazione nazionale nella regione (sudamericana, ndt); il ruolo delle forze armate e le nuove strategie dell’imperialismo nella destabilizzazione, come il Lawfare (la strumentalizzazione dell’aspetto giuridico delle relazioni internazionali, ndt), l’ammutinamento della polizia e il ruolo delle fake-news.
*Politologo e membro del Collettivo Nomos di Buenos Aires
(traduzione di Giorgio Ballario)
Jorge Rulli è una delle figure più importanti del peronismo tradizionale, nel quale ha cominciato a militare all’età di quindici anni, attraversando i momenti più drammatici di questa esperienza politica: il golpe militare del 1955, la messa fuori legge del giustizialismo, la militanza clandestina, il carcere, la tortura e l’esilio. Tra i fondatori delle Juventud Peronista (JP) nel 1957, è stato fra i primi in Argentina a occuparsi della causa ambientalista e delle popolazioni indigene. Ora, a ottant’anni, si segnala come una delle voci più critiche del “kirchnerismo” (il peronismo di sinistra) ed è animatore del gruppo Trinchera por la Liberaciòn Nacional (Trincea per la liberazione nazionale). Sui recenti avvenimenti in Bolivia ha espresso un’opinione alternativa, ribadita nei giorni scorsi nell’intervista al quotidiano argentino Infobae, di cui pubblichiamo una sintesi.
Jorge Rulli su Evo Morales: “Sono stufo del ricatto del progressismo che ci conduce al disastro e poi fa la vittima”
da Infobae, 13 novembre 2019
(…) «Ciò che è successo a Evo (Morales) era prevedibile; i progressisti spianano il cammino alla destra; sono loro che costruiscono i Bolsonaro, i Macri, e poi la gente comune ne paga il prezzo. Sono stufo del ricatto sistematico dei progressisti: Evo e i suoi hanno costruito il futuro della Bolivia con una serie di errori che vanno da un marxismo stile XIX secolo di Linera (il vicepresidente uscente, ndt) all’invenzione indigenista della nazione plurinazionale di Evo, che era una menzogna perché persino gli indios si lamentavano di continuo».
Ora che conseguenze pensa ci saranno per la regione?
«Ciò che sta accadendo, sebbene molto doloroso per la Bolivia, è una grande opportunità per tutti noi, per riguadagnare il buon senso. Per molto tempo siamo stati abbagliati da miraggi e concetti stupidi come “Stato plurinazionale” o “Socialismo del 21° secolo”. Come tutti i dogmi, anche questi fanno appello a verità parziali e ci mettono di fronte al pericolo dell’estrema destra e del fascismo. (…) La sinistra è drogata di ideologia, sono come generali votati alla sconfitta che ti portano a gravi fallimenti e poi fanno le vittime. Evo ha davvero commesso molti errori, come, in tempi recenti, il TIPNIS, quel progetto stradale che attraversava parchi e riserve forestali dove c’erano popolazioni indigene. E quando la popolazione si è opposta e ha fatto fallire il progetto, Evo si è vendicato con loro, mettendosi contro vasti settori popolari che un tempo lo avevano sostenuto».
Si è messo nei guai da solo?
«Sì, si è messo sulla strada dell’illegittimità, ha violato la Costituzione e ha continuato a correre come presidente, fino alla frode elettorale. A quel punto non c’era più via d’uscita». (…)
Ora cosa accadrà in Bolivia?
«Dipenderà un po’ dal contesto dell’America Latina, che sta vivendo un periodo di insurrezione popolare. Il magma è fuoriuscito in tutti i paesi e le cose stanno andando come devono andare. Nell’ultimo mese è stato come se la lava fosse eruttata in Cile, in Ecuador e accade anche in Brasile. Qui Bolsonaro gioca la sua partita perché ogni volta, ad esempio, che le gente manifesta per la conservazione dell’Amazzonia, il PT (il Partito dei Lavoratori, di centrosinistra, ndt) impone la sua egemonia con lo slogan “Lula libero”. Non puoi parlare di nulla, perché l’unica cosa che conta è Lula libero. Quindi, in qualche modo, Bolsonaro ha le mani libere. Penso che gli estremi si tocchino l’un l’altro, come Cristina (Kirchner) di fatto era vicina a Mauricio (Macri) e Mauricio era vicino a Cristina. Sono reciprocamente necessari, si legittimano per evitare che si creino altre alternative. Ci sono stati incendi (nell’area amazzonica, ndt) sia in Brasile che in Bolivia, ma in quest’ultimo caso non se n’è parlato perché c’era un tacito ricatto. Colpire Bolsonaro è facile, su Evo non si è detto nulla perché il progressismo ha imposto la sua egemonia».
Cosa possiamo aspettarci, allora?
«Speriamo che emerga qualcosa di nuovo che possa annullare la crepa sociale che si è formata, ovunque. Il PT impone ha imposto le sue regole in Brasile e il PT è accusato di molte irregolarità, che non raggiungono il livello di quelle in Argentina, ma non sono minori. Come quando nel 2013 sono stati costruiti stadi anziché ospedali. Penso che la crepa sociale si stia riducendo, la caduta di Evo dà speranza che i settori popolari possano trovare altri percorsi».
I concetti di socialismo del 21° secolo e di Stato plurinazionale perderanno il loro valore?
«È ancora difficile poter affermare che il socialismo del 21° secolo è una grande truffa, un’assurdità dovuta all’egemonia progressista. E non era seria neanche la teoria dello Stato plurinazionale. Il mio amico politologo Marcelo Gullo ha spiegato in una conferenza che il processo di frammentazione dell’impero spagnolo non è ancora terminato: continua laggiù con Barcellona l’indipendenza catalana e qui con la faccenda della repubblica indigena. Invece dobbiamo unirci, dobbiamo contrastare questa tendenza alla frammentazione e la Bolivia di Evo Morales l’aveva accentuata. Anche se in maniera fasulla, ho letto molte volte di proteste degli indios boliviani che si sentivano traditi, perché facevano parte di uno “Stato plurinazionale” in cui non avevano voce».
(traduzione di Giorgio Ballario)
Meno male che quell’indigenista marx-pasticcione è stato cacciato. Andava fatto molto prima, per il bene di tutti. Ma quale colpo di Stato?
Forse andrò controcorrente ma a un dittatore sostenuto e finanziato dagli Yankees preferisco un pasticcione marxista indigenista. Purtroppo certe abitudini agli innamoramenti per Pinochet o Videla (dittatori a libro paga di Washington) non li abbiamo presi. Ma avrei dovuto immaginarlo da quando l’anno scorso invitammo Steve Bannon ad Atreju
Però Pinochet non nascose mai 422 milioni di dollari su un conto nella Banca Vaticana come Evo… Tutti finocchi col c..o degli altri!